[Area] [Iscritti] 25 aprile

Sanlorenzo Rita rita.sanlorenzo a giustizia.it
Mar 25 Apr 2017 13:15:31 CEST


Che bella testimonianza, Carlo!Grazie e buon 25 aprile anche a te e a tutti quelli che ci leggono.


Quanto alla posizione verso l'ANPI, mi permetto di incollare sotto la nota di Md che accompagna il Comunicato dell'Associazione Nazionale dei Partigiani. MI pare che basti, io mi trovo pienamente rappresentata dalle parole del gruppo


Quest'anno, il #25aprile, festeggiamo il frutto più mirabile e maturo della Resistenza: la Costituzione italiana, nel 70° anniversario della sua approvazione. Per questo rilanciamo il comunicato dell'Anpi, a cui va tutta la nostra riconoscenza. Difendere la Costituzione significa impegnarsi per un metodo e per un progetto. Un metodo di condivisione delle regole fondamentali e di concordia. Un progetto di libertà, uguaglianza, solidarietà, democrazia. Siamo in un'epoca in cui il mondo torna a essere insanguinato e i muri tornano a essere il simbolo della difesa degli interessi. La Resistenza e la Costituzione ci insegnano che la lotta per la libertà e i diritti è sempre lotta per la libertà e i diritti di tutti.



http://www.anpi.it/articoli/1736/appello-dellanpi-per-il-25-aprile-attuare-la-costituzione-per-cambiare-litalia​



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Da: Iscritti <iscritti-bounces a magistraturademocratica.it> per conto di Carlo Brusco <c.brusco a alice.it>
Inviato: martedì 25 aprile 2017 12:39
A: area a areaperta.it; iscritti a magistraturademocratica.it; nuovarea a nuovarea.it
Oggetto: [Iscritti] 25 aprile

Oggi è il 25 aprile. Per chi ha voglia di perdere qualche minuto del suo tempo trasmetto alcune parti di una riflessione fatta,  il 9 gennaio 2016, al seminario sul tema “Per uno Stato pienamente antifascista” svoltosi a Gattatico (RE) presso l’Istituto Alcide Cervi e organizzato dall’Anpi (a proposito qual è l’opinione dei magistrati “progressisti” su questa organizzazione ?).

“Premetto che non sono un esperto dei temi che saranno trattati in questo seminario……Ho però studiato in questi ultimi anni alcuni temi riguardanti i rapporti del passato tra magistratura e fascismo e credo che una riflessione su questi problemi, anche se riferiti a fatti lontani nel tempo, possa essere utile per meglio comprendere e affrontare vicende più attuali; non è infatti infrequente che alcuni  fenomeni storici si ripetano.
Anche perché l’attività della magistratura è stata spesso percorsa, in passato, da ripetute sottovalutazioni dei fenomeni eversivi e ciò è avvenuto, in particolare, prima dell’avvento del regime fascista. Nel corso del ventennio vi è stata poi una sostanziale, anche se non totale, adesione al regime cui ha fatto seguito, dopo l’avvento della democrazia, un’opera di rimozione di tale adesione.

