Magistratura
Democratica
Sul
disegno di legge n. 3107/S di conversione del decreto-legge n.
241/2004
Nel
testo approvato il 20 ottobre dal Senato, il disegno di legge 3107/S
di conversione del decreto legge n. 241/2004 conferma la scelta di
attribuire al giudice di pace la giurisdizione sui provvedimenti di
polizia in tema di espulsione. È questa una scelta non in
linea con la fisionomia ordinamentale del giudice di pace e con il
significato garantistico della riserva di giurisdizione in tema di
habeas corpus prevista dall’art. 13 della Carta; tale
scelta, inoltre, rivela linee di politica del diritto idonee a
svilire il ruolo di tutela delle libertà fondamentali della
persona affidate dalla Costituzione alla giurisdizione.
Il
giudice di pace ha svolto e svolge funzioni fondamentali nel nostro
ordinamento e non solo nell’ottica deflattiva del carico di
lavoro gravante sugli uffici giudiziari: al giudice di pace, infatti,
è stata affidata, insieme con le competenze penali di cui al
decreto legislativo n. 274/2000. la prospettiva di un diritto penale
“mite”, orientato alla “conciliazione” prima
ancora che alla “repressione”.
È
questa una prospettiva coerente con lo status del giudice di
pace, un giudice onorario che, appartenendo all’ordine
giudiziario in via temporanea e non esclusiva (si pensi alla
disciplina delle incompatibilità professionali, nettamente
differenziata rispetto alla magistratura togata), è fortemente
calato nella società e proprio per questo viene
chiamato ad esercitare la giurisdizione penale in una dimensione
conciliativa.
Ma
è il volto mite della giurisdizione di pace a renderla
incompatibile con l'attribuzione ad essa delle competenze in materia
di convalida dell’accompagnamento coattivo alla frontiera e di
trattenimento nei centri di permanenza temporanea dello straniero
destinatario di un provvedimento di espulsione: qui il giudice è
chiamato, così come per la convalida dell’arresto e del
fermo, ad intervenire nel momento più delicato del conflitto
tra autorità e libertà individuale; non deve far
incontrare, conciliare posizioni diverse, ma esercitare il
controllo sulla legittimità della coercizione personale
provvisoria disposta dalla autorità di polizia.
La
tutela giurisdizionale della “libertà dagli arresti
arbitrari” deve pertanto essere affidata alla magistratura
togata, il cui assetto ordinamentale, caratterizzato dalla
esclusività e dalla non temporaneità dell'esercizio
delle funzioni giudiziarie, è in grado di assicurare un
controllo di legittimità sull’attività di polizia
coerente con il significato storico della garanzia dell’habeas
corpus e con la ratio della riserva di giurisdizione di
cui all’art. 13, comma 3 della Costituzione.
In
tal senso, deve essere anche ricordato che alla giurisdizione penale
del giudice di pace sono estranee le competenze relative alla
convalida delle misure pre-cautelari: con l’attribuzione al
giudice di pace della convalida dell'accompagnamento coattivo alla
frontiera e del trattenimento nei centri di permanenza, di
conseguenza, si avrebbe solo per lo straniero una tutela
giurisdizionale avverso i provvedimenti di polizia limitativi della
libertà personale attribuita a un giudice non professionale.
Peraltro,
come sperimentato in altri settori dell’ordinamento, la
condizione giuridica del migrante rivela spesso profili paradigmatici
di orientamenti di politica del diritto destinati poi ad estendersi
anche agli autoctoni. Così, ad esempio, il recente
disegno di legge governativo di riforma della disciplina degli
stupefacenti prevede un ampio catalogo di misure –
amministrative, ma limitative di libertà fondamentali
dell’individuo – la cui applicazione verrebbe sottratta
al giudice e rimessa in via ordinaria all’autorità di
polizia; il giudice – il giudice di pace, così come per
il decreto-legge n. 241/2004 – interverrebbe ex post,
sulla base di un procedimento estremamente semplificato. Così,
il diritto speciale dei migranti si estenderebbe, per alcuni
suoi aspetti, a nuovi clandestini - i tossicodipendenti e gli
assuntori, anche occasionali, di sostanze stupefacenti - e si
verrebbe a delineare un vero e proprio modello punitivo parallelo
fondato sulla amministrativizzazione dei diritti fondamentali
dell'individuo, sull'attribuzione all’autorità di
polizia di un ruolo di assoluta centralità e sulla
sterilizzazione della funzione di garanzia della
giurisdizione.
Per
queste ragioni, la scelta operata dal decreto-legge n. 241/2004 e
confermata in sede di conversione dal Senato avrebbe pesanti ricadute
anche sul piano del principio d’eguaglianza, ricadute che
possono essere evitate ripristinando la competenza del giudice togato
sui provvedimenti in questione.
*****
Il
disegno di legge 3107/S non si ferma qui. Esso, infatti, modifica in
profondità la disciplina dei reati di cui agli artt. 12, 13 e
14 del testo unico n. 286/1998, secondo linee guida univocamente
orientate al drastico inasprimento delle sanzioni e all'affermazione
della limitazione della libertà personale dello straniero
irregolare come regola e non certo come extrema ratio.
Una regola, peraltro, che già trova applicazione nella
disciplina della convalida delle misure esecutive dell’espulsione,
dove la coercizione della libertà personale dello straniero ad
opera dell’autorità di polizia precede l’intervento
del giudice sempre e non solo nei “casi
eccezionali di necessità ed urgenza” come vorrebbe
l’art. 13, comma 3 della Costituzione.
