[Area] I: intervento al plenum in commemorazione di Giovanni Falcone

Ardituro Antonio antonio.ardituro a giustizia.it
Gio 25 Maggio 2017 16:15:22 CEST




 Trascrivo di seguito il mio breve intervento (4 minuti) al plenum del 22
maggio, in commemorazione dei 25 anni dalla strage di Capaci.

Saluti, Antonello

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Grazie Presidente,

Fra gli atti pubblicati, le audizioni di Giovanni Falcone al CSM sono
sicuramente fra i più importanti documenti utili a ricostruire una
tormentata e sofferta vicenda professionale ed umana; essi per un verso
testimoniano le tensioni che ne hanno accompagnato l’attività professionale
e per l’altro sono i migliori documenti per comprendere il modello di
magistrato antimafia che ebbe inizio grazie alla sua esperienza ed al suo
esempio.

Dalla lettura delle audizioni del 31 luglio e del 1° agosto 1988, a seguito
del carteggio fra i magistrati del pool e il Consigliere Istruttore Meli,
emerge evidente il disagio, a volte definito come scoramento, per quei primi
mesi di lavoro con il nuovo dirigente, di cui Falcone non mette mai in
discussione la buona fede e la probità, ma di cui contesta il metodo di
lavoro, e la stessa filosofia di contrasto alla criminalità organizzata. Il
Consigliere Istruttore si preoccupa della quantità dei procedimenti pendenti
presso l’ufficio, pone continuamente l’accento sul carico arretrato degli
affari ordinari, chiede le statistiche; i procedimenti di criminalità
organizzata non seguono più la competenza per materia del pool, ma sono
assegnati a tutti, con conseguente atomizzazione delle indagini e
polverizzazione delle conoscenze in mille rivoli processuali.

E’, in pratica, il ribaltamento del metodo che aveva condotto al
maxiprocesso, fondato sulla concezione unitaria di Cosa Nostra.

Il tema sarà ripreso nell’audizione di tre anni dopo, il 15 ottobre 1991.
Nel frattempo era cambiato il codice di procedura penale, il maxiprocesso
stava facendo il suo corso, Giovanni Falcone era stato prima nominato
Procuratore Aggiunto di Palermo e poi era andato a ricoprire l’incarico al
Ministero, dove lavorava al progetto della Procura nazionale antimafia e
alla normativa sui collaboratori di giustizia.

Il 5 e l’11 settembre 1991 erano giunti al Consiglio due esposti che
contenevano dure critiche alla gestione delle indagini compiute da Falcone.

Inizia una delicata istruttoria. Quando Falcone è chiamato in audizione
dinanzi alla Prima commissione il clima è davvero teso, e la seduta si
svolge in modo concitato, con l’incalzare delle domande dei commissari e una
crescente insofferenza di Falcone, chiamato a discolparsi dall’accusa di
avere tenuto “le prove nei cassetti” o, comunque, “di aver fatto male le
indagini”. Falcone, di fatto, passa da accusatore ad accusato e riemergono
tutte le polemiche, successive all’attentato dell’Addaura e al fuori ruolo
al Ministero.

Falcone spiega nel dettaglio il perché di certe scelte investigative,
rintuzza punto per punto il contenuto degli esposti che il relatore gli
sottopone, fino a dichiararsi in alcuni passaggi dell’audizione sdegnato per
certe accuse strumentali e in malafede degli esponenti. Torna sulla gestione
Meli e questa volta parla espressamente di una gestione che aveva messo il
bastone fra le ruote alle indagini dell’ufficio, determinando una
“sofferenza complessiva”.

Queste le sue parole: ….. che se ogni due- tre mesi devi discutere di
certi problemi, se ad ogni piè sospinto il tuo capo disfa quello che fai un
minuto prima, è chiaro che le indagini si arrestano …

In controluce, fra polemiche e tensioni, emerge un modello di magistrato
dell’accusa che fa della professionalità e della specializzazione le sue
migliori doti; soprattutto riluce una cultura della prova rigorosa, che mira
al risultato processuale e non a parziali obiettivi investigativi di facile
uso mediatico.

Falcone richiama la necessità di fare attenzione alle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, da sottoporre a rigoroso vaglio e riscontro, e
sottolinea la delicatezza e complessità del trattamento del “pentito”, che
richiede professionalità specifica.

Si tratta di un enorme lavoro di pazienza”.

Pazienza, per entrare nel mondo del dichiarante - le sue strategie, le sue
preoccupazioni - comprenderne e decriptarne il linguaggio, verificarne le
dichiarazioni - nel racconto degli altri collaboratori e con la ricerca
attenta di riscontri oggettivi - per ottenere elementi probatori solidi,
verificabili e verificati.

Questo modello, il modello Falcone ha ancora oggi attuazione - normativa,
organizzativa e giudiziaria – nelle Direzioni distrettuali e nella Procura
nazionale antimafia.

Possiamo dire che le idee, lucide e sofferte, di un visionario sono
diventate realtà, anche nelle circolari del CSM: professionalità,
specializzazione, coordinamento investigativo, priorità, cultura della prova
del P.M.

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Aggiungo un pensiero di carattere personale.

Signor Presidente, nel primo semestre del 2014, come tutti i colleghi togati
oggi qui presenti, sono stato impegnato in un lungo e appassionante giro
presso le sedi giudiziarie italiane. Una straordinaria ed ineguagliabile
esperienza di vita e professionale a discutere di giustizia, di
magistratura, di diritti. I tribunali italiani sono molto diversi fra loro e
molto diversa è la giustizia che nei diversi territori siamo in grado di
assicurare ai cittadini. Da questo punto di vista l’Italia, Paese non
particolarmente grande quanto ad estensione territoriale e densità
demografica, è un Paese molto lungo, che esprime diversità significative.

Ebbene, alla fine del quel lungo viaggio che poi mi ha condotto oggi in
quest’aula, guardandomi indietro, cercavo un filo conduttore, un legame che
tenesse unite tutte quelle magistrature e quelle giustizie così diverse,
perfino tutti quei palazzi di giustizia così profondamente diversi, anche
nelle rispettive architetture.

Una immagine, anzi una pluralità di immagini mi venne subito alla mente, un
unico filo conduttore che tutto teneva assieme: erano, signor Presidente, le
fotografie di Giovanni e di Paolo, in tutti i palazzi, negli studi dei
magistrati e negli uffici dei cancellieri, nei corridoi, nei posti più
insoliti.

Ne ricordo una, quella più nota, che ho scorto affissa in un locale di
servizio, molto piccolo, dove c’era una fotocopiatrice, un piccolo tavolo,
un fornelletto con una macchinetta per il caffè.

Mi colpì molto.

Penso spesso a quel luogo di lavoro, dove un commesso intento a fare le
fotocopie di copiosi e pesanti faldoni, che consentono oggi, ogni giorno, ai
processi di essere celebrati, lo fa pensando al sacrificio di Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino.

Anche questo, Signor Presidente della Repubblica, è il segno forte della
presenza dello Stato che combatte la mafia.

[Sono state eliminare la parti non di testo del messaggio]

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