1. "Di fronte ai ripetuti recenti casi che hanno messo in pericolo in vario modo la libertà costituzionale di manifestazione e diffusione del pensiero e hanno provocato allarme ed apprensione nell’opinione pubblica e nella stampa, la quale ultima ha giustamente rilevato che i provvedimenti adottati hanno creato un clima di intimidazione particolarmente pesante verso determinati settori politici ai quali perciò sono negate quelle libertà; esprime la propria profonda preoccupazione di fronte a quello che non può apparire che come un disegno sistematico operante con vari strumenti e a diversi livelli, teso ad impedire a taluni la libertà di opinione, e come sintomo di arretramento della società civile; chiede che i poteri dello Stato, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni, si impegnino con decisione a rimuovere le origini di tale fenomeno, mediante riforme legislative (abrogazione dei reati politici di opinione) e cambiamento di indirizzo dell’azione svolta".
Può sembrare retorico iniziare un intervento al congresso di Md citando l’ordine del giorno Tolin che su iniziativa di Marco RAMAT fu approvato da Md il 30.11.69 ma sono parole attualissime e la loro attualità non può che preoccuparci.
Come non registrare con rammarico che solo Md sia intervenuta, manifestando perplessità e critiche, sull’ordinanza di Cosenza. Nessun altro gruppo o associazione di magistrati, neppure quelli che con noi condividono molti valori e molte battaglie, hanno ritenuto di intervenire, anzi si è levato alto lo sdegno corporativo di chi continua a pensare che i provvedimenti dei magistrati non si possano criticare o discutere. -
Questo è un fronte che magistratura democratica non può abbandonare: l’attenzione alla giurisprudenza, cioè al nostro "fare", e la critica articolata ed equilibrata ai provvedimenti sono indispensabili per avere una magistratura sempre pi attenta ai valori costituzionali e sempre meno autoreferenziale: le nostre riviste - Questone Giustizia, ma anche Diritto, immigrazione, cittadinanza - sono uno strumento fondamentale. Ma dobbiamo saperci inventare altri luoghi di riflessione e di analisi, a partire dalle sezioni, dagli uffici, dove le questioni poste dalla giurisprudenza sono pi vive.
I fatti di Napoli e quelli di Genova dimostrano da un lato che una magistratura indipendente può essere in grado di effettuare un controllo a tutto campo, anche sugli apparati di sicurezza, dall’altro fanno temere una regressione nell’acquisizione al circuito democratico della gestione dell’ordine pubblico. Anche in questi casi poche voci nella magistratura si sono levate per stigmatizzare le gravi violazioni ai diritti della persona, la criminalizzazione del dissenso e l’arroganza di chi ritiene che la "piazza" e la sua gestione si pongano fuori dalla tutela costituzionale. Come ha scritto Livio Pepino: il dissenso e la critica sono i prerequisiti del dibattito pubblico democratico: chi ritiene una proposta politica sbagliata o ingiusta deve dirlo con durezza e radicalità pari agli errori e alle ingiustizie che in essa rileva; se non lo fa, se si autocensura per timore che le sue parole siano da altri strumentalizzate, è un pezzo di democrazia che viene meno".
Ha ragione Giovanni Palombarini, su questi temi, sui temi della pace e della Costituzione deve crescere il dialogo con i giuristi e con la società: la fisionomia di questo congresso testimonia questa tensione.
2. Naturalmente i quasi quarant’anni che ci separano dall’ordine del giorno Tolin non sono trascorsi invano. Su tutta una serie di fronti si è formato un comune sentire in tutta la magistratura, come testimoniato dallo sciopero dello scorso giugno e dalle relazioni dei Procuratori generali all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Questa consapevolezza esiste e va coltivata.
Ed è proprio nella tensione a costruire una unità associativa con contenuti che dobbiamo riservare grande attenzione alla vita degli uffici giudiziari, a ciò che vi accade, alle prassi e alla loro organizzazione. In questo quadro, la famosa sfida sull’efficienza può essere vinta. E, prima di tutto, può essere vinta partendo dagli uffici, dalla nostra capacità di lavorare per la loro funzionalità e la loro trasparenza, ma anche dall’impegno del gruppo nel far emergere, dall’esperienza concreta, modelli virtuosi e modelli negativi: ci sono gli uni e ci sono gli altri. In alcuni casi, i modelli negativi hanno la virt di concentrare molti dei problemi che caratterizzano la vita interna degli uffici:
- insofferenza alle regole tabellari;
- autoritarismi nei rapporti con i magistrati e con il personale amministrativo;
- atteggiamenti di chiusura verso il contributo degli altri soggetti della vita giudiziaria (prima di tutto, gli avvocati);
- moduli organizzatori irrazionali nella gestione delle risorse; e, in alcuni casi, anche prassi poco trasparenti.
Far emergere questi modelli virtuosi e non virtuosi significa non solo fare la nostra parte per il miglioramento della giustizia, ma anche far venire allo scoperto le contraddizioni interne alla magistratura, tra i proclami e le situazioni concrete tollerate e, talvolta, strenuamente difese.
La vicenda della Procura di Napoli è emblematica dei rischi di involuzioni autoritarie e, allo stesso tempo, di burocratizzazione inefficiente; ma anche della volontà dei magistrati di non sottrarsi ai loro doveri: offrendo il loro contributo nelle forme stabilite dalle procedure tabellari; e poi, quando è necessario, chiamando in causa l’organo di autogoverno.
Sul terreno dell’unità associativa con contenuti si è costruita l’esperienza napoletana della lista l marzo Md, Movimenti e Ghibellini e l’alleanza per le elezioni del CSM. Su questa strada bisogna proseguire, sulla strada del "confronto e dell’unità". Questa esperienza ha dimostrato che è possibile ribaltare equilibri consolidati, mobilitare i colleghi, rivitalizzare l’associazionismo giudiziario se l’alleanza è sui valori non solo sentiti e condivisi ma anche quotidianamente praticati negli uffici e negli organi istituzionali dell’autogoverno, se dalla mera e vuota enunciazione si passa alla pratica quotidiana di essi. Ancora una volta: pi della parola potranno le "buone pratiche".
Ancora, dovremo dire che la sfida per una giustizia efficiente può essere vinta denunciando con forza la politica dell’agonia della giustizia perseguita dal governo, la sua dichiarata volontà di non lavorare per l’efficienza della giustizia se non dopo aver realizzato il disegno restauratore che vorrebbe riportare la magistratura agli anni ’50, quando gli infortuni sul lavoro erano una "fatalità" e si poteva finire sotto procedimento disciplinare per un orientamento difforme da quello sacro della Cassazione.
Ancora, dovremo saper individuare soluzioni concrete ed elaborare proposte mirate: credo che il documento dello scorso febbraio su "efficienza e eguaglianza" con le dieci proposte "per una giustizia accessibile, efficace, tempestiva" sia un modello di intervento da valorizzare.
Sull’ordinamento giudiziario, Md ha un patrimonio di elaborazione e una capacità di critica (e di autocritica) che è chiamata a mettere in campo per contrastare quel "ritorno al passato" che Nello Rossi denunciò davanti al ministro:
- così, la cultura tabellare, proiettata verso l’inveramento del principio del giudice naturale e dell’obbligatorietà dell’azione penale, ma anche come strumento di razionalizzazione e di partecipazione alla elaborazione delle scelte organizzative dei dirigenti: una risposta alla rozza semplificazione per la quale il ripristino della gerarchia è indispensabile al recupero di efficienza;
- così, la costruzione di un percorso professionale e formativo verso la dirigenza, un percorso che riconosca e valorizzi il ruolo dei semidirettivi, sarebbe la migliore risposta alla stravagante attuazione del proclama ministeriale "largo ai giovani" che si è concretizzata nella norma sui 75 anni;
- così, l’idea guida espressa con straordinaria efficacia da Pino Borr nell’immagine della magistratura come comunità di uguali.
Il ritorno al passato è il filo rosso che lega tutta una serie di riforme fatte e annunciate dall’attuale maggioranza anche ben oltre l’ordinamento giudiziario:
dal ritorno del legittimo sospetto, alla annunciata soppressione della tutela penale dell’ambiente, al nuovo condono edilizio mascherato. Gli interventi di Stefano Rodotà e di Giuliano Amato ci hanno raccontato la straordinaria e faticosa storia dell’affermazione dei diritti e degli strumenti per garantirli, e ci hanno anche spiegato che quei diritti e quegli strumenti restano l’unica strada per difendere quel modello di convivenza sociale e politica delineato dalla Costituzione del ‘48. Vale dunque la pena di spendere il nostro impegno di democratici, di giuristi e di magistrati perch quel passato non ritorni.