Per comprendere meglio questo percorso è necessaria una breve sintesi delle vicende dell’associazionismo dei magistrati. Nel 1909 viene fondata l’Associazione Generale dei magistrati italiani (AGMI) che, nel 1914-15, si schiera con le forze nazionaliste per sollecitare l’intervento in guerra e l’adesione a questi movimenti si accentua dopo la fine del conflitto; epoca nella quale si acuiscono i già presenti conflitti sociali alla cui repressione la magistratura coopera anche con duri interventi giudiziari in particolare nei confronti dei socialisti massimalisti e delle organizzazioni operaie per fatti avvenuti in occasioni di manifestazioni e di scioperi.
Esempi di questa adesione ai principi nazionalisti sono costituiti dall’aver ospitato, sulle colonne dell’organo dell’AGMI, uno scritto di un giurista (Giuseppe Maggiore) che si distinguerà, negli anni ’30, per la sua adesione ai principi giuridici nel nazismo e per commenti, apparsi sulla stessa pubblicazione, che la dicono lunga sulla posizione della dirigenza dell’associazione sui temi riguardanti la giustizia.
In particolare in relazione ai commenti (peraltro tutti positivi) alle richieste formulate da un gruppo di 45 magistrati esterni all’associazione la rivista dell’AGMI commenta la condivisione della protesta del socialista Claudio Treves affermando che questa adesione “riflette la metalità della borghesia plutocratica italiana e del non meno quattrinaio socialismo di cui Treves, socialista plutocrate……”. Quando parla invece delle espressioni di consenso espresse da Benito Mussolini (che, negli anni futuri, se le rimangerà interamente) afferma che egli “crede nella ricostruzione e la invoca……ha fede nel fremito di rinnovamento” per concludere che “noi respingiamo come falsa e assurda la concezione di Treves e siamo unanimi per la concezione di Benito Mussolini”.
Per fortuna non si trattava di una posizione unanime e immutabili degli organi associativi della magistratura. Nel 1919 i vertici dell’AGMI cambiano e viene eletto presidente Raffaele De Notaristefani che, da subito, esprime sul giornale associativo apprezzamento per i movimenti che operano per “l’elevazione delle classi popolari” e addirittura si fa sostenitore di una “rivolta del proletariato intellettuale” contro la “stessa oppressione capitalistica” e s’indigna per la “ingiusta distribuzione della ricchezza”.
Insomma una vera e propria inversione di tendenza. Per evitare equivoci va sottolineato che, naturalmente, non tutti i magistrati erano nazionalisti prima e non tutti sono diventati socialisti adesso.
Infatti nel 1922 – dopo la presa del potere da parte del partito fascista – l’AGMI esprime una cauta apertura di credito nei confronti del nuovo regime con richieste il cui contenuto dimostra che i dirigenti associativi nulla avevano capito della natura delle forze politiche che lo sostenevano.
Se ne accorgono nel 1923 quando viene attuata una prima epurazione (ve ne sarà una seconda ben più rilevante alcuni anni dopo) in esito alla quale vengono posti in quiescenza non solo vari magistrati “sgraditi” al potere (tra i quali, ovviamente, Di Notaristefani) ma anche magistrati di grande prestigio professionale (per es. Lodovico Mortara, all’epoca presidente della Corte di cassazione di Roma, ma considerato troppo indipendente per poter essere nominato primo presidente della Cassazione che verrà unificata proprio in quel periodo su iniziativa anteriore alla presa del potere da parte del partito fascista).
Nel 1925 l’associazione dei magistrati infine si autoscioglie – con una dichiarazione per la verità molto dignitosa - per evitare di diventare un sindacato fascista.

