[Area] 25 aprile

Carlo Brusco c.brusco a alice.it
Mar 25 Apr 2017 12:39:52 CEST


Oggi è il 25 aprile. Per chi ha voglia di perdere qualche minuto del suo
tempo trasmetto alcune parti di una riflessione fatta,  il 9 gennaio 2016,
al seminario sul tema “Per uno Stato pienamente antifascista” svoltosi a
Gattatico (RE) presso l’Istituto Alcide Cervi e organizzato dall’Anpi (a
proposito qual è l’opinione dei magistrati “progressisti” su questa
organizzazione ?).

 

“Premetto che non sono un esperto dei temi che saranno trattati in questo
seminario……Ho però studiato in questi ultimi anni alcuni temi riguardanti i
rapporti del passato tra magistratura e fascismo e credo che una riflessione
su questi problemi, anche se riferiti a fatti lontani nel tempo, possa
essere utile per meglio comprendere e affrontare vicende più attuali; non è
infatti infrequente che alcuni  fenomeni storici si ripetano.

Anche perché l’attività della magistratura è stata spesso percorsa, in
passato, da ripetute sottovalutazioni dei fenomeni eversivi e ciò è
avvenuto, in particolare, prima dell’avvento del regime fascista. Nel corso
del ventennio vi è stata poi una sostanziale, anche se non totale, adesione
al regime cui ha fatto seguito, dopo l’avvento della democrazia, un’opera di
rimozione di tale adesione.

 

Per comprendere meglio questo percorso è necessaria una breve sintesi delle
vicende dell’associazionismo dei magistrati. Nel 1909 viene fondata
l’Associazione Generale dei magistrati italiani (AGMI) che, nel 1914-15, si
schiera con le forze nazionaliste per sollecitare l’intervento in guerra e
l’adesione a questi movimenti si accentua dopo la fine del conflitto; epoca
nella quale si acuiscono i già presenti conflitti sociali alla cui
repressione la magistratura coopera anche con duri interventi giudiziari in
particolare nei confronti dei socialisti massimalisti e delle organizzazioni
operaie per fatti avvenuti in occasioni di manifestazioni e di scioperi.

Esempi di questa adesione ai principi nazionalisti sono costituiti dall’aver
ospitato, sulle colonne dell’organo dell’AGMI, uno scritto di un giurista
(Giuseppe Maggiore) che si distinguerà, negli anni ’30, per la sua adesione
ai principi giuridici nel nazismo e per commenti, apparsi sulla stessa
pubblicazione, che la dicono lunga sulla posizione della dirigenza
dell’associazione sui temi riguardanti la giustizia. 

In particolare in relazione ai commenti (peraltro tutti positivi) alle
richieste formulate da un gruppo di 45 magistrati esterni all’associazione
la rivista dell’AGMI commenta la condivisione della protesta del socialista
Claudio Treves affermando che questa adesione “riflette la metalità della
borghesia plutocratica italiana e del non meno quattrinaio socialismo di cui
Treves, socialista plutocrate……”. Quando parla invece delle espressioni di
consenso espresse da Benito Mussolini (che, negli anni futuri, se le
rimangerà interamente) afferma che egli “crede nella ricostruzione e la
invoca……ha fede nel fremito di rinnovamento” per concludere che “noi
respingiamo come falsa e assurda la concezione di Treves e siamo unanimi per
la concezione di Benito Mussolini”.

Per fortuna non si trattava di una posizione unanime e immutabili degli
organi associativi della magistratura. Nel 1919 i vertici dell’AGMI cambiano
e viene eletto presidente Raffaele De Notaristefani che, da subito, esprime
sul giornale associativo apprezzamento per i movimenti che operano per
“l’elevazione delle classi popolari” e addirittura si fa sostenitore di una
“rivolta del proletariato intellettuale” contro la “stessa oppressione
capitalistica” e s’indigna per la “ingiusta distribuzione della ricchezza”.

Insomma una vera e propria inversione di tendenza. Per evitare equivoci va
sottolineato che, naturalmente, non tutti i magistrati erano nazionalisti
prima e non tutti sono diventati socialisti adesso.

Infatti nel 1922 – dopo la presa del potere da parte del partito fascista –
l’AGMI esprime una cauta apertura di credito nei confronti del nuovo regime
con richieste il cui contenuto dimostra che i dirigenti associativi nulla
avevano capito della natura delle forze politiche che lo sostenevano. 

Se ne accorgono nel 1923 quando viene attuata una prima epurazione (ve ne
sarà una seconda ben più rilevante alcuni anni dopo) in esito alla quale
vengono posti in quiescenza non solo vari magistrati “sgraditi” al potere
(tra i quali, ovviamente, Di Notaristefani) ma anche magistrati di grande
prestigio professionale (per es. Lodovico Mortara, all’epoca presidente
della Corte di cassazione di Roma, ma considerato troppo indipendente per
poter essere nominato primo presidente della Cassazione che verrà unificata
proprio in quel periodo su iniziativa anteriore alla presa del potere da
parte del partito fascista).

Nel 1925 l’associazione dei magistrati infine si autoscioglie – con una
dichiarazione per la verità molto dignitosa - per evitare di diventare un
sindacato fascista.

 

Ma quale è stato l’atteggiamento complessivo della magistratura durante il
periodo fascista ? Va detto anzitutto che non esistono studi sistematici
sugli orientamenti giurisprudenziali di questo periodo ma quello che emerge
è che, nel suo complesso, la magistratura dimostrò di essere largamente
conformista e di adeguarsi alle direttive del regime.

