[Area] I: Corte Costituzionale n. 164/2017 (RESP. CIVILE MAGISTRATI)
thorgiov
thorgiov a libero.it
Mer 12 Lug 2017 20:12:54 CEST
A me invece viene in mente la politicità dell'ANM che ha deciso di non
reagire in alcun modo alla nuova normativa. Il Governo Renzi aveva
evidentemente stipulato un patto di non belligeranza ( o meglio di
sudditanza, nel senso che l'ANM ha deciso che non era il caso di
contrastare in nessun modo il sovrano, come dimostra anche l'ultimo
comunicato di AREA a proposito della decisione di Autonomia e
Indipendenza di uscire dalla Giunta Unitaria ) con il nostro sindacato,
che infatti non ha reagito neppure contro il taglio delle ferie e
l'anticipo dell'età pensionabile. Ora, io mi chiedo : a che cosa serve
un sindacato di questo tipo ?
FELICE PIZZI ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )
Il 12/07/2017 18:51, Siddi Massimiliano ha scritto:
> E qualcuno ancora crede nella "apoliticità" di questo organismo.....
>
> Massimiliano Siddi
>
> Inviato da iPhone
>
> Il giorno 12 lug 2017, alle ore 17:34, "carlocitt a alice.it
> <mailto:carlocitt a alice.it>" <carlocitt a alice.it
> <mailto:carlocitt a alice.it>> ha scritto:
>
>> Corte Costituzionale
>>
>> http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do
>>
>>
>> Corte Costituzionale
>>
>> SENTENZA N. 164
>>
>> ANNO 2017
>>
>> REPUBBLICA ITALIANA
>>
>> IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
>>
>> LA CORTE COSTITUZIONALE
>>
>> composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro
>> CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario
>> Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA,
>> Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio
>> BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
>>
>> ha pronunciato la seguente
>>
>> SENTENZA
>>
>> nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1,
>> lettere a), b) e c), 3, comma 2, e 4 della legge 27 febbraio 2015, n.
>> 18 (Disciplina della responsabilità civile dei magistrati), e degli
>> artt. 2, commi 2 e 3, 4, 7, 8, comma 3, e 9, comma 1, della legge 13
>> aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio
>> delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati),
>> come modificati dalla legge n. 18 del 2015, promossi dal Tribunale
>> ordinario di Verona con ordinanza del 12 maggio 2015, dal Tribunale
>> ordinario di Treviso con ordinanza dell’8 maggio 2015, dal Tribunale
>> ordinario di Catania con ordinanza del 6 febbraio 2016, dal Tribunale
>> ordinario di Enna con ordinanza del 25 febbraio 2016 e dal Tribunale
>> ordinario di Genova con ordinanza del 10 maggio 2016, rispettivamente
>> iscritte ai nn. 198 e 218 del registro ordinanze 2015, e ai nn. 113,
>> 126 e 130 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta
>> Ufficiale della Repubblica nn. 40 e 43, prima serie speciale,
>> dell’anno 2015 e nn. 23 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2016.
>>
>> Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
>>
>> udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2016 il Giudice
>> relatore Franco Modugno.
>>
>> /Ritenuto in fatto /
>>
>> 1.– Con ordinanza del 12 maggio 2015 (r.o. n. 198 del 2015), il
>> Tribunale ordinario di Verona ha sollevato questioni di legittimità
>> costituzionale:
>>
>> a) degli artt. 2, comma 1, lettera c), e 4, comma 1, della legge 27
>> febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilità civile dei
>> magistrati), nella parte in cui – sostituendo, rispettivamente,
>> l’art. 2, comma 3, e l’art. 7 della legge 13 aprile 1988, n. 117
>> (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni
>> giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) – includono il
>> «travisamento del fatto o delle prove» tra le ipotesi di colpa grave
>> che possono dar luogo a responsabilità civile dello Stato e del
>> magistrato, per contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 111,
>> secondo comma, della Costituzione;
>>
>> b) dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 18 del 2015, per
>> contrasto con l’art. 3 Cost.;
>>
>> c) dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, per contrasto
>> con gli artt. 3, 25, primo comma, 101, secondo comma, e 111, secondo
>> comma, Cost.;
>>
>> d) dell’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificato
>> dall’art. 6 della legge n. 18 del 2015, per contrasto con gli artt.
>> 25, primo comma, 101, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.;
>>
>> e) dell’art. 4 della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui,
>> sostituendo l’art. 7, comma 1, della legge n. 117 del 1998, prevede
>> che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha l’obbligo di
>> esercitare l’azione di rivalsa verso il magistrato, per contrasto con
>> gli artt. 3 e 24 Cost.;
>>
>> f) dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), e dell’art. 4 della
>> legge n. 18 del 2015, quest’ultimo nella parte in cui prevede che il
>> Presidente del Consiglio dei Ministri ha l’obbligo di esercitare
>> l’azione di rivalsa verso il magistrato, per contrasto con l’art. 81,
>> terzo comma, Cost.
>>
>> 1.1.– Il giudice a quo premette di essere investito dell’opposizione
>> proposta da una società cooperativa avverso il decreto con il quale
>> le era stato ingiunto il pagamento della somma di euro 142.292,53,
>> oltre interessi, in favore di una impresa agricola, quale
>> corrispettivo di forniture di prodotti documentate da fatture. A
>> sostegno dell’opposizione, la cooperativa ingiunta aveva dedotto una
>> serie di motivi, tutti contestati dall’impresa ingiungente, la quale
>> – rilevato che l’opposizione non era fondata su prova scritta, né di
>> pronta soluzione – aveva chiesto, ai sensi dell’art. 648, primo
>> comma, del codice di procedura civile, che il decreto ingiuntivo
>> opposto fosse dichiarato provvisoriamente esecutivo.
>>
>> Secondo il rimettente, ai fini della decisione su tale istanza
>> assumerebbero rilievo alcune delle disposizioni in materia di
>> responsabilità civile dei magistrati introdotte dalla legge n. 18 del
>> 2015, in quanto «concretamente e immediatamente produttiv[e] di una
>> responsabilità potenziale» di esso giudice a quo.
>>
>> Al riguardo, il rimettente ricorda come la Corte costituzionale, con
>> la sentenza n. 18 del 1989, decidendo su una serie di questioni
>> relative alla pregressa disciplina della responsabilità civile dei
>> magistrati di cui alla legge n. 117 del 1988, abbia rilevato che
>> l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione
>> e sul funzionamento della Corte costituzionale) esige, ai fini della
>> proposizione dell’incidente di costituzionalità, che il giudizio
>> principale non possa essere definito indipendentemente dalla
>> risoluzione della questione di legittimità costituzionale: sicché, di
>> regola, la rilevanza della questione resta strettamente correlata
>> all’applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo. Tuttavia
>> – come già ritenuto implicitamente dalla stessa Corte costituzionale
>> in precedenti occasioni (sentenze n. 196 del 1982, n. 125 del 1977 e
>> n. 128 del 1974) e, secondo il rimettente, anche nella più recente
>> sentenza n. 237 del 2013 – «debbono ritenersi influenti sul giudizio
>> anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel
>> giudizio a quo, attengono allo status del giudice, alla sua
>> composizione nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che
>> riguardano il suo operare. L’eventuale incostituzionalità di tali
>> norme è destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al
>> giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e
>> i doveri: in sintesi, la “protezione” dell’esercizio della funzione,
>> nella quale i doveri si accompagnano ai diritti».
>>
>> Occorrerebbe inoltre considerare – secondo il giudice a quo – che la
>> nuova legge ha ampliato le ipotesi che possono dar luogo a
>> responsabilità civile dello Stato e del magistrato, includendovi, in
>> particolare, le fattispecie del travisamento del fatto o delle prove
>> (artt. 2, comma 3, e 7 della legge n. 117 del 1988, come novellati
>> dagli artt. 2, comma 1, lettera c, e 4, comma 1, della legge n. 18
>> del 2015). Almeno le citate disposizioni troverebbero immediata
>> applicazione in tutti i giudizi in corso potenzialmente causativi di
>> danno, giacché i giudici che li trattano, per non incorrere in
>> responsabilità (anche disciplinare), dovrebbero attenersi ai criteri
>> di valutazione da esse stabiliti.
