[Area] 7 minuti e referendum costituzionale

Pasquale Profiti pasquale.profiti a gmail.com
Mar 29 Nov 2016 19:35:02 CET


Incollo il testo di un articolo pubblicato su due quotidiani locali del
Trentino Alto Adige. Il tono è evocativo e il contenuto poco tecnico. In
più è lungo, quindi il tasto CANC ​è una condivisibile opzione. Cordiali
saluti a tutte/i

7 minuti. E’ il titolo del recente film di Michele Placido e di uno
spettacolo teatrale; ma non solo. E’ la storia di diritti che sono trattati
come privilegi e di privilegi che diventano diritti. E’ una storia di
abitudine a dire sempre SI al più forte perché, si pensa, dopo le cose
cambieranno. E’ una storia di paure, la paura a dire NO alla limitazione
dei propri diritti ed al privilegio altrui, per il timore di perdere ancora
di più. E’ una storia di illusioni: l’illusione che se oggi diciamo SI, chi
sa, un domani non ce ne chiederanno altri.

Un gruppo di operaie ed impiegate, giovani e meno giovani, madri e figlie,
straniere ed italiane devono accettare una proposta della nuova proprietà
della loro fabbrica. Perdere 7 minuti dei 15 che sono rimasti loro di pausa
pranzo. In cambio? il mantenimento del posto di lavoro. Le donne temevano
di essere buttate su una strada, la chiusura della fabbrica e, con essa, il
passaggio alla povertà. Quel lavoro è tutto, per loro, quel lavoro è
sentito come un privilegio. Che cosa possono essere 7 minuti a fronte del
lavoro, quel lavoro che tante hanno già perso? A proporre la perdita di 7
minuti è una donna, la nuova proprietaria. Ha fretta ed è infastidita.
Perché mai quelle operaie si prendono tutto quel tempo per accettare la sua
proposta? Non conosce nulla della vita di quelle donne, non sa chi sono e
come vivono e non le interessa più di tanto. Trenta anni fa la pausa pranzo
era di 45 minuti. Tanti SI sono stati già detti prima, in nome del
cambiamento, del nuovo che bisogna provare, per non perdere ulteriormente,
sperando che fosse l’ultimo.

L’operaia più anziana li conosce tutti quei SI dati in precedenza e conosce
quanto hanno pesato sulla sua pelle. Conosce anche la speranza, vana, che
quelli dati fossero gli ultimi SI. E questa volta propone un NO alle sue
sorprese colleghe.

Quell’ennesimo SI, richiesto alle lavoratrici del film, somiglia molto al
SI che viene proposto dai revisori della Costituzione per il referendum del
4 dicembre.

E’ un SI, si dice, per cambiare, per essere più velocemente governati da
chi prende in mano il paese per 5 anni, decide per noi e poi si sottopone
al nostro nuovo giudizio.

Non è così e non sarà così. Quel SI che ci viene richiesto è un SI a
governi che, come in passato, rappresenteranno una minoranza del paese; è
un SI per farci continuare a passare sopra le nostre teste decisioni rapide
di cui non capiremo nulla fin quando sarà troppo tardi; è un SI per
toglierci possibilità di votare per eleggere organi che decideranno molto
del nostro futuro; è un SI a qualcosa di cui nessuno sa dirci come sarà; è
un SI che ci viene richiesto come una scommessa, perché, si dice, bisogna
vedere come funzionerà.

NO, questa volta sappiamo già come funzionerà: esattamente come ha
funzionato negli ultimi 25 anni, con leggi che tutelano pochi a scapito dei
molti, che rubano il futuro alle nuove generazioni, senza stanare le sacche
di paratissimo.

 Il NO dirà molto. E’ un NO a chi in futuro governerà tentando di
preservare gli interessi dei pochi che lo sostengono; è un NO ai governi
che monopolizzano l’attività del Parlamento e fanno passare solo le regole
che servono a consolidare ed incrementare il potere di chi già lo ha; è un
NO all’abuso dei decreti legge, delle leggi delega, delle procedure
d’urgenza e della fiducia, per tornare alla Costituzione, che voleva che le
leggi fossero discusse e chiarite in parlamento, non in stanze oscure
dentro le quali non si sa chi vi partecipa. E’ un NO al tentativo di dare
ai governi che verranno ulteriori strumenti per controllare il Parlamento,
come se non ne avessero già abbastanza: il voto a data certa, previsto dal
nuovo art. 70, consentirà ancor di più di oggi di eliminare qualsiasi
spazio di dialogo e spiegazione ai cittadini, imponendo la forza dei numeri
parlamentari al bene del paese.

E’ un NO all’idea che il governo centrale sia meglio della
responsabilizzazione delle autonomie locali, con il riaccentramento di
importante competenze allo Stato voluto dalla riforma; è un NO
all’imposizione dall’alto delle decisioni sulla pelle dei territori senza
che nemmeno si possa discutere; è un NO al conflitto sociale che si
genererà imponendo dall’alto, alle comunità locali, scelte accettabili solo
dal punto di vista di chi non deve sopportarne le conseguenze, come avverrà
con la clausola di supremazia statale prevista dalla riforma all’art. 117
co. 4 e che, pur riguardando le autonomie locali, il riformatore si è ben
guardato dall’inserire tra le materie che rimarranno a competenza
bicamerale paritaria, lasciandola invece tra quella a prevalenza della
camera dei deputati.

E’ un NO all’ulteriore aumento delle distanze tra cittadini ed istituzioni
pubbliche e della conseguente disaffezione alla partecipazione, con
l’eliminazione dell’elezione diretta del Senato, delle aree metropolitane,
degli enti a dimensione intermedia tra comuni e regioni, affidate a
meccanismi elettorali indiretti del tutto incerti, mentre quelli già
previsti dalla riforma per il Senato appaiono solo una vera e propria
cooptazione partitica, che nulla lascia alle preferenze dei cittadini.

E’ un NO che vorrà dire basta alle mistificazioni propagandistiche, perché
non è la Costituzione che vuole i vitalizi e gli stipendi a due cifre,
né  prevede
apparati burocratici superflui: quelli li hanno voluto altri.

E’ un NO che vuole affermare chiaro e forte che se qualcosa non è andato
nel nostro Paese, ciò è accaduto non per la Costituzione, ma nonostante la
Costituzione, che ci ha spesso preservato da un declino economico e
culturale che per colpa di altri è stato avviato: la Costituzione ha
consentito di eliminare le leggi ad personam, provvedimenti iniqui in
materia di pensione e blocco degli stipendi, le ataviche culture
discriminatorie di genere. E’ la Costituzione che ci ha portato da paese
agricolo ed analfabeta, con scarsa propensione alla democrazia, ad un paese
che ha saputo combattere autoritarismi e terrorismo, mafia e corruzione,
grazie allo spirito che ha animato la sua approvazione e che ci ha fatto
crescere nonostante i nostri gravi problemi.

E’ un NO che vuole affermare con nitidezza che le regole non devono essere
veloci, ma chiare e supportate da una spiegata e meditata visione politica,
perché solo così saranno intese come regole rispettabili e per questo
rispettate. Quel rispetto che la Costituzione si è guadagnata sul campo,
per ciò che ci ha dato. Di più non poteva fare, perché lei ci ha dato una
rotta, che ci ha impedito di schiantarci contro gli scogli, ma nulla può se
i capitani della nave hanno deciso da molti anni di non seguirla, quella
rotta, nella disaffezione o disattenzione di noi cittadini passeggeri della
nave.

Con il NO, forse, abbiamo ancora una speranza di riprenderla in mano quella
rotta della nostra Costituzione: la rotta dell’equità sociale e delle pari
opportunità, contro la direzione voluta dai governi delle minoranze nel
paese che presidiano gli interessi di pochi. La stessa scelta delle donne
lavoratrici sui loro sette minuti: sottomettersi ancora una volta al
ricatto di chi continua a togliere diritti o cominciare a dire, finalmente,
NO, per tentare di riconquistarli.
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