[Area] R: da Mario Ardigò - appunti da intervento della prof. Urbinati il 4-11-16, durante il Congresso di Md a Bologna

Spataro Armando armando.spataro a giustizia.it
Mar 8 Nov 2016 19:17:35 CET


Ringrazio Mario Ardigó per le sue belle e motivate riflessioni che condivido in toto ed a chi mi riporto.
Anche io ho sempre criticato, da chiunque provenisse, la povera ed offensiva (anche per noi) idea di introdurre il numero chiuso per gli avvocati come quella "originale" (ma priva di senso logico e di considerazione della realtà) di pretendere che scelgano subito se esercitare la loro professione dinanzi ai giudici di merito o dinanzi alla Corte di Cassazione.
Ci vuole rispetto per gli altri se lo si chiede per la magistratura.
Armando Spataro

Inviato da iPhone

Il giorno 08 nov 2016, alle ore 12:31, PM Ardigò <mario.ardigo a giustizia.it<mailto:mario.ardigo a giustizia.it>> ha scritto:

Il numero chiuso come strategia per limitare la concorrenza nel settore dell’avvocatura privata contrasterebbe con gli impegni che l’Italia ha preso aderendo all’Unione Europea. Potrebbe essere giustificato solo, come ad esempio nelle facoltà di Medicina, per esigenze di completa formazione professionale, quindi per programmare il numero degli studenti in relazione a tali esigenze, in rapporto alla limitata capacità strutturale degli atenei.
 L’ho scritto sulla lista dell’ANM: l’idea di ridurre il contenzioso giudiziario riducendo il numero degli avvocati fa il paio con quella di ridurre le malattie riducendo il numero dei medici.
 E poi: aumentando il numero dei magistrati, come chiediamo da anni, si aumenta anche la capacità del sistema giudiziario di trattare processi,  e di trattarli in tempi più brevi, oggettivamente incoraggiando la litigiosità giudiziaria. Allora come la mettiamo?
La logica di questi discorsi non mi convince.
 I medici trovano malattie del corpo e della psiche e le curano.
Avvocati e magistrati trovano malattie sociali e se ne occupano.
Ma le malattie preesistono. Con meno medici, meno avvocati e meno magistrati è più difficile occuparsene efficacemente.
Alla fine rimane questo fatto: noi e gli avvocati siamo dalla stessa parte della barricata, nella rivendicazione ad un miglior servizio giustizia. Disuniti contiamo di meno. Gli avvocati sono molti? Meglio. Più si è, più si conta. Le risorse per il servizio giustizia sono troppo poche e gli uffici non hanno autonomia di spesa per varare vere modifiche  strutturali e questo fa male sia  a noi magistrati che agli avvocati. Inutile poi pretendere che i dirigenti degli uffici facciano una specie di questua tra i politici degli enti locali, con tutti i rischi che comporta quando ci si presenta presso un politico chiedendo qualcosa.  E anche nell’arruolamento precario di stagisti, che lavorano a bassissimo costo ma che fanno un lavoro di qualità, non mi sento con la coscienza del tutto a posto.
 Se noi pretendiamo, sprezzantemente, di decimare gli avvocati con i numero chiusi, quelli poi faranno lo stesso con noi invocando un disciplinare sfiancante. Ci ripagherebbero con la stessa moneta. Alla guerra come alla guerra. Ma che senso ha la guerra fra noi? C’è bisogno di buoni avvocati e di buoni magistrati. La litigiosità sociale non la creano né gli avvocati né i magistrati, categorie professinoali si limitano a gestirla a norma di legge, evitando che, come si disse fin dall’antichità, “i cittadini corrano alle armi”, vale a dire si facciano ragione da sé medesimi, con tutto ciò che comporta. Perché tanta litigiosità sociale? E’ questo che dobbiamo capire, una volta piantate le reciproche recriminazione corporative, che mi pare abbiano la stessa affidabilità che si attribuisce oggi al detto “donna al volante, pericolo incessante” o simili.
 Ci si rinchiude, rancorosi, nella propria corporazione, e muoia il mondo “chissenefrega”!, secondo il detto fascistissimo che sembra aver fatto scuola tra i compassati signori del nord Europa. Ma si resiste solo coalizzandosi tra persone che hanno problemi analoghi. E il primo passo è il rispetto, ma direi di più, la stima reciproca, perché di stima deve parlarsi tra professionisti che svolgono mestieri simili. Chi siamo noi per pretendere la decimazione degli avvocati? Da che pulpito pontifichiamo? Sono discorsi che comprendo se fatti dalla corporazione dei tassisti (e anche lì l’Unione Europea ci tira le orecchie da tempo), ma non da gente come noi persone di legge.
 Per quanto mi riguarda prendo questo impegno: mai più, per nessun motivo, un pettegolezzo cattivo sugli avvocati! Mai più! Difenderò le loro buone cause come se fossero le mie.
Mario Ardigò – Roma