Il
disegno di legge modifica anzitutto l’art. 12 ridefinendo il
rapporto tra fattispecie autonome e fattispecie circostanziali e
aumentando le pene previste per i delitti di cui al primo ed al terzo
comma. Particolarmente significativo – e rivelatore di un
orientamento di politica criminale volto a utilizzare lo strumento
penale per il contrasto non solo del traffico dei migranti, ma
anche dell’immigrazione tout court – è
l'innalzamento della sanzione comminata per la fattispecie di cui al
primo comma, ossia per le condotte di favoreggiamento
dell'immigrazione irregolare del tutto svincolate da finalità
di lucro o da fenomeni di sfruttamento dei migranti.
Le
modifiche apportate ai reati di cui agli artt. 13 e 14 hanno, a loro
volta, una matrice comune: la reintroduzione dell’arresto dello
straniero nei casi oggetto della censura di incostituzionalità
di cui alla sentenza n. 223/2004. In questa prospettiva:
-
le contravvenzioni vengono – con un’unica, modesta
eccezione – trasformate in delitti;
-
per le fattispecie delittuose viene aumentata la pena detentiva;
-
i soli due casi di arresto facoltativo previsti dalla normativa
vigente (quelli ex art. 13, co. 13 ter) sono
trasformati in arresto obbligatorio;
-
è nuovamente previsto l’arresto obbligatorio per la
fattispecie di cui all’art. 14, co. 5 ter.
Il
quadro sinteticamente descritto, se confermato all'esito dell'esame
parlamentare, suscita una duplice critica. Da una parte, la
violazione di un provvedimento amministrativo, tradizionale zona
di confine tra illecito meramente amministrativo e illecito
penale e terreno privilegiato per l’intervento penalistico
nelle forme del reato contravvenzionale, viene, con riferimento ai
provvedimenti in tema di allontanamento del migrante irregolare, ad
integrare di regola un delitto: una nuova, nitida manifestazione del
diritto speciale dei migranti. Inoltre, la coercizione della
libertà personale dello straniero funzionale all'esecuzione
dell'espulsione, significativamente definita impropria dalla sentenza
n. 223/2004 della Corte costituzionale, ribadisce uno dei tratti
salienti della normativa sull'immigrazione così come
modificata dalla legge Bossi - Fini, ossia il ruolo ancillare
dell’ordinamento penale – del diritto e della procedura
penale – e dei suoi princìpi rispetto al risultato
dell'allontanamento dello straniero.
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Il
disegno di legge 3107/S nel testo licenziato dal Senato presenta due
ulteriori profili criticabili.
Una
piena adesione alle indicazioni provenienti dalla sentenza n.
222/2004 della Corte costituzionale (ma, invero, già dalla
precedente sentenza n. 105/2001) imporrebbe di colmare il grave
vulnus alle garanzie costituzionali dei migranti rappresentato
dall'assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale sul respingimento
“differito” di cui all’art. 10, comma 2, del testo
unico n. 286/1998: poiché l’esecuzione di tale forma di
respingimento implica inevitabilmente una coercizione della libertà
personale dello straniero, la disciplina vigente vìola la
riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 della
Costituzione. Già nel giugno del 1997, in un documento di
analisi del disegno di legge governativo poi sfociato nella legge
Napolitano – Turco, Magistratura democratica, l’Associazione
italiana giuristi democratici e l’Asgi segnalarono, tra gli
strumenti repressivi ed antigarantistici previsti dalla disciplina
degli allontanamenti, “l'estensione della possibilità di
respingimento anche nel periodo successivo all’ingresso nello
Stato”: le recenti vicende relative all'allontanamento forzoso
verso la Libia dei migranti sbarcati a Lampedusa, segnalano
nuovamente la drammaticità delle conseguenze sulle persone dei
migranti che discendono dalla normativa indicata e dalla sua
manifesta incostituzionalità.
Il
disegno di legge introduce poi, nel corpo dell’art. 11 del
testo unico, un comma 5-bis ai sensi del quale il Ministro
dell’interno, nell’ambito degli interventi di sostegno
alle politiche preventive di contrasto all’immigrazione
clandestina, contribuisce “alla realizzazione, nel territorio
dei Paesi interessati, di strutture utili ai fini del contrasto di
flussi irregolari di popolazione migratoria verso il territorio
italiano”. Lo scarno tenore letterale della disposizione
corrisponde, in realtà, ad un’innovazione di portata
dirompente. Il finanziamento della realizzazione di “centri”
di detenzione all'estero (una sorta di outsourcing del
trattenimento dei migranti irregolari, secondo l'icastica definizione
di un autorevole commentatore) è svincolato da qualsiasi
presupposto anche solo vagamente orientato alla tutela dei migranti:
nessun limite è previsto con riferimento ai Paesi destinatari
dei finanziamenti in relazione, ad esempio, alla loro adesione alle
fonti internazionali di tutela dei rifugiati; nessuna condizione è
prevista in punto di conformità delle “strutture”
finanziate agli standards minimi di rispetto della dignità
e dei diritti fondamentali della persona prescritti dalle
Costituzioni nazionali, ma anche dalle Carte europee (in
primis, la Carta di Nizza). In questo modo, le garanzie
universalistiche che costituiscono l'essenza ed il valore delle
democrazie costituzionali vengono, di fatto, svuotate: ancora
una volta, l’immigrazione si rivela come il banco di prova
delle democrazie contemporanee e della loro capacità (o
incapacità) di non rinunciare alla promessa di garantire la
“sacralità” delle persone, di tutte le
persone.
Ottobre
2004 Magistratura democratica