Un Tribunale della Repubblica, precostituito sulla base di criteri
oggettivi e predeterminati, dopo 88 udienze in quasi tre anni e dopo avere
verificato le prove e le argomentazioni delle parti ha pronunciato una
sentenza per un'ipotesi accusatoria grave, quale la corruzione in atti
giudiziari.
La sentenza viene all'esito di un iter senza precedenti in cui nessuna
risorsa è stata risparmiata per evitare che i giudici si pronunciassero.
E' stata posta in essere una campagna massmediatica per anni per convincere
che qualsiasi decisione presa sarebbe stata comunque priva di valore,
perch inficiata da pregiudizi.
Sono stati posti in essere ripetuti interventi legislativi ad hoc per
cambiare le regole del gioco a processo in corso.
I giudici sono stati insultati con offese infamanti per un magistrato come
quella di essere prevenuti, di non essere imparziali e di essere strumenti
di giochi politici.
La pronuncia della sentenza, al di là del merito, rappresenta un successo
per la giurisdizione, ma tutti debbono porsi interrogativi che non
riguardano i magistrati o la giurisdizione, ma la stessa qualità della
nostra democrazia.
In quale Repubblica viviamo dove il giudizio per reati gravissimi diventa
persecuzione solo perch riguarda imputati eccellenti e perch l'esito non
corrisponde ai desiderata di alcuni imputati e loro amici.
In quale Repubblica viviamo dove il merito delle prove e delle
argomentazioni non conta pi oscurato dalla gestione dei processi a mezzo
stampa e televisivo e dove la giustizia di un verdetto non viene misurata
sulla correttezza nella disanima delle prove e dei ragionamenti, ma sulla
base della natura assolutoria o di condanna di una sentenza.
In quale Repubblica viviamo dove il Presidente del Consiglio dei Ministri,
immediatamente dopo la pronuncia di una sentenza, parla di persecuzione,
delegittimando i giudici e la giurisdizione.