Da: Area [mailto:area-bounces a areaperta.it] Per conto di thorgiov
Inviato: martedì 8 novembre 2016 09:31
A: Mario Ardigò; casa riccelli
Cc: area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: Re: [Area] da Mario Ardigò - appunti da intervento della prof. Urbinati il 4-11-16, durante il Congresso di Md a Bologna


Allora al congresso qualcuno ha detto qualcosa di sensato ! Non so chi sia il dirigente dell'ANM cui tu fai riferimento, ma concordo con lui : il numero degli avvocati è eccessivo, e cresce sempre di più. Sarebbe ora di introdurre il numero chiuso, sia all'Università che all'interno degli ordini professionali. Purtroppo la giustizia in Italia serve essenzialmente, se non esclusivamente, da ammortizzatore sociale, e crea una economia di sussistenza che danneggia quella sana. Ora, non so se nella dottrina sociale della Chiesa cattolica questo problema viene affrontato. Ma qui ci vorrebbe un'enciclica a parte, che sarebbe molto più interessante di quella sull'America latina.

FELICE  PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )

Il 08/11/2016 02:03, Mario Ardigò ha scritto:
A Bologna non ho sentito nessuno favorevole alla proposta di far votare gli avvocati sulle nostre valutazioni di professionalità. Del resto la posizione di Area è nota.
  Mi può essere sfuggito? Un pomeriggio sono mancato, ma ha parlato la Camusso e non su questioni del nostro mondo.
I nostri problemi non sono solo nostri. È tutto il mondo del lavoro sotto scacco. Non ci si salva da soli, nè individualmente  nè come categoria. Il quadro generale è quello esposto dalla Urbinati.
Quanto alla dottrina sociale cattolica, andatevi a leggere, se siete interessati a queste cose, il discorso di Bergoglio del 5 novembre ai movimenti popolari che chiede di lottare per terra,casa e lavoro per tutti (si apre così) e di impegnarsi per trasformare le democrazie dominate dal grande capitale e, infine, una vita austera contro la corruzione. Non sono cose che ha inventato lui, è l'esperienza di liberazione sociale dell'America Latina che cu arriva per suo tramite. Sono cose che non ci riguardano? Decidete voi.
A Bologna ho udito parole sprezzanti di un dirigente Anm contro gli avvocati, senza distinguere buoni avvocati e cattivi avvocati: Sono troppi ha detto. Bisogna non decimarli, di più, ridurli molto di più perché sarebbero loro a far litigare la gente e a convincerla a fare causa. Io se vedi molti avvocati vedi invece molti possibili alleati nella riforma della giustizia. Più si è più si conta politicamente. Il nostro guaio di oggi è di essere isolati in società, e alcuni ci spingono ad isolarci sempre di più. A Bologna si è andati in direzione contraria.
  "Me ne frego!": in Europa il parlare fascista spopola. Se ne è uscito anche Juncker. I lavoratori si salvano, peró, gridando il contrario "I care!" (nella linea Kennedy>Milani).
Mario Ardigò - Roma
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Da: casa riccelli<mailto:riccelli91 a alice.it>
Inviato: ‎07/‎11/‎2016 23:07
A: thorgiov<mailto:thorgiov a libero.it>
Cc: area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: Re: [Area] da Mario Ardigò - appunti da intervento della prof. Urbinati il 4-11-16, durante il Congresso di Md a Bologna
Se fossi venuto, avresti giudicato e udito ... "nelle tue orecchie" 😊

stefano celli

Il giorno 07 nov 2016, alle ore 19:00, thorgiov <thorgiov a libero.it<mailto:thorgiov a libero.it>> ha scritto:

Mario, ma qualche appunto sulla ottima accoglienza fatta nel congresso alla proposta di dar modo agli avvocati  di votare in sede di consiglio giudiziario sulla valutazione di professionalità dei magistrati non lo hai preso ? Personalmente è un argomento che mi interessa molto di più della dottrina sociale della Chiesa cattolica.

FELICE   PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )

Il 07/11/2016 08:33, mario ardigo ha scritto:
Miei appunti dall’intervento svolto dalla prof. Nadia Urbinati il 4-11-16 al Congresso di MD

 Vi propongo i miei appunti sull’intervento svolto dalla prof. Nadia Urbinati il 4-11-16 al Congresso di MD. Avverto che l'intervento ha riguardato anche altri argomenti.
 Oggi si trovano più giustificazioni alle diseguaglianze. Il fatto nuovo è che sono condivise anche da coloro che ne sono vittime.
 Al tempo dell'ultima crisi di Wall Street, in una relazione di una banca si scrisse che l'ineguaglianza dei redditi "non era poi così male", intendendo che essa era stimolo alla competizione.
 Questo è un filone di pensiero antico.
 A un Solone che voleva porre una diga alle diseguaglianze tra i cittadini si contrappose un Platone che costruì un sistema politico di ineguali.
 Sono stati proposti storicamente molti argomenti per giustificare la diseguaglianza. La relatrice ha ricordato Hume, Adam Smith, Mandeville, Burke, De Maistre, Nietsche, Carlyle, Friedman, Von Hayek.
  Sentimenti considerati negativi per l'etica, come avarizia e invidia, stimolerebbero a migliorare e costituirebbero un cemento sociale. Queste passioni sarebbero come un radar per intercettare i bisogni e stimolare all'azione. E molti bisogni sono artificiali, oggetto di interpretazione. Le differenze e le diseguaglianze sarebbero fattore di progresso sociale.
  Il pensiero democratico, invece, combatte le diversità tiranniche. Ma gli sono coeve, fin dall'antichità correnti opposte, che contrastano i programmi sociali.
  Oggi, nella volontà di affermazione della "meritocrazia", si sostiene che le diseguaglianze nella società sono "meritate", frutti di insufficiente impegni po' o di doti scarse. È l'ideologia del darwinismo sociale, dell'affermazione dei più adatti. Le ineguaglianze hanno e cercano un riconoscimento sociale come "meritate". Ma si presta attenzione solo al momento iniziale della “gara” della competizione, non agli esiti. Se tutti sono messi in grado di competere, come si sostiene in questa prospettiva, non si tiene poi conto delle diseguaglianze che ne derivano, non ce se ne scandalizza più. Ma il punto iniziale della competizione, che si valuta come uguale per tutti, viene considerato da un punto di vista ideale, non della situazione com'è veramente, dei privilegi sociali.
 Così si sostiene che nessuno deve chiedere alla società più di quello che riesce a ottenere. Anzi, è ritenuto sbagliato correggere la competizione e i suoi esiti, visti come stato di natura e non come costruzione sociale. C'è la retorica dell'emulazione, del rimboccarsi le maniche, che scoraggia alla rivolta contro discriminazioni  di classe. Si tratta  una vera e propria rieducazione sociale di massa. Non si dovrebbe, secondo questa ideologia, correggere in corso d'opera là competizioni per ridurre il numero dei perdenti, nei  confronti dei quali è ammessa solo la filantropia dei vincitori. Se non ci fossero questi ultimi, si sostiene, vale a dire  i più ricchi, i vincitori nella competizione sociale, chi si occuperebbe dei poveri? Chi perde merita, in quest’ottica  solo benevolenza volontaria.
  Tutto ciò distrugge la solidarietà sociale e la possibilità di redenzione delle masse dei perdenti, perché i più poveri vengono spinti a farsi guerra fra loro invece di coalizzarsi contro l’avversario di classe.
 In democrazia invece alcuni beni non possono essere oggetto di competizione e seguono il bisogno non la possibilità economica e la vittoria nella competizione sociale. Nessuno ne può essere privato. Ad esempio l’acqua, l’aria, ma anche altri beni indispensabili per una vita dignitosa.
 Come esempio di quest’ultima concezione propongo le parole di Jorge Mario Bergoglio, pronunciate il 5 novembre scorso ad un incontro con i movimenti popolari del mondo:  “In questo nostro terzo incontro esprimiamo la stessa sete, la sete di giustizia, lo stesso grido: terra, casa e lavoro per tutti [in spagnolo: tierra, techo, trabajo. Le 3-T]”. Si tratta delle rivendicazioni proposte fin dagli esordi dal socialismo storico e solo recentemente recepite anche dalla dottrina sociale cattolica.
Mario Ardigò - Roma






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