>>
>> 1.2.– Ciò premesso, il giudice a quo dubita della legittimità
>> costituzionale dei citati artt. 2, comma 1, lettera c), e 4, comma 1,
>> della legge n. 18 del 2015, osservando come, nell’originario assetto
>> della legge n. 117 del 1988, la valutazione dei fatti e delle prove –
>> costituente, assieme all’interpretazione delle norme di diritto,
>> l’essenza stessa della funzione giurisdizionale – non potesse mai dar
>> luogo a responsabilità, in virtù della cosiddetta clausola di
>> salvaguardia enunciata dall’art. 2, comma 2, della stessa legge. Come
>> rilevato tanto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18 del
>> 1989, quanto dalla giurisprudenza di legittimità, detta clausola era
>> funzionale alla tutela dell’indipendenza del giudice, che, a propria
>> volta, costituisce garanzia di apprezzamento imparziale delle
>> risultanze istruttorie.
>>
>> La legge n. 18 del 2015 – pur riproponendo, nel suo art. 2, comma 1,
>> lettera b), la clausola di salvaguardia – ne avrebbe, di fatto,
>> sensibilmente ridotto l’àmbito di operatività. La lettera c) del
>> medesimo art. 2, comma 1, ha infatti ampliato i casi di colpa grave
>> generativi di responsabilità risarcitoria tanto sul piano numerico,
>> con l’aggiunta dell’ipotesi del travisamento del fatto o delle prove,
>> quanto sotto il profilo soggettivo, con l’eliminazione del
>> riferimento alla negligenza inescusabile (la quale, ai sensi
>> dell’art. 7, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come sostituito
>> dall’art. 4 della legge n. 18 del 2015, costituisce ora condizione
>> solo per l’esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti del
>> magistrato).
>>
>> Ad avviso del giudice a quo, il nuovo regime si porrebbe in contrasto
>> con gli artt. 101, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.,
>> apparendo le nozioni di travisamento del fatto o delle prove
>> equivoche ed indefinibili. Esse non coinciderebbero con le ipotesi –
>> già contemplate dall’art. 2, comma 3, della legge n. 117 del 1988 –
>> dell’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente
>> esclusa dagli atti del procedimento, o della negazione di un fatto la
>> cui esistenza risulti incontrastabilmente dagli atti del
>> procedimento, per la semplice ragione che sono state aggiunte, e non
>> già sostituite, a queste ultime. Nessuna indicazione utile
>> fornirebbero, peraltro, i lavori parlamentari, dai quali emergerebbe,
>> anzi, l’estrema difficoltà di definire gli esatti confini della nuova
>> fattispecie di illecito.
>>
>> La formula in esame si rivelerebbe, quindi, del tutto inidonea a
>> delimitare l’àmbito della responsabilità del magistrato, come invece
>> esigerebbero i parametri costituzionali evocati. In effetti, erano
>> state proprio la limitatezza e la tassatività delle ipotesi di colpa
>> grave, originariamente prefigurate dalla legge n. 117 del 1988, ad
>> indurre la Corte costituzionale ad escludere, con la sentenza n. 18
>> del 1989, che la loro previsione potesse compromettere la serenità e
>> l’imparzialità di giudizio del giudice.
>>
>> In difetto di una sufficiente tipizzazione, la nuova fattispecie
>> offrirebbe, di contro, ampie possibilità di condizionare l’esercizio
>> della funzione giurisdizionale: qualsiasi valutazione dei fatti o del
>> materiale probatorio potrebbe essere, infatti, censurata
>> semplicemente qualificandola come travisamento, con ulteriori
>> ricadute negative in termini di ampliamento indefinito della
>> possibilità di sindacato disciplinare sui provvedimenti giudiziari e
>> di estrema incertezza sull’àmbito applicativo dell’azione
>> obbligatoria di rivalsa.
>>
>> Peraltro, nemmeno la sfera applicativa della clausola di salvaguardia
>> –formalmente ribadita dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge
>> n. 18 del 2015 – risulterebbe individuabile con esattezza
>> relativamente all’attività di valutazione del fatto o delle prove,
>> tanto da potersi dubitare che la clausola stessa conservi un reale
>> spazio operativo. Sotto tale profilo, la norma da ultimo citata
>> risulterebbe irragionevole e, quindi, in contrasto con l’art. 3 Cost.
>>
>> 1.3.– Il rimettente censura, altresì, l’art. 3, comma 2, della legge
>> n. 18 del 2015, che, abrogando l’art. 5 della legge n. 117 del 1988,
>> ha soppresso la fase preliminare del giudizio risarcitorio
>> comunemente definita «filtro di ammissibilità».
>>
>> In forza del citato art. 5, il tribunale investito di una domanda
>> risarcitoria nei confronti dello Stato per fatto illecito del
>> magistrato doveva deliberare, preventivamente e in tempi ristretti,
>> sulla sua ammissibilità. A tal fine, il giudice istruttore doveva,
>> alla prima udienza, rimettere le parti dinanzi al collegio, che era
>> tenuto a decidere entro quaranta giorni dalla rimessione. La domanda
>> era dichiarata inammissibile con decreto motivato quando non fossero
>> stati rispettati i termini previsti a pena di decadenza per
>> l’esercizio dell’azione o non sussistessero i presupposti stabiliti
>> dagli artt. 2, 3 e 4 della stessa legge n. 117 del 1988, ovvero
>> quando la domanda risultasse manifestamente infondata. Ove, invece,
>> il tribunale avesse ritenuto la domanda ammissibile, doveva disporre
>> la prosecuzione del giudizio e la trasmissione di copia degli atti al
>> titolare dell’azione disciplinare.
>>
>> Tale meccanismo – rileva il giudice a quo – perseguiva il duplice
>> obiettivo di impedire la proliferazione di inutili giudizi di merito
>> e, soprattutto, di tutelare «la serenità del singolo magistrato, che,
>> al riparo da azioni pretestuose e temerarie, poteva veder limitato il
>> peso dell’esposizione processuale a casi e tempi razionalmente
>> circoscritti». In questa prospettiva, la Corte costituzionale aveva
>> riconosciuto il «rilievo costituzionale» del filtro di ammissibilità,
>> quale strumento di salvaguardia dei valori di autonomia e
>> indipendenza della funzione giurisdizionale (sentenza n. 468 del
>> 1990), rilevando anche come esso impedisse che si creassero con
>> malizia i presupposti per l’astensione e la ricusazione (sentenza n.
>> 18 del 1989).
>>
>> Nell’abolire l’istituto, la disposizione censurata si porrebbe,
>> quindi, in contrasto non solo con gli artt. 101, secondo comma, e
>> 111, secondo comma, Cost., ma anche con l’art. 25, primo comma, Cost.
>> Proponendo una domanda risarcitoria palesemente infondata o
>> inammissibile, la parte potrebbe, infatti, sottrarre il processo dal
>> quale si assume danneggiata al giudice naturale che ne è investito,
>> il quale – nel caso di instaurazione di un giudizio di responsabilità
>> per provvedimenti a lui attribuiti – non potrebbe non ravvisare le
>> gravi ragioni di convenienza per astenersi ai sensi dell’art. 51,
>> secondo comma, cod. proc. civ., o dell’art. 36, comma 1, lettera h),
>> del codice di procedura penale.
>>
>> L’esposizione del giudice alle conseguenze ora indicate risulterebbe,
>> altresì, protratta nel tempo, diversamente da quanto accadeva nel
>> regime anteriore. Ogni giudizio di responsabilità, per quanto
>> inammissibile, deve ora svolgersi nelle forme del giudizio ordinario
>> di cognizione ed essere deciso con sentenza, soggetta ad impugnazione
>> nei termini ordinari, molto più ampi di quelli previsti in precedenza
>> per l’impugnazione del decreto di inammissibilità emesso ai sensi
>> dell’art. 5 della legge n. 117 del 1988 (dieci giorni dalla
>> comunicazione per l’appello, quaranta giorni per il ricorso per
>> cassazione).