Ma quale è stato l’atteggiamento complessivo della magistratura durante il periodo fascista ? Va detto anzitutto che non esistono studi sistematici sugli orientamenti giurisprudenziali di questo periodo ma quello che emerge è che, nel suo complesso, la magistratura dimostrò di essere largamente conformista e di adeguarsi alle direttive del regime.
Ciò non impedì che venissero pronunziate sentenze che dimostravano come non tutti i giudici si adeguassero alle direttive del regime che, più che contrastare apertamente le decisioni sgradite, si limitava ad isolare i magistrati che le pronunziavano e ad impedire loro di beneficiare di progressioni di carriera e di svolgere funzioni direttive.
Tra le altre sentenze – che dimostrano che esisteva un margine per esprimere decisioni indipendenti - possono ricordarsi le sentenze relative al processo di Savona in cui gli organizzatori (tra cui Sandro Pertini) dell’espatrio di Turati furono condannati per espatrio clandestino non dettato da motivi politici (!) ; quella che pervenne all’assoluzione per legittima difesa di Emilio Lussu dall’accusa di omicidio volontario in danno di uno degli squadristi che l’avevano aggredito dopo essere entrati nella sua abitazione; l’assoluzione di alcuni giornalisti de “La Voce Repubblicana” dall’accusa di aver diffamato Italo Balbo per averlo accusato di essere coinvolto nell’omicidio di don Minzoni; una sentenza del Tribunale di Piacenza (presieduto da Domenico Riccardo Peretti Griva, magistrato che non aveva mai nascosto le sue idee democratiche) che condannò alcuni squadristi per aver aggredito e cagionato lesioni ad un avvocato antifascista.
Del resto il regime non impose mai ai magistrati già in servizio – obbligo invece riservato a quelli di nuova assunzione - l’iscrizione al pnf che peraltro divenne di fatto obbligatoria per quelli che volevano fare carriera o occupare posti direttivi. Del resto le decisioni di merito che, in qualche modo, contrastavano i principi (o gli esponenti) fascisti venivano di solito annullate nei successivi gradi di giudizio.
Non si pensi però ad una magistratura totalmente succube del regime; lo dimostrano le numerose circolari ministeriali o dei procuratori generali che lamentavano un’eccessiva mitezza nelle pene applicate per reati considerati “sensibili” dal regime (per es. per offese al capo del governo, i reati a contenuto sovversivo, i reati annonari), invitavano per questi reati ad escludere la concessione di attenuanti e chiedevano di non iniziare neppure l’azione penale se si riteneva che il processo potesse concludersi con un’assoluzione o l’inflizione di una pena troppo mite. Lo dimostra inoltre lo spostamento, da Roma a Chieti, del processo per l’omicidio di Giacomo Matteotti essendo stata, la seconda sede, evidentemente ritenuta più benevola e “affidabile” rispetto a quella romana.
Ma v’è un’altra ragione che fa ritenere che il regime non si fidava integralmente della magistratura ordinaria: nel 1926 fu istituito - con la legge contenente provvedimenti per la difesa dello Stato che segnò definitivamente la svolta dittatoriale del regime – il Tribunale speciale per la difesa dello Stato al quale fu attribuita la competenza a giudicare di tutti i reati che in qualche modo riguardavano la repressione dei reati contro lo Stato e per il contrasto del dissenso nei confronti del regime. Fu reintrodotta la pena di morte che, dal tribunale speciale, fu applicata in circa quaranta casi.

Paradossalmente, in questo clima di conformismo, l’immagine della magistratura esce invece nobilitata da quanto avvenuto nel periodo successivo e nelle parti d’Italia sotto l’occupazione tedesca e il  governo etero diretto della rsi. Ovviamente anche in questo periodo vi furono casi non isolati di esplicita adesione o di opportunismo nei confronti del nuovo regime soprattutto da parte degli alti gradi della magistratura ed in particolare dei componenti della nuova cassazione che aveva sede a Brescia.
E’ però da sottolineare, anzitutto, che vi fu un esplicito rifiuto di prestare giuramento alla repubblica sociale e il ministro della giustizia che l’aveva imposto fu costretto a revocare l’ordine.
Inoltre in generale i magistrati, in questo triste periodo della nostra storia, non furono uno strumento passivo nelle mani dell’occupante nazista e dei loro complici italiani ma in più occasioni opposero strumenti legali alle violenze di regime ordinando la liberazione di persone arrestate illegittimamente e non giustiziate sul posto come avveniva frequentemente, rifiutando di applicare la pena di morte invocata dall’occupante e dai loro complici. In numerosi casi, inoltre, i magistrati collaborarono con le forze della Resistenza e almeno 15 di loro caddero o furono deportati trovando poi la morte nei campi di concentramento.
Non mi soffermo sul periodo successivo alla fine della guerra caratterizzato da una applicazione assai rigorosa (in senso favorevole agli epurandi) della normativa sull’epurazione (peraltro assai imperfetta) da parte degli alti gradi della magistratura in larga parte compromessi per l’adesione al regime fascista. E da una applicazione assai benevola dell’amnistia Togliatti nei confronti dei crimini fascisti……..”

Grazie per l’attenzione. Per il prossimo 25 aprile spero di riuscire a preparare una breve sintesi delle storie dei magistrati che hanno sacrificato la vita in difesa della libertà. Non si trattava di persone molto attente alla loro carriera e ai benefici che l’adesione al regime comportava. Siamo – o siamo stati per quelli che sono in pensione – tutti di questa levatura etica ?


Carlo Brusco


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