[Area] Pronto soccorso romani

mario ardigo marioardigo a yahoo.com
Ven 6 Gen 2017 07:51:46 CET


  Da diversi anni mi occupo a a Roma di procedimenti penali in cui si ipotizza responsabilità colposa di operatori sanitari: medici, infermieri, fisioterapisti, ausiliari.  Spesso devo affrontare casi che riguardano i pronto soccorso.  Si tratta di strutture pubbliche o private ma convenzionate con la Regione per il Servizio sanitario nazionale, anche se alcune cliniche private non convenzionate hanno organizzato servizi di medicina d'urgenza, in particolare quelle che hanno reparti di terapia intensiva  o sub-intensiva, specialmente da quando hanno preso piede le polizze assicurative sanitarie stipulate da categorie professionali o comunque collegate a certi rapporti di lavoro. I pronto soccorso pubblici sono sotto-dimensionati rispetto alle richieste dell'utenza, quindi alle richieste di medicina d'urgenza. La situazione è aggravata dalla riduzione dei posti letto nei reparti degli ospedali pubblici, determinata da esigenze di finanza pubblica. Che c'entra questo aspetto con i problemi dei pronto soccorso? Può accadere che, dopo una prima valutazione clinica e ottenuta la stabilizzazione del paziente in pronto soccorso, quindi cessato il pericolo immediato di vita, occorra il ricovero del paziente per il proseguimento di terapie che non possano farsi a domicilio o anche solo per il proseguimento dell'osservazione clinica nel caso che linee guida o buone prassi raccomandino di farla in ambiente ospedaliero, o per interventi chirurgici o altre procedure invasive, come quelle di radiologia ed endoscopia interventistica, nelle quali si effettuano interventi chirurgici mediante microstrumenti operativi applicati a  cateteri introdotti nei vasi sanguigni o a tubi endoscopici. In questi casi  i medici di pronto soccorso richiedono il ricovero nei reparti appropriati: i pronto soccorso quindi funzionano anche come dipartimenti di accettazione e, infatti sono in genere denominati DEA - Dipartimento di emergenza e accettazione.  La riduzione dei posti letto nei reparti ha comportato, occorrendo talvolta il proseguimento dell'osservazione clinica in ambiente ospedaliero, per alcune ore o anche per alcuni giorni, o comunque quando sia indicato il ricovero e non ci siano posti letto in reparto, l'istituzione nei pronto soccorso di reparti di "breve osservazione", con locali di degenza e trattamento simile, ma non in tutto, a quello dei reparti. In genere lo spazio per il paziente nei reparti di breve osservazione è minore che nei reparti. Di solito le stanze dei reparti di breve osservazione non hanno un bagno. Vengono serviti pasti, in confezioni sigillate precotte, ma è più difficile organizzare una dieta calibrata sulle specifiche esigenze del paziente. Di solito si sta in stanza in più persone, anche se vi sono pronto soccorso specialistici, come a Ematologia del Policlinico Umberto I, in cui i pazienti stanno in stanzette singole (questo è indicato per gli immunodepressi). Può accadere che l'accesso in pronto soccorso sia utilizzato come scorciatoia per i ricoveri, per superare liste di attesa di interventi chirurgici programmati e possono anche ipotizzarsi abusi.  Qual è il problema? La richiesta dell'utenza, quindi la gente che si presenta in pronto soccorso per valutazioni cliniche e medicazioni urgenti, è superiore alla capacità di lavorazione delle strutture sanitarie. In alcuni periodi dell'anno, o in occasione di altre emergenze sanitarie che possono presentarsi, anche solo per la psicosi ingiustificata da meningite che corre in questi giorni nelle famiglie romane (la statistica sanitaria, come ho letto ieri, dice che i casi di meningite sono diminuiti  a Roma), ci sono tantissimi pazienti in attesa nelle sale dei pronto soccorso. All'arrivo, il paziente viene valutato da un infermiere e gli viene attribuito, secondo criteri predeterminati, un codice, bianco, verde, giallo e rosso, a secondo dell'apparente gravità dei sintomi manifestati e del conseguente stimato pericolo per la vita. I codici gialli e rossi, quelli per i quali si stima un pericolo per la vita del paziente, in genere vengono immediatamente introdotti nella struttura di pronto soccorso per la valutazione medica, innanzi tutto per essere stabilizzati, quindi per contenere il pericolo per la vita. Alcuni codici rossi vengono immediatamente avviati in sala operatoria. Per gli altri codici rossi e per i codici gialli si eseguono esami analitici e strumentali e si eseguono consulenze specialistiche, a seconda delle patologie: quindi si chiamano medici dai reparti per valutare il paziente. Viene impostata una terapia. E, soprattutto, si prosegue, secondo criteri predeterminati e conformi a linee guida e buone prassi, l'osservazione clinica. I codici rossi e gialli possono rimanere nei pronto soccorso per diverse ore o diversi giorni. Nei periodi critici, come quello attuale in cui ci sono molti anziani con conseguenze gravi da influenza o da altre patologie respiratorie, le stanze dei reparti di breve osservazione non bastano. I pazienti allora vengono trattenuti nello stanzone che dovrebbe essere dedicato ai pazienti che richiedono un'osservazione costante, ininterrotta, o nei corridoi. L'organizzazione dei pronto soccorso, solo apparentemente caotica, è organizzata secondo precisi protocolli: ognuno sa che cosa deve fare. Questo consente di solito di far fronte alle emergenze da sovraffollamento. Ma quando il numero dei pazienti cresce di molto, l'osservazione clinica può divenire difficoltosa, anche per la presenza, che non solo non si può impedire ma che in alcuni casi è raccomandata dalle linee guida, come nel caso di pazienti anziani soggetti a una sindrome  detta "delirium" o "stato confusionale acuto", dei parenti o degli accompagnatori dei pazienti, i quali non di rado perdono il controllo e creano problemi (si hanno anche casi di aggressione violenta al personale sanitario). Il tempo impiegato per il contenimento di queste proteste è sottratto ai malati. Inoltre l'osservazione clinica può scadere in alcuni specifici casi di pazienti problematici, ad esempio di anziani non accompagnati in fase di "delirium" e di varie categorie di persone disagiate, in particolare gli stranieri senza fissa dimora e legami sociali che non parlino l'italiano e i tossicodipendenti raccolti in strada in crisi clinica da sostanze d'abuso. Questa situazione mette a rischio non solo i malati, ma anche gli operatori sanitari. Infatti in certi casi diventano sottodimensionati non solo gli ambienti, per cui si sta accampati nei corridoi, ma anche medici e infermieri. Per i medici il caso è gravissimo perché, per ogni situazione clinica, ci sono linee guida, quindi raccomandazioni basate sull'esperienza clinica, che indicano che fare, ma può accadere che, per il grave sovraffollamento e altre condizioni critiche, vengano disattese. Nel diritto c'è un detto antico:  "nessuno  è tenuto all'impossibile". Quando però si ragione a posteriori, su un caso clinico pervenuto alla sede giudiziaria, perché c'è stato un morto o qualcuno ha proposto querela, le condizioni organizzative critiche non emergono: vengono dedotte dai difensori, ma  non ne rimane traccia nella documentazione clinica che di solito si acquisisce. Dal registro di pronto soccorso risultano gli accessi e da lì si può trarre qualche conclusione. Ma ciò che veramente è accaduto rimane solo affidato alla memoria degli stessi operatori sanitari. Però da loro la gente pretende anche l'impossibile. In sede giudiziaria talvolta mi pare che si segua quell'indirizzo. Ma, in effetti, se c'è stato uno scostamento da linee guida e buone prassi, non si trattava di fare l'impossibile, ma di fare quello che in astratto era possibile, ma che può darsi sia divenuto impossibile in concreto, in quella certa situazione critica di sovraffollamento e di congestione organizzativa.  A Roma la situazione critica dei pronto soccorso si riflette, ed è veramente inconcepibile che accada, anche sul servizio di soccorso d'emergenza svolto dalle ambulanze organizzate dal servizio regionale 118. Infatti i pazienti vengono trasportati in pronto soccorso nelle barelle delle ambulanze e spesso  ci rimangono per ore, bloccando le ambulanze, perché i pronto soccorso non hanno altre barelle.  C'è poi la domanda prettamente di prestazioni ambulatoriali (la visita medica specialistica, la piccola medicazione) che viene in genere disattesa nei pronto soccorso nei momenti più critici e che sconta comunque lunghe attese perché rientra in genere nei codici bianchi e verdi. Per questa si è da tempo individuata la soluzione: organizzare ambulatori di quartiere aperti h 24: ma poi, che io sappia,  non si è riusciti a organizzare questo servizio, salvo che in esperienze pilota, affidate spesso al volontariato.  Detto questo, che fare? Al di là dei momenti critici, non mi pare che ci sia nella cittadinanza una pressione politica per risolvere quei problemi. E la soluzione del problema dei pronto soccorso pubblici  è affidata solo alla politica. La sanità costa: ampliarla, potenziarla, richiede nuove tasse.  La gente però mi pare che preferisca in genere lo slogan "meno tasse"  a quello "sanità migliore per tutti" (lo scopo della sanità pubblica).  Questo poi determina che gli eletti si determinino di conseguenza.   So poi che i medici di sanità pubblica sono ostacolati dal rendere palesi certi problemi perché nei loro contratti di lavoro, sempre più a termine, ci sono clausole che vietano loro di farlo. Chi parla, rischia grosso. E' il risultato di un'organizzazione sanitaria pubblica che si  è voluta sempre più modellata sul quella "aziendale" privata, per reagire agli eccessi dei primi tempi, negli anni '80, quando ogni unità sanitaria era governata da un piccolo parlamento. L'aspetto aziendale prevale su quello comunitario, che dovrebbe invece caratterizzare la sanità  pubblica. Una dinamica analoga si ha nella scuola pubblica. C'è infine un aspetto del problema, che accenno e che ha una sua rilevanza. In genere  i pronto soccorso salvano la gente, ma  spesso operatori sanitari,, pazienti e accompagnatori  ne escono feriti nella loro dignità di persone umane. E se si deve morire, e in alcuni casi si deve perché la morte è un fatto umano anche se spesso lo si dimentica, si muore male, disperati e con la sensazione di abbandono. Questo offre molte occasioni alla costosa sanità privata, che può soddisfare sempre più richieste di medicina d'urgenza perché seleziona i pazienti in base alla loro solvibilità. Si accrescono quindi le diseguaglianze sociali e questo anche se, a Roma, ma credo in tutta Italia, nel caso di un problema sanitario d'urgenza veramente grave anche le maggiori strutture sanitarie private rimandano ai pronto soccorso pubblici.Mario Ardigò - Roma 
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