>>
>> Non rappresenterebbero, d’altronde, una sufficiente remora alla
>> proposizione di giudizi risarcitori temerari né la possibile
>> applicazione – futura e remota – dell’istituto della responsabilità
>> aggravata, previsto dall’art. 96 cod. proc. civ., né gli oneri
>> relativi all’iscrizione a ruolo della causa, posto che, per effetto
>> della modifica dell’art. 15 della legge n. 117 del 1988 disposta
>> dall’art. 300, comma 6, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante il
>> «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
>> materia di spese di giustizia (Testo A)», i giudizi promossi ai sensi
>> di detta legge sono esenti dal pagamento del contributo unificato.
>>
>> L’eliminazione del filtro di ammissibilità si porrebbe in contrasto
>> anche con l’art. 3 Cost., risultando contraddittoria rispetto alle
>> scelte che lo stesso legislatore ha operato con riguardo al giudizio
>> di appello e al giudizio di cassazione, in relazione ai quali sono
>> stati viceversa recentemente introdotti meccanismi di filtro (artt.
>> 342, primo comma, numero 2, 348-ter e 360-bis cod. proc. civ.).
>>
>> 1.4.– Il rimettente osserva, altresì, che, in correlazione
>> all’abolizione del filtro di ammissibilità, l’art. 6 della legge n.
>> 18 del 2015 ha soppresso l’inciso dell’art. 9, comma 1, della legge
>> n. 117 del 1988 che ricollegava l’inizio del procedimento
>> disciplinare, per i fatti che avessero «dato causa all’azione di
>> risarcimento», alla comunicazione, da parte del tribunale, del
>> provvedimento che aveva dichiarato ammissibile la domanda. È rimasta,
>> invece, invariata la parte della disposizione che obbliga il titolare
>> dell’azione disciplinare a procedere per i predetti fatti.
>>
>> In base alla nuova disciplina, pertanto, l’attore potrebbe rendere
>> note al titolare dell’azione disciplinare le doglianze esposte nel
>> giudizio risarcitorio, per quanto manifestamente infondate,
>> costringendolo, per ciò solo, a promuovere l’azione disciplinare.
>> Anche l’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come novellato,
>> si porrebbe, quindi, in contrasto con gli artt. 25, primo comma, 101,
>> secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., consentendo ad una parte
>> processuale di influire indebitamente sul corso del giudizio e sulla
>> serenità del giudice, senza una preventiva verifica dei suoi assunti.
>>
>> 1.5.– Il Tribunale veronese sottopone, ancora, a scrutinio di
>> legittimità costituzionale l’art. 4 della legge n. 15 del 2018, nella
>> parte in cui, sostituendo l’art. 7, comma 1, della legge n. 117 del
>> 1988, prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri ha
>> l’obbligo di esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del
>> magistrato.
>>
>> La disposizione sottrarrebbe, infatti, al Presidente del Consiglio
>> dei ministri il diritto di valutare la convenienza di detta azione,
>> sulla base di un raffronto tra i costi del giudizio risarcitorio nei
>> confronti dello Stato e quelli del giudizio nei confronti del
>> magistrato, nonché delle probabilità di successo di quest’ultimo. In
>> questo modo, essa violerebbe tanto l’art. 24, primo comma, Cost. –
>> che, nel garantire il diritto di difesa, riconoscerebbe
>> implicitamente anche il diritto di non agire in giudizio – quanto il
>> principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.). Al riguardo, si dovrebbe
>> considerare che – diversamente da quanto accadeva nel sistema
>> originario della legge n. 117 del 1988 – i presupposti per
>> l’esercizio dell’azione nei confronti dello Stato non sono i medesimi
>> dell’azione di rivalsa, occorrendo, per questa, che i comportamenti
>> individuati dalla norma siano connotati da negligenza inescusabile.
>> Il Presidente del Consiglio dei ministri si troverebbe, di
>> conseguenza, a dover esercitare l’azione di rivalsa “al buio”, ossia
>> senza che si sia avuta una positiva verifica dell’esistenza di quel
>> presupposto.
>>
>> Irragionevole apparirebbe anche l’assimilazione, operata dalla norma
>> censurata, delle ipotesi del risarcimento sulla base di transazione e
>> sulla base di sentenza di condanna, quali presupposti dell’esercizio
>> dell’azione obbligatoria di rivalsa. Diversamente dalla condanna, la
>> transazione sarebbe, infatti, frutto di una scelta discrezionale del
>> Presidente del Consiglio dei ministri, basata su ragioni di
>> convenienza: scelta che potrebbe risultare viziata da un errore di
>> valutazione riguardo all’ammissibilità o alla fondatezza della
>> domanda risarcitoria. Anche in tale evenienza, tuttavia, il
>> magistrato subirebbe l’azione di rivalsa, destinata ad un insuccesso
>> per lo Stato.
>>
>> L’art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto il profilo della
>> ingiustificata disparità di trattamento dell’azione in discorso
>> rispetto all’azione di regresso nei confronti degli altri dipendenti
>> pubblici. Tale ultima azione – in base ai principi generali in tema
>> di azione di garanzia personale (art. 1950 del codice civile), non
>> derogati dall’art. 22, primo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3
>> (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli
>> impiegati civili dello Stato) – non è, infatti, obbligatoria, pur
>> presupponendo che nel giudizio nei confronti dello Stato sia stato
>> accertato il dolo o la colpa grave del funzionario danneggiante: e
>> ciò anche nel caso di transazione della lite, come si evincerebbe dal
>> disposto dell’art. 30 del d.P.R. n. 3 del 1957.
>>
>> La denunciata disparità di trattamento non potrebbe essere spiegata
>> facendo leva sulla differente entità economica della rivalsa
>> (limitata, per i magistrati, ad una somma pari alla metà dello
>> stipendio annuale al momento in cui l’azione di risarcimento è
>> proposta, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 18 del 2015). Tale
>> limitazione dovrebbe costituire, al contrario, un ulteriore motivo
>> per rendere discrezionale l’azione di rivalsa contro il magistrato,
>> posto che la ridotta entità della somma recuperabile potrebbe
>> sconsigliare l’iniziativa.
>>
>> 1.6.– Da ultimo, il rimettente denuncia il contrasto con l’art. 81,
>> terzo comma, Cost. dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), e
>> dell’art. 4 della legge n. 18 del 2015, quest’ultimo nella parte in
>> cui prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri ha l’obbligo
>> di esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.
>>
>> La novella non indicherebbe, infatti, i mezzi per far fronte ai
>> maggiori oneri derivanti, a carico dello Stato, dall’applicazione
>> delle norme che ampliano le ipotesi di responsabilità (art. 2, comma
>> 1, lettere b e c), di quella che riconosce la risarcibilità anche del
>> danno non patrimoniale conseguente ad un atto o provvedimento del
>> magistrato (art. 2, comma 1, lettera a) e di quella che prevede
>> l’obbligatorietà dell’azione di rivalsa (art. 4, comma 2). Ciò,
>> sebbene la stima di tali oneri fosse ben possibile sulla base
>> dell’esperienza applicativa della legge n. 117 del 1988, come emerge
>> dalla relazione al disegno di legge n. 1626, di iniziativa
>> governativa, che conteneva, in effetti, una norma sulla copertura
>> finanziaria (art. 4).
>>
>> 1.7.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
>> rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
>> chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.
>>
>> 1.7.1.– La difesa dell’interveniente eccepisce, in via preliminare,
>> l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.
>>
>> Le norme censurate verrebbero, infatti, in rilievo solo nell’ipotesi,
>> teorica ed eventuale, in cui il giudice a quo adottasse un
>> provvedimento errato con dolo o con colpa grave, costituenti il
>> presupposto della responsabilità civile dei magistrati (o, meglio,
>> della responsabilità dello Stato per l’attività dei magistrati). Si
>> dovrebbe, inoltre, trattare di errore non emendabile tramite i mezzi
>> ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i
>> provvedimenti cautelari e sommari, al cui preventivo esaurimento è
>> subordinata l’azione risarcitoria (art. 4, comma 2, della legge n.
>> 117 del 1988). Le disposizioni in esame non avrebbero, pertanto,
>> alcuna incidenza sulla decisione che il rimettente è chiamato ad
>> assumere nel caso di specie, attinente alla concessione della
>> provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo: decisione che
>> implica semplicemente la verifica del fumus della fondatezza
>> dell’opposizione e dell’esistenza di eventuali vizi procedurali, e
>> che è destinata, comunque sia, a rimanere assorbita dalla sentenza di
>> merito.
>>
>> Le questioni risulterebbero, dunque, formulate in termini astratti,
>> facendo leva su ipotetici condizionamenti psicologici da ritenere
>> inidonei, in relazione all’alta professionalità che caratterizza la
>> funzione giurisdizionale del magistrato, ad influire sulla sua
>> serenità di giudizio.
>>
>> Del tutto privo di consistenza risulterebbe, altresì, l’argomento del
>> rimettente basato sull’avvenuta introduzione, tra le ipotesi che
>> possono dar luogo a responsabilità dello Stato e del magistrato,
>> della fattispecie del «travisamento del fatto o delle prove».
>> Sarebbe, infatti, evidente che, a prescindere dalla censurata
>> innovazione, il giudice non debba, comunque sia, travisare i fatti di
>> causa e le prove offerte dalle parti: senza considerare, poi, che,
>> data la natura eclatante dell’ipotetico errore, esso sarebbe
>> rimediabile dallo stesso giudice (in sede di revoca del provvedimento
>> o di pronuncia della sentenza), ovvero dal giudice di appello, cui la
>> questione andrebbe devoluta come motivo di impugnazione.
>>
>> Il giudice a quo non avrebbe neppure prospettato l’esistenza di
>> elementi di particolare complessità della materia del contendere
>> sottoposta al suo esame, sicché, anche sotto tale profilo,
>> l’ipotizzata “pericolosità” della nuova disciplina sulla
>> responsabilità civile risulterebbe meramente astratta.
>>
>> Ove si seguisse il ragionamento del rimettente, d’altro canto, ogni
>> modifica della legge n. 117 del 1988 diverrebbe rilevante in tutti i
>> giudizi – civili, penali e amministrativi – «con effetti distorsivi
>> sul funzionamento dell’intero sistema giudiziario».
>>
>> 1.7.2.– Nel merito, le questioni sarebbero, in ogni caso, infondate.
>>
>> Quanto all’inserimento dell’ipotesi del «travisamento del fatto o
>> delle prove» tra i casi di colpa di grave, detta fattispecie
>> presenterebbe – contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente – i
>> caratteri della «limitatezza» e della «tassatività», atti ad
>> escludere la ventilata compromissione della serenità e imparzialità
>> di giudizio del magistrato. L’ipotesi in discorso si porrebbe,
>> infatti, al di fuori dell’attività valutativa cui fa riferimento la
>> clausola di salvaguardia tuttora presente nell’art. 2, comma 2, della
>> legge n. 117 del 1988 (in base alla quale «non può dar luogo a
>> responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né
>> quella di valutazione del fatto e delle prove»), rappresentandone un
>> grave ed ingiustificato sviamento determinato da un errore di tale
>> gravità da escluderne la scusabilità.
>>
>> Pur in presenza di possibili «spazi di sovrapposizione» con il
>> cosiddetto errore revocatorio – ossia con le ipotesi
>> dell’affermazione di un fatto escluso e della negazione di un fatto
>> risultante incontestabilmente dagli atti – il concetto di
>> travisamento conserverebbe un proprio autonomo e definito àmbito di
>> operatività. Il travisamento potrebbe, infatti, consistere non solo
>> nella «“svista” rappresentativa» che integra l’errore revocatorio, ma
>> anche nello stravolgimento del dato fattuale, dovuto ad una
>> macroscopica omissione nella percezione di fatti secondari decisivi,
>> ovvero della regola di inferenza logica applicata.
>>
>> Nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata, il
>> travisamento dovrebbe risultare, altresì, di assoluta evidenza:
>> prospettiva nella quale la soluzione adottata dal legislatore si
>> sottrarrebbe a censure anche sul piano della ragionevolezza.
>>
>> 1.7.3.– Quanto, poi, all’abrogazione del filtro di ammissibilità
>> previsto dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988, la ratio
>> dell’intervento andrebbe rinvenuta nella volontà del legislatore –
>> esplicitata nell’art. 1 della legge n. 18 del 2015 – di rendere
>> effettiva la disciplina della responsabilità civile dello Stato e dei
>> magistrati, anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione
>> europea. Con l’eliminazione della fase del filtro, si è inteso
>> consentire, in specie, l’accesso diretto del danneggiato all’azione
>> risarcitoria, tenuto conto di quanto emerso nei ventisette anni di
>> esperienza applicativa della legge n. 117 del 1988, durante i quali
>> solo un esiguo numero di domande risarcitorie era approdato ad un
>> esame nel merito a cognizione piena.
>>
>> Non decisivi risulterebbero i richiami del rimettente alle
>> affermazioni delle sentenze n. 468 del 1990 e n. 18 del 1989, circa
>> il «rilievo» costituzionale del filtro, le quali non equivarrebbero
>> al riconoscimento della sua indispensabilità. Al riguardo, si
>> dovrebbe sempre tenere conto del fatto che l’azione del danneggiato è
>> diretta contro lo Stato (unico legittimato passivo), essendo rimasta
>> ferma, anche dopo la novella legislativa, l’impossibilità di agire
>> direttamente contro il magistrato. Rientrerebbe, quindi, nella
>> discrezionalità del legislatore regolare le modalità procedurali
>> dell’azione di responsabilità, senza che le relative scelte incidano
>> sul principio di autonomia e indipendenza della funzione
>> giurisdizionale, adeguatamente salvaguardato dalla posizione
>> differenziata del magistrato rispetto alla responsabilità dei
>> pubblici dipendenti prevista dall’art. 28 Cost.
>>
>> Le citate sentenze della Corte costituzionale sono state, d’altro
>> canto, emesse all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 117
>> del 1988 e non potevano tener conto, quindi, né della concreta
>> applicazione della legge da parte della giurisprudenza interna, né
>> degli approdi della giurisprudenza comunitaria in punto di
>> responsabilità dello Stato per l’esercizio delle funzioni giudiziarie
>> (Corte di giustizia, 30 settembre 2003, causa C-224/01, Gerhard
>> Köbler; Corte di giustizia, Grande Sezione, 12 giugno 2006, causa
>> C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; Corte di giustizia, 24 novembre
>> 2011, causa C-379/10, Commissione contro Italia).
>>
>> Privo di fondamento risulterebbe, inoltre, il timore che, in mancanza
>> del filtro, possano trovare ingresso azioni palesemente inammissibili
>> o infondate, idonee a provocare l’astensione del giudice o a minarne
>> la serenità. L’azione risarcitoria si propone, infatti, contro lo
>> Stato ed è prevista soltanto una facoltà di intervento volontario del
>> magistrato del giudizio, con la conseguenza che non sussisterebbe un
>> obbligo di astensione di quest’ultimo ai sensi dell’art. 51, primo
>> comma, cod. proc. civ. (l’astensione per gravi ragioni di
>> convenienza, prevista dal secondo comma dello stesso articolo, è
>> meramente facoltativa ed è subordinata ad autorizzazione del capo
>> dell’ufficio). Il magistrato non potrebbe, quindi, neppure essere
>> ricusato dalla parte che si assume danneggiata, dato che la
>> ricusazione può essere proposta solo nei casi in cui l’astensione è
>> obbligatoria. La proposizione di cause pretestuose risulterebbe, per
>> altro verso, scoraggiata dal meccanismo della «condanna aggravata»
>> del litigante temerario, previsto dall’art. 96 cod. proc. civ.
>>
>> Il paventato rischio della sovrapposizione temporale dei due giudizi
>> – quello da cui deriva il presunto danno e quello di responsabilità –
>> sussisteva, d’altronde, anche in presenza del filtro, posto che i
>> termini di definizione di tale fase non erano perentori e che i
>> decreti di inammissibilità erano soggetti a reclamo davanti alla
>> corte d’appello e indi a ricorso per cassazione.
>>
>> Quanto, infine, all’asserita contraddittorietà dell’eliminazione del
>> filtro rispetto all’avvenuta introduzione di meccanismi processuali
>> di valutazione semplificata dell’ammissibilità o della fondatezza in
>> rapporto al giudizio di appello e al giudizio di cassazione, sarebbe
>> sufficiente osservare che tali meccanismi attengono ai giudizi di
>> impugnazione, mentre il filtro previsto dall’art. 5 della legge n.
>> 117 del 1988 ineriva al giudizio di primo grado. La comparazione
>> andrebbe semmai operata con le altre controversie disciplinate dal
>> rito ordinario di cognizione davanti al tribunale in composizione
>> collegiale, rispetto alle quali nessuna previa delibazione di
>> ammissibilità è prevista.
>>
>> 1.7.4.– Riguardo alle censure inerenti alle ricadute dell’abolizione
>> del filtro sull’azione disciplinare, risulterebbe assorbente il
>> rilievo che, in precedenza, l’azione disciplinare non era affatto
>> subordinata all’esito positivo della fase di filtro. L’art. 9 della
>> legge n. 117 del 1988 prevedeva, infatti, che l’azione disciplinare
>> fosse obbligatoriamente esercitata entro due mesi dalla comunicazione
>> dell’ammissibilità della domanda, «salvo che non sia stata già
>> proposta». Il superamento della fase di filtro rappresentava, dunque,
>> un impulso obbligatorio all’azione disciplinare, ma non una
>> condizione di ammissibilità della stessa.
>>
>> L’art. 6 della legge n. 18 del 2015 si sarebbe limitato a modificare
>> il citato art. 9 della legge n. 117 del 1988 per renderlo coerente
>> con l’abolizione del filtro, non avendo più senso, dopo di questa, la
>> ricordata previsione relativa al termine di attivazione del
>> procedimento disciplinare.
>>
>> Il timore di procedimenti disciplinari di fronte a domande
>> manifestamente infondate non avrebbe, quindi, ragion d’essere, posto
>> che simili procedimenti si concluderebbero con un’archiviazione.
>>
>> 1.7.5.– Per quel che attiene all’obbligatorietà dell’azione di
>> rivalsa nei confronti del magistrato, la difesa dell’interveniente
>> osserva come già nella previgente disciplina la doverosità
>> dell’azione di rivalsa apparisse indubbia, alla luce delle previsioni
>> degli artt. 7, comma 1, e 8, commi 1 e 2, della legge n. 117 del
>> 1988. Non avrebbe avuto senso, infatti, far carico allo Stato di
>> valutare se agire o meno in ripetizione di quanto corrisposto a causa
>> dell’errore del magistrato (peraltro entro i limiti di responsabilità
>> previsti dall’art. 8 di detta legge).
>>
>> Sarebbe, d’altra parte, arduo ipotizzare casi di manifesti errori di
>> diritto, gravi violazioni di legge o travisamenti dei fatti o delle
>> prove idonei a determinare una condanna dello Stato, ma non ad
>> integrare la negligenza inescusabile del magistrato.
>>
>> Nessun pregio avrebbe, altresì, l’assunto del rimettente, secondo il
>> quale l’obbligo di rivalsa sarebbe ingiustificato nel caso di
>> transazione tra lo Stato e il danneggiato, essendo evidente che il
>> Presidente del Consiglio dei ministri non concluderebbe mai delle
>> transazioni su cause manifestamente infondate, con sicuro insuccesso,
>> poi, dell’azione di rivalsa.
>>
>> Nessuna irragionevole disparità di trattamento sarebbe poi
>> ravvisabile rispetto agli altri dipendenti pubblici, la cui posizione
>> è palesemente diversa da quella dei magistrati, potendo i primi
>> essere convenuti direttamente in giudizio dai danneggiati senza
>> alcuna limitazione della responsabilità dal punto di vista economico.
>>
>> 1.7.6.– Quanto, infine, alla censura relativa alla mancata previsione
>> dei mezzi di copertura finanziaria dei maggiori oneri derivanti
>> dall’ampliamento delle ipotesi di responsabilità, essa risulterebbe
>> generica e assiomatica, basandosi su una stima del tutto ipotetica
>> dell’impatto delle nuove disposizioni in termini di aumento delle
>> cause contro lo Stato.
>>
>> 2. – Con ordinanza dell’8 maggio 2015 (r.o. n. 218 del 2015), il
>> Tribunale ordinario di Treviso ha sollevato questioni di legittimità
>> costituzionale:
>>
>> a) dell’art. 7 della legge n. 117 del 1988, nella parte in cui non
>> prevede che «non può dar luogo a responsabilità personale del singolo
>> magistrato l’attività di interpretazione di norme di diritto né
>> quella di valutazione del fatto e delle prove in tutti i casi di
>> azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato stesso»,
>> per contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma,
>> Cost.;
>>
>> b) dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, nonché degli
>> artt. «4 e/o 7» della legge n. 117 del 1988, come modificati dalla
>> legge n. 18 del 2015, nella parte in cui «non prevedono che il
>> Tribunale competente a decidere sull’azione di risarcimento proposta
>> contro lo Stato e/o il Tribunale competente a decidere sull’azione di
>> rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato verifichi con rito
>> camerale la non manifesta infondatezza della domanda ai fini della
>> sua ammissibilità», per contrasto con gli artt. 25, 101, 104 e 113
>> Cost.;
>>
>> c) dell’art. 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito
>> dall’art. 5 della legge n. 18 del 2015, «nella parte in cui prevede
>> che l’esecuzione della rivalsa nei confronti del magistrato, quando
>> viene effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, può comportare
>> il pagamento per rate mensili fino ad un importo corrispondente ad un
>> terzo, anziché ad un quinto, dello stipendio netto», per contrasto
>> con gli artt. 3 e «101 e seguenti» Cost.
>>
>> 2.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del processo
>> penale nei confronti di una persona imputata del reato di illegale
>> detenzione, nel territorio dello Stato, di un rilevante quantitativo
>> di tabacco lavorato estero.
>>
>> Riferisce, altresì, che, alla luce delle risultanze dell’istruzione
>> dibattimentale, l’esito del giudizio dipenderebbe da un’unica
>> questione: se si possa, cioè, ritenere provato che l’imputato sapesse
>> che all’interno di un capannone da lui locato era custodito il
>> tabacco di cui al capo di imputazione. Sul punto non sarebbero state
>> acquisite prove dirette, ma solo semplici elementi indiziari. La
>> valutazione di elementi di tal fatta risulterebbe, tuttavia, sempre
>> particolarmente difficile e “rischiosa”, tanto che lo stesso
>> legislatore ha subordinato la possibilità di desumere un fatto da
>> indizi ai requisiti della gravità, precisione e concordanza di questi
>> ultimi (art. 192 cod. proc. pen.).
>>
>> Proprio nei procedimenti nei quali i risultati probatori sono
>> meramente indiziari – e, dunque, di più problematico apprezzamento –
>> si manifesterebbero i riflessi negativi della nuova disciplina della
>> responsabilità civile dei magistrati introdotta con la legge n. 18
>> del 2015. Alcune previsioni della novella inciderebbero, infatti, sul
>> principio del libero convincimento del giudice, il quale, per essere
>> indipendente, deve poter valutare le prove senza temere conseguenze
>> negative secondo l’esito del suo giudizio. La nuova disciplina, di
>> contro, esporrebbe il giudice alle pressioni delle parti e,
>> prevedendo come possibile fonte di responsabilità civile anche la
>> valutazione dei fatti e delle prove, minerebbe «il cuore
>> dell’attività giurisdizionale». Di fronte alla prospettiva di una
>> responsabilità per danni, il giudice sarebbe portato, «per forza di
>> cose», soprattutto nei casi più difficili, ad assumere la decisione
>> per lui meno “rischiosa”: decisione che, nel processo penale, si
>> identifica quasi sempre nell’assoluzione dell’imputato.
>>
>> Le questioni sarebbero, dunque, rilevanti, in quanto le norme
>> censurate inciderebbero, nei sensi indicati, anche sulla valutazione
>> che il rimettente è chiamato ad operare nel giudizio a quo:
>> conclusione che troverebbe, d’altra parte, puntuale conforto nelle
>> indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1989
>> in precedenza ricordate.
>>
>> 2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
>> dubita, in primo luogo, della legittimità costituzionale dell’art. 7
>> della legge n. 117 del 1988, come sostituito dall’art. 4 della legge
>> n. 18 del 2015, nella parte in cui non prevede che «non può dar luogo
>> a responsabilità personale del singolo magistrato l’attività di
>> interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del
>> fatto e delle prove in tutti i casi di azione di rivalsa dello Stato
>> nei confronti del magistrato stesso».
>>
>> Il rimettente rileva come la novella del 2015, nel sostituire il
>> comma 2 dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, abbia mantenuto
>> fermo solo formalmente il principio per cui «nell’esercizio delle
>> funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di
>> interpretazione di norme di diritto né quelle di valutazione del
>> fatto e delle prove». La nuova disposizione si apre, infatti, con una
>> «eccezione totalizzante» («fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed i casi di
>> dolo»), per effetto della quale la clausola di salvaguardia non opera
>> in tutti i casi di colpa grave in cui scatta la responsabilità dello
>> Stato e, in sede di rivalsa, del magistrato: sicché, nella sostanza –
>> secondo il giudice a quo – «è come se la clausola non ci fosse».
>>
>> Rendere civilmente responsabile il giudice pure per la sua attività
>> di interpretazione di norme giuridiche e di valutazione del fatto e
>> delle prove comporterebbe, peraltro, una evidente lesione dei
>> principi di soggezione del giudice solo alla legge (art. 101, secondo
>> comma, Cost.) e di indipendenza della magistratura (art. 104, primo
>> comma, Cost.). Un simile regime genererebbe, infatti, il concreto
>> pericolo che il giudice sia portato a preferire, tra due opzioni
>> ermeneutiche o tra due ricostruzioni probatorie dei fatti, quella che
>> appare meno rischiosa sul piano di una eventuale responsabilità
>> risarcitoria, tenuto conto anche del “peso” delle parti in causa. Sul
>> piano interpretativo, inoltre, il giudice sarebbe indotto – sempre
>> per limitare i rischi – ad uniformarsi agli indirizzi della Corte di
>> cassazione e della giurisprudenza europea, con una surrettizia
>> elusione della regola, desumibile dal citato art. 101, secondo comma,
>> Cost., che esclude l’efficacia vincolante dei precedenti
>> giurisprudenziali.
>>
>> Al fine di rendere conforme a Costituzione la nuova disciplina,
>> sarebbe necessario – secondo il rimettente – reintrodurre la clausola
>> di salvaguardia in rapporto all’azione di rivalsa dello Stato nei
>> confronti del magistrato: operazione che risulterebbe pienamente
>> rispettosa delle indicazioni della Corte di giustizia dell’Unione
>> europea, che hanno costituito il principale stimolo alla riforma. È
>> ben vero, infatti, che la Corte di Lussemburgo ha ritenuto
>> incompatibile con il diritto comunitario l’esclusione della
>> responsabilità civile nei casi in cui il danno connesso all’esercizio
>> di funzioni giudiziarie sia dovuto ad una errata interpretazione di
>> norme di diritto o ad una errata valutazione del fatto o delle prove
>> (sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del
>> Mediterraneo), ma tale affermazione – come precisato espressamente
>> dalla sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler – si
>> riferisce solo alla responsabilità dello Stato, e non anche alla
>> responsabilità personale del magistrato. Alcuni passaggi delle
>> pronunce della Corte di giustizia parrebbero, anzi, evocare necessari
>> limiti alla responsabilità personale del giudice.
>>
>> 2.3.– Il Tribunale trevigiano dubita, in secondo luogo, della
>> legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18
>> del 2015, che, abrogando l’art. 5 della legge n. 117 del 1988, ha
>> eliminato qualunque filtro sulla domanda risarcitoria, nonché degli
>> artt. «4 e/o 7» della legge n. 117 del 1988, come riformulati, «nella
>> parte in cui non prevedono, per l’appunto, alcun meccanismo di filtro
>> volto a delibare la manifesta infondatezza della domanda di
>> risarcimento».
>>
>> Il rimettente denuncia innanzitutto il contrasto delle norme
>> censurate con gli artt. 101, 104 e 113 Cost., ricordando come il
>> «rilievo costituzionale» del meccanismo di filtro – quale strumento
>> di salvaguardia dei valori dell’indipendenza e dell’autonomia della
>> magistratura – fosse stato specificamente affermato dalla Corte
>> costituzionale nelle sentenze n. 468 del 1990 e n. 18 del 1989. Il
>> filtro apparirebbe, peraltro, ancora più necessario nel nuovo regime,
>> essendo tutt’altro che remota la possibilità che l’azione di
>> responsabilità venga esercitata quando il giudizio in cui si sarebbe
>> verificato il danno pende ancora dinanzi al giudice “accusato”
>> dell’illecito civile. È vero, infatti, che l’art. 4, comma 2, della
>> legge n. 117 del 1988, come novellato, subordina l’esercizio
>> dell’azione risarcitoria contro lo Stato all’esperimento dei mezzi
>> ordinari di impugnazione o dei rimedi previsti avverso i
>> provvedimenti cautelari e sommari, ovvero – se tali rimedi non sono
>> previsti – all’esaurimento del grado di giudizio nell’àmbito del
>> quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno. Il
>> successivo comma 3 aggiunge, tuttavia, che «l’azione può essere
>> esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il
>> danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento
>> nell’ambito del quale il fatto stesso si è verificato».
>>
>> La possibile sovrapposizione dei due giudizi – quello che si assume
>> produttivo di danno e quello risarcitorio – provocherebbe, peraltro,
>> un «grave “cortocircuito giudiziario”», che aprirebbe la strada a
>> ricusazioni e astensioni, con conseguente lesione anche del principio
>> del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.).
>>
>> Il rimettente lascia alla Corte costituzionale il compito di
>> stabilire se, ai fini della tutela dei valori costituzionali evocati,
>> il filtro debba riguardare, ab origine, la domanda di risarcimento
>> proposta dal danneggiato contro lo Stato oppure la successiva domanda
>> di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato.
>>
>> 2.4.– Il giudice a quo censura, infine, l’art. 8, comma 3, della
>> legge n. 117 del 1988, come sostituito dall’art. 5 della legge n. 18
>> del 2015, «nella parte in cui prevede che l’esecuzione della rivalsa
>> da parte dello Stato nei confronti del magistrato, quando viene
>> effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, può comportare il
>> pagamento per rate mensili fino ad un importo corrispondente ad un
>> terzo dello stipendio».
>>
>> Il rimettente rileva come la norma tratti i magistrati in modo
>> deteriore rispetto a tutti gli altri dipendenti pubblici, i cui
>> emolumenti – in forza dell’art. 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180
>> (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro,
>> il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei
>> dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni) e dell’art. 33, ottavo
>> comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle
>> disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello
>> Stato) – possono formare oggetto di sequestro e di pignoramento solo
>> nei limiti del quinto del rateo mensile.
>>
>> Tale disparità di trattamento, oltre a violare anch’essa gli artt.
>> «101 e seguenti» Cost., togliendo serenità al magistrato, si porrebbe
>> in contrasto con l’art. 3 Cost., risultando priva di ogni ragionevole
>> giustificazione. Quest’ultima non potrebbe essere rinvenuta, in
>> specie, nell’ammontare dello stipendio, essendovi notoriamente
>> dipendenti pubblici che percepiscono stipendi più elevati di quello
>> dei magistrati.
>>
>> 2.5.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
>> rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, il quale
>> ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di
>> rilevanza sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte in
>> rapporto all’ordinanza r.o. n. 198 del 2015, contestandone, in ogni
>> caso, la fondatezza nel merito.
>>
>> Quanto alle questioni aventi ad oggetto l’art. 7 della legge n. 117
>> del 1988, la difesa dell’interveniente rileva che la cosiddetta
>> clausola di salvaguardia non è stata eliminata dal legislatore, ma
>> solo ridisegnata anche al fine di renderla conforme alle pronunce
>> della Corte di giustizia dell’Unione europea. L’«erosione» della
>> clausola sarebbe stata, d’altra parte, ragionevolmente circoscritta
>> ai casi di «manifesto e ingiustificato esercizio non corretto
>> dell’attività di interpretazione delle norme e di valutazione dei
>> fatti e delle prove».
>>
>> Infondate sarebbero anche le questioni inerenti all’abolizione del
>> filtro di ammissibilità, previsto dall’art. 5 della legge n. 117 del
>> 1988, per le stesse ragioni indicate in rapporto all’ordinanza r.o.
>> n. 198 del 2015. Con particolare riguardo all’assunto del rimettente,
>> secondo il quale la Corte costituzionale dovrebbe valutare se il
>> filtro sia indispensabile in relazione alla causa contro lo Stato
>> ovvero solo per l’azione di rivalsa, l’Avvocatura generale dello
>> Stato aggiunge che la presenza del filtro nell’azione di rivalsa non
>> avrebbe, in realtà, alcun senso, tanto da non essere prevista neppure
>> nella previgente disciplina.
>>
>> Quanto, infine, alle questioni inerenti alla misura della rivalsa,
>> nel caso di esecuzione mediante trattenuta sullo stipendio, le
>> posizioni poste a confronto dal rimettente – quella del magistrato e
>> quella degli altri dipendenti pubblici – sarebbero palesemente
>> diverse e non comparabili.
>>
>> 3.– Con ordinanza del 6 febbraio 2016 (r.o. n. 113 del 2016), il
>> Tribunale ordinario di Catania ha sollevato questioni di legittimità
>> costituzionale:
>>
>> a) dell’art. 7 della legge n. 117 del 1988, come sostituito dall’art.
>> 4, comma 1, della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui prevede
>> che l’azione di rivalsa sia esperibile anche nelle ipotesi di
>> ritenuto «travisamento del fatto o delle prove di cui all’art. 2,
>> commi 2, 3», per contrasto con gli artt. 3, 24, 28 e «101-113» Cost.;
>>
>> b) dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, che ha abrogato
>> l’art. 5 della legge n. 117 del 1988, per contrasto con gli artt. 3 e
>> «101-113» Cost.;
>>
>> c) dell’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificato
>> dall’art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui
>> prevede l’obbligo del titolare dell’azione disciplinare di procedere
>> nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa
>> all’azione di risarcimento, a seguito della proposizione dell’azione
>> risarcitoria, indipendentemente dall’esito della domanda, per
>> contrasto con gli artt. 3, e «101-113» Cost.;
>>
>> d) dell’art. 4, comma 3, della legge n. 117 del 1988, per contrasto
>> con gli artt. 3 e «101-113» Cost.;
>>
>> e) dell’art. 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito
>> dall’art. 5, comma 1, della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui
>> prevede che la rivalsa, ove effettuata mediante trattenuta sullo
>> stipendio, possa comportare il pagamento per rate mensili fino ad
>> importo corrispondente ad un terzo dello stipendio netto, anziché ad
>> un quinto, per contrasto con gli artt. 3, 101 e 111 Cost.
>>
>> 3.1.– Il giudice a quo riferisce di essere investito dell’opposizione
>> proposta da un datore di lavoro avverso l’ordinanza – emessa dallo
>> stesso Tribunale, nella medesima composizione monocratica – con la
>> quale, in parziale accoglimento del ricorso proposto da una
>> lavoratrice contro il licenziamento per giusta causa, era stata
>> disposta la reintegrazione della medesima nel posto di lavoro a norma
>> dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela
>> della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale, nei
>> luoghi di lavoro e norme sul collocamento).
>>
>> L’ordinanza opposta, pur dando atto dell’esistenza di elementi
>> indiziari a carico della lavoratrice, li aveva ritenuti non
>> sufficienti per considerare provati gli addebiti a questa mossi
>> (impossessamento illecito di beni commercializzati dal datore di
>> lavoro), per difetto dei caratteri dell’univocità e della concordanza
>> (art. 2729 cod. civ.).
>>
>> L’opponente aveva censurato aspramente l’ordinanza, sostenendo che
>> essa avesse disatteso risultanze decisive dell’istruttoria con
>> affermazioni contrarie «alla logica e al buon senso, prima ancora che
>> ai principi di diritto», dovendo l’ordinanza stessa, «all’evidenza»,
>> «smontare tutte le prove raccolte per dar credito alla tesi
>> dell’opposta».
>>
>> Alla prima udienza di discussione, lo stesso opponente, rilevata
>> l’identità fisica tra il giudice della fase sommaria e il giudice
>> dell’opposizione, aveva proposto istanza di ricusazione ai sensi
>> dell’art. 51, numero 4), cod. proc. civ.: istanza rigettata,
>> tuttavia, dal collegio, sul rilievo che la fase di opposizione,
>> prevista dall’art. 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92
>> (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una
>> prospettiva di crescita), non costituisce un giudizio di
>> impugnazione, ma un giudizio ordinario di cognizione in materia di
>> lavoro.
>>
>> Riassunta la causa, le parti avevano chiesto un rinvio per la
>> discussione, ritenendo esaustiva l’istruttoria già espletata nella
>> fase sommaria. Nelle more, era entrata, peraltro, in vigore la legge
>> n. 18 del 2015.
>>
>> Tanto premesso, il rimettente rileva come l’oggetto del giudizio di
>> cui è investito sia costituito dalla conferma, o meno, della
>> decisione assunta nella fase preliminare, sulla base di una nuova
>> valutazione dello stesso materiale probatorio. Rileva, altresì, come
>> i vizi che l’opponente addebita all’ordinanza opposta possano essere
>> ricondotti alla nozione, particolarmente generica, di «travisamento
>> del fatto o delle prove». Sarebbe, quindi, del tutto verosimile che
>> il medesimo addebito verrebbe mosso dalla parte opponente alla
>> decisione di conferma del provvedimento. La stessa lavoratrice,
>> peraltro, in caso di accoglimento delle tesi avversarie, potrebbe a
>> sua volta ravvisare un omologo vizio. Sussisterebbe, dunque, la
>> «reale e tangibile probabilità» che qualsiasi decisione possa essere
>> contestata «per ritenuto “travisamento del fatto o delle prove”»:
>> ipotesi, questa, oggi rientrante nei casi di «colpa grave»,
>> costituenti presupposto tanto dell’azione risarcitoria nei confronti
>> dello Stato per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni
>> giudiziarie, quanto della successiva azione di rivalsa nei confronti
>> del magistrato.
>>
>> La novella legislativa del 2015 ha anche stabilito che l’azione
>> risarcitoria dia subito luogo ad un giudizio a cognizione piena,
>> essendo stato abolito il filtro di ammissibilità già previsto
>> dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988; che il titolare dell’azione
>> disciplinare debba attivarsi indipendentemente da un esito della
>> domanda risarcitoria; che la misura delle somme ripetibili dallo
>> Stato attraverso la trattenuta sullo stipendio del magistrato sia
>> elevata ad un terzo (art. 8 della legge n. 117 del 1988, come
>> novellato); che l’azione risarcitoria, decorsi tre anni, sia
>> esperibile ove il grado di giudizio nel quale il fatto si è
>> verificato non risulti esaurito (art. 4, comma 3, della legge n. 117
>> del 1988, come novellato).
>>
>> Tale complesso di disposizioni sarebbe direttamente rilevante nel
>> giudizio a quo – considerati i termini della controversia – in quanto
>> idoneo a pregiudicare la serenità del giudizio, l’imparzialità ed il
>> libero convincimento di esso rimettente: il timore di poter subire
>> svantaggi – anche solo sul piano dell’esigenza di svolgere «una
>> considerevole attività difensiva» – potrebbe indurre, infatti, il
>> giudice, «anche inconsapevolmente o in maniera del tutto istintiva,
>> ad adottare una decisione, anziché un’altra, non perché ritenuta più
>> corretta […], ma solo perché, per lui, meno rischiosa».
>>
>> Né varrebbe obiettare che la decisione emananda è suscettibile di
>> impugnazione, posto che, nel caso di conferma della sentenza nei
>> successivi gradi di giudizio, l’eventuale domanda risarcitoria
>> riguarderebbe, comunque sia, anche e innanzitutto, l’operato del
>> giudice di primo grado.
>>
>> Le conclusioni ora esposte sarebbero, d’altronde, conformi – anche
>> secondo il Tribunale di ordinario di Catania – alle affermazioni
>> contenute nella sentenza n. 18 del 1989 della Corte costituzionale.
>>
>> 3.2.– Ciò posto, il giudice a quo dubita, anzitutto, della
>> legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n. 117 del 1988,
>> come sostituito dall’art. 4, comma 1, della legge n. 18 del 2015,
>> nella parte in cui prevede che l’azione di rivalsa sia esperibile
>> anche nelle ipotesi di ritenuto «travisamento del fatto o delle prove
>> di cui all’art. 2, commi 2, 3».
>>
>> Ad avviso del rimettente, la disposizione violerebbe l’art. 3 Cost.,
>> riducendo irragionevolmente, se non addirittura eliminando, «il
>> carattere tassativo delle ipotesi per le quali il magistrato,
>> nell’attività di valutazione del fatto o delle prove, può essere
>> convenuto civilmente in sede di rivalsa»: carattere di fronte al
>> quale la giurisprudenza costituzionale (e, in particolare, la
>> sentenza n. 18 del 1989) aveva escluso che l’originario impianto
>> della legge n. 117 del 1988 si esponesse a rilievi sul piano della
>> legittimità costituzionale.
>>
>> La formula «travisamento del fatto o delle prove» – evidentemente non
>> riferibile alle ipotesi dell’affermazione o della negazione di un
>> fatto incontrastabilmente escluso o emergente dagli atti del
>> procedimento, già originariamente contemplate dalla legge n. 117 del
>> 1988 e da essa tuttora menzionate – risulterebbe, infatti, generica
>> ed ambigua, apparendo idonea a ricomprendere un numero indefinito di
>> casi e prestandosi, perciò, a letture soggettive e opinabili.
>>
>> L’ipotesi di responsabilità in questione rischierebbe, quindi, di
>> instaurare «una sorta di “contro-processo”», sovrapponendo al
>> giudizio del giudice naturale precostituito per la definizione della
>> controversia quello di altro giudice, con sostanziale soppressione
>> della clausola di salvaguardia pure formalmente ribadita dall’art. 2,
>> comma 2, della legge n. 117 del 1988, volta a tutelare
>> «l’indipendenza del giudice nel cuore della propria attività» (quella
>> di valutazione del fatto e delle prove).
>>
>> La norma censurata violerebbe anche il «principio di legalità»
>> desumibile dalle previsioni degli artt. 28 e 101 Cost., in forza del
>> quale dovrebbe essere il legislatore a stabilire in quali casi il
>> giudice è civilmente responsabile. Con l’adozione di formule così
>> generiche quale quella censurata, il predetto compito verrebbe, di
>> fatto, delegato al giudice dell’azione risarcitoria, con conseguente
>> rischio di affermazioni di responsabilità basate semplicemente sulla
>> mancata condivisione dei criteri valutativi e interpretativi
>> applicati nel giudizio che si assume produttivo di danno.
>>
>> Sarebbero violati, ancora, i principi di indipendenza ed autonomia
>> del giudice «di cui agli artt. 101-113 Cost.». La mera possibilità
>> che il giudice sia sottoposto ad azione di rivalsa per aver
>> “travisato” il materiale probatorio o il fatto genera il pericolo che
>> egli sia indotto a scegliere, tra più opzioni disponibili, non quella
>> ritenuta più giusta, ma quella che appare «meno rischiosa», favorendo
>> così – in contrasto con il principio del libero convincimento –
>> «atteggiamenti remissivi o conformisti».
>>
>> In questo modo, il giudice verrebbe anche privato – in contrasto con
>> l’art. 111 Cost. – della sua terzietà, perdendo la propria necessaria
>> “indifferenza” rispetto alle parti e alla causa. Il timore di
>> pregiudizi personali lo porterebbe, infatti, «istintivamente» ad
>> adottare soluzioni “accomodanti”, tanto più quando taluna delle parti
>> vanti particolari risorse economiche od ostenti «atteggiamenti audaci
>> ovvero velatamente minacciosi».
>>
>> Il pericolo di condizionamenti non è escluso dal fatto che, in base
>> alla norma denunciata, l’azione di rivalsa deve essere esercitata
>> solo se il travisamento del fatto o delle prove siano stati
>> determinati da dolo o da «negligenza inescusabile». Tale condizione
>> non è, infatti, prevista dall’art. 2, comma 3, della legge n. 117 del
>> 1988, nel testo vigente, ai fini della proponibilità dell’azione
>> risarcitoria nei confronti dello Stato. Di conseguenza, il mero
>> risarcimento del danno per ritenuto travisamento assoggetterebbe il
>> giudice alla decisione del Presidente del Consiglio dei ministri di
>> attivare l’azione di rivalsa, potendo ogni ulteriore valutazione
>> dell’elemento soggettivo rilevare in tale sede. In ogni caso, il
>> presunto travisamento potrebbe attenere ad una attività di
>> valutazione che il giudice ha svolto con perfetta consapevolezza,
>> nell’adempimento del suo dovere di decidere secondo il proprio
>> convincimento: sicché egli potrebbe essere chiamato a rispondere
>> addirittura per aver travisato il fatto con dolo.
>>
>> Per superare gli esposti rilievi non si potrebbe far leva sugli
>> indirizzi della giurisprudenza comunitaria, secondo i quali
>> l’esclusione della responsabilità civile, nei casi di danno
>> determinato da un’errata interpretazione di norme di diritto o di
>> valutazione del fatto o delle prove, non è compatibile con il diritto
>> dell’Unione europea. L’affermazione riguarda, infatti, la sola
>> responsabilità dello Stato e non investe la responsabilità del
>> singolo giudice, rispetto alla quale, anzi, lo stesso Comitato dei
>> ministri del Consiglio d’Europa – con la raccomandazione CM/Rec(2010)
>> 12 del 17 novembre 2010 – ha sollecitato gli Stati aderenti ad
>> evitare aggravamenti suscettibili di minacciare un esercizio della
>> funzione giurisdizionale conforme ai principi dello Stato di diritto.
>> Le limitazioni apposte dalla legge n. 18 del 2015 alla clausola di
>> salvaguardia («Fatti salvi i commi 3 e 3-bis») sarebbero quindi
>> giustificabili in rapporto alla responsabilità dello Stato, ma non in
>> relazione alla responsabilità del giudice.
>>
>> 3.3.– Il Tribunale etneo dubita, altresì, della legittimità
>> costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, che
>> abroga l’art. 5 della legge n. 117 del 1988.
>>
>> L’eliminazione, «senza […] appositi bilanciamenti», del filtro di
>> ammissibilità sulla domanda risarcitoria previsto dalla norma
>> abrogata violerebbe i principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di
>> indipendenza e autonomia della magistratura (artt. «101-113» Cost.).
>> In occasione dello scrutinio dell’impianto originario della legge n.
>> 117 del 1988, la Corte costituzionale aveva, infatti, posto in
>> rilievