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Ardigo' Mario mario.ardigo a giustizia.it
Mer 23 Nov 2016 02:11:42 CET


​ La riforma in decisione è di destra o di sinistra?

E' sbagliato decidere al referendum sulla base della risposta che si dà a questa domanda.

Infatti la Terza Repubblica che la riforma inaugura può essere di destra o di sinistra. L'ingegneria costituzionale che c'è in essa può servire ad entrambe. Infatti, fino alla primavera del 2015, essa fu spinta dall'impulso politico di entrambe. Essa, in particolare, si avvicina molto all'ideologia istituzionale del berlusconismo, che però quest'ultimo non è mai riuscito a tradurre in legge. E il berlusconismo è rapidamente tramontato nell'autunno del 2011. Il renzismo ne può essere considerato l'erede? Direi proprio di no. Infatti manca della forza coalizzatrice tra diversi che fu del berlusconismo, e in particolare del suo capo carismatico. Il renzismo infatti è una forza di rottura. Nel 2013 ha provocato un ricambio epocale nella classe politica nazionale. Inoltre il renzismo ha ancora al suo interno le componenti originarie del PD: comunisti e cristiano sociali.

 L'impianto ideologico della riforma, in particolare, è cristiano sociale e deriva da un filone culturale che trova il primo precursore, dall'inizio degli anni '80, Roberto Ruffilli. Esso si manifestò, dagli anni '80, nel lavoro di tutte le commissioni parlamentari per la riforma costituzionale ma solo il renzismo, come forza di rottura, gli ha dato la forza politica per imporsi. Nella revisione si  è lavorato di fino. Ad uno sguardo distratto può sembrare che i cambiamenti non siano granché. La riforma ha una sua parte importante che non sarà in decisione nel referendum costituzionale: è la legge elettorale per la Camera dei deputati. Fin dagli anni '80 i precursori degli attuali riformatori abbinarono legge elettorale e riforma costituzionale. Quella che chiamiamo Seconda Repubblica, iniziò nel 1994 dopo una riforma della legislazione elettorale. Anche la riforma del 2005 del berlusconismo prevedeva legge elettorale e revisione costituzionale, quest'ultima abortì e la prima, privata della base costituzionale, sfasciò il regime bipolare.  Il renzismo invece è riuscito a completare il disegno costituzionale di riforma: legge elettorale e riforma costituzionale. Con la riforma ci si propone di indurre anche un mutamento nel sistema politico. La riforma presuppone un'ideologia di partito che oggi solo uno dei partiti candidabili al governo ha. La riforma non solo prevede un governo al centro del sistema istituzionale, ma anche un governo al centro del sistema politico attraverso un partito nel quale l'azione di governo riesca ad integrare forze diverse, dando stabilità e coerenza all'insieme: il  "partito del Paese" o "partito maggioritario", un partito con una solida maggioranza assoluta nella Camera maggiore. Un partito così non c'è mai stato in Italia. Nessun partito nella Repubblica democratica ha mai raggiunto una forza parlamentare e politica come quella che si vuole indurre in quello egemone con l'ingegneria della riforma costituzionale. La DC non lo era: essa in realtà era una federazione di partiti. Il PCI andò molto vicino a diventare qualcosa di simile, alla fine degli anni '70. Il PD dei nostri giorni ambisce a diventarlo, dopo essere stato per circa un ventennio parte di un sistema bipolare, tramontato nel 2011.  Il modello di PD proposto dall'autunno del 2007 diverse sensibilmente dal modello originario ed è quello del "partito a vocazione maggioritaria" > "partito maggioritario".

  E' però proprio nell'ideologia di partito che il renzismo diverge significativamente dai teorici della riforma. Esso infatti ambisce a rendersi autonomo dalla propria base sociale ed elettorale. Condivide questa ideologia con altre formazioni politiche contemporanee di rottura, di anti-politica. Il sofisticato disegno politico degli ideologi della riforma non è quindi il suo disegno politico. E' in questo che lo si può considerare di destra. Ed è proprio questo suo aspetto che gli dà opportunità in Italia. Infatti la struttura sociale dell'Italia di oggi, come quella fin dall'Ottocento, è centrata intorno alla famiglia e alla casa e di solito ha premiato le ideologie di conservazione. Lo stesso fascismo storico si affermò quando divenne forza di conservazione sociale. Il renzismo ha dimostrato di essere forza di rottura nei confronti della sua stessa base sociale, ad esempio nell'aspra polemica con il sindacalismo di matrice socialista. E' proteiforme, cangiante, come la gran parte dei movimenti politici contemporanei. Potrebbe adattarsi nell'era del trumpismo. Consolidato il suo potere probabilmente diverrà forza di conservazione. Questa via però lo porterà a dissolvere il modello di "partito maggioritario" che gli ideologici della riforma avevano in mente, che è un partito centrato sulla riforma sociale. A quel punto non rimarrà in italia alcun attore politico in grado di offrire le opportunità che la riforma costituzionale offre a una forza di sinistra, che voglia innanzi tutto tener conto di chi nella società sta peggio, vale a dire la maggioranza della società diseguale contemporanea. Un elemento ancora manca al consolidamento del renzismo: l'appoggio politico della Chiesa cattolica. Ha sfruttato opportunisticamente l'era di Bergoglio per superare lo storico sfavore verso la sinistra comunista dell'apparato clericale: quella che afflisse sempre il prodismo. Ma in Italia la politica, fin dall'inizio dl secolo scorso, si è consolidata intorno ai clerico-moderati.  Gli ideologici della riforma appartengono alla corrente opposta. Quindi, ribadisco, il renzismo per consolidarsi dovrà cambiare pelle, e non sarà più una pelle di sinistra.

Mario Ardigò - Roma

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Da: Area <area-bounces a areaperta.it> per conto di Carlo Brusco <c.brusco a alice.it>
Inviato: martedì 22 novembre 2016 21:29
A: area-bounces a areaperta.it; 'Area (m-l)'; iscritti-bounces a magistraturademocratica.it
Oggetto: [Area] (senza oggetto)

Mi sembra veramente singolare che, per una riforma costituzionale di così vaste dimensioni, ci si ponga il problema se la riforma sia di destra o di sinistra.

Le riforme costituzionali riguardano tutti e dovrebbero essere condivise dalla più ampia fascia possibile di posizioni politiche. Se i costituenti avessero ragionato con questa logica non avremmo una costituzione condivisa (anche dal PD che nel programma delle ultime elezioni la presentava quasi come immodificabile). Un’ampia riforma, come quella oggi approvata, avrebbe dovuto inoltre formare oggetto di esame da parte di un organo che non fosse eletto col sistema maggioritario: questo sistema può valere per garantire la governabilità non per modificare le regole della convivenza civile  tra i cittadini.

Quando il congresso Usa (nel 1913 !) decise di approvare il XVII emendamento – che rendeva il Senato elettivo a suffragio universale (in precedenza erano scelti dai parlamenti locali: vi dice niente ?) - fece una scelta di destra o di sinistra ? Ovvero fece una scelta di democrazia mentre la riforma su cui dobbiamo votare ne fa una opposta ?

Né si dica che questa scelta è giustificata dall’eliminazione del bicameralismo perfetto perché il bicameralismo perfetto rimane per le più rilevanti funzioni legislative (modifica della Costituzione, leggi costituzionali e politica europea: vi sembra poco ?) e per l’elezione del presidente della Repubblica. Non solo interviene quindi (al di là del problema della maggioranza prevista) nella scelta del più importante organo di garanzia ma addirittura si sceglie (da solo!) ben due componenti dell’altro fondamentale organo di garanzia, la Corte costituzionale, alterandone inevitabilmente l’equilibrio.

Anche la riforma Berlusconi del 2005 – pur se le sue competenze erano state ridotte a quelle riguardanti gli enti territoriali – prevedeva l’elezione del Senato a suffragio universale. Era di destra o di sinistra questa scelta (che, tra l’altro, riduceva sensibilmente il numero di deputati e senatori) ? E questa riforma prevedeva anche un sistema di composizione dei contrasti che residuavano, pur dopo la drastica riduzione delle competenze, nella restante legislazione in cui rimaneva la competenza del Senato.

Saluti a tutti.

Carlo Brusco

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