Ciò non impedì che venissero pronunziate sentenze che dimostravano come non
tutti i giudici si adeguassero alle direttive del regime che, più che
contrastare apertamente le decisioni sgradite, si limitava ad isolare i
magistrati che le pronunziavano e ad impedire loro di beneficiare di
progressioni di carriera e di svolgere funzioni direttive. 

Tra le altre sentenze – che dimostrano che esisteva un margine per esprimere
decisioni indipendenti - possono ricordarsi le sentenze relative al processo
di Savona in cui gli organizzatori (tra cui Sandro Pertini) dell’espatrio di
Turati furono condannati per espatrio clandestino non dettato da motivi
politici (!) ; quella che pervenne all’assoluzione per legittima difesa di
Emilio Lussu dall’accusa di omicidio volontario in danno di uno degli
squadristi che l’avevano aggredito dopo essere entrati nella sua abitazione;
l’assoluzione di alcuni giornalisti de “La Voce Repubblicana” dall’accusa di
aver diffamato Italo Balbo per averlo accusato di essere coinvolto
nell’omicidio di don Minzoni; una sentenza del Tribunale di Piacenza
(presieduto da Domenico Riccardo Peretti Griva, magistrato che non aveva mai
nascosto le sue idee democratiche) che condannò alcuni squadristi per aver
aggredito e cagionato lesioni ad un avvocato antifascista.

Del resto il regime non impose mai ai magistrati già in servizio – obbligo
invece riservato a quelli di nuova assunzione - l’iscrizione al pnf che
peraltro divenne di fatto obbligatoria per quelli che volevano fare carriera
o occupare posti direttivi. Del resto le decisioni di merito che, in qualche
modo, contrastavano i principi (o gli esponenti) fascisti venivano di solito
annullate nei successivi gradi di giudizio.

Non si pensi però ad una magistratura totalmente succube del regime; lo
dimostrano le numerose circolari ministeriali o dei procuratori generali che
lamentavano un’eccessiva mitezza nelle pene applicate per reati considerati
“sensibili” dal regime (per es. per offese al capo del governo, i reati a
contenuto sovversivo, i reati annonari), invitavano per questi reati ad
escludere la concessione di attenuanti e chiedevano di non iniziare neppure
l’azione penale se si riteneva che il processo potesse concludersi con
un’assoluzione o l’inflizione di una pena troppo mite. Lo dimostra inoltre
lo spostamento, da Roma a Chieti, del processo per l’omicidio di Giacomo
Matteotti essendo stata, la seconda sede, evidentemente ritenuta più
benevola e “affidabile” rispetto a quella romana.

Ma v’è un’altra ragione che fa ritenere che il regime non si fidava
integralmente della magistratura ordinaria: nel 1926 fu istituito - con la
legge contenente provvedimenti per la difesa dello Stato che segnò
definitivamente la svolta dittatoriale del regime – il Tribunale speciale
per la difesa dello Stato al quale fu attribuita la competenza a giudicare
di tutti i reati che in qualche modo riguardavano la repressione dei reati
contro lo Stato e per il contrasto del dissenso nei confronti del regime. Fu
reintrodotta la pena di morte che, dal tribunale speciale, fu applicata in
circa quaranta casi.

 

Paradossalmente, in questo clima di conformismo, l’immagine della
magistratura esce invece nobilitata da quanto avvenuto nel periodo
successivo e nelle parti d’Italia sotto l’occupazione tedesca e il  governo
etero diretto della rsi. Ovviamente anche in questo periodo vi furono casi
non isolati di esplicita adesione o di opportunismo nei confronti del nuovo
regime soprattutto da parte degli alti gradi della magistratura ed in
particolare dei componenti della nuova cassazione che aveva sede a Brescia.

E’ però da sottolineare, anzitutto, che vi fu un esplicito rifiuto di
prestare giuramento alla repubblica sociale e il ministro della giustizia
che l’aveva imposto fu costretto a revocare l’ordine. 

Inoltre in generale i magistrati, in questo triste periodo della nostra
storia, non furono uno strumento passivo nelle mani dell’occupante nazista e
dei loro complici italiani ma in più occasioni opposero strumenti legali
alle violenze di regime ordinando la liberazione di persone arrestate
illegittimamente e non giustiziate sul posto come avveniva frequentemente,
rifiutando di applicare la pena di morte invocata dall’occupante e dai loro
complici. In numerosi casi, inoltre, i magistrati collaborarono con le forze
della Resistenza e almeno 15 di loro caddero o furono deportati trovando poi
la morte nei campi di concentramento.

Non mi soffermo sul periodo successivo alla fine della guerra caratterizzato
da una applicazione assai rigorosa (in senso favorevole agli epurandi) della
normativa sull’epurazione (peraltro assai imperfetta) da parte degli alti
gradi della magistratura in larga parte compromessi per l’adesione al regime
fascista. E da una applicazione assai benevola dell’amnistia Togliatti nei
confronti dei crimini fascisti……..”

 

Grazie per l’attenzione. Per il prossimo 25 aprile spero di riuscire a
preparare una breve sintesi delle storie dei magistrati che hanno
sacrificato la vita in difesa della libertà. Non si trattava di persone
molto attente alla loro carriera e ai benefici che l’adesione al regime
comportava. Siamo – o siamo stati per quelli che sono in pensione – tutti di
questa levatura etica ? 

 

 

Carlo Brusco

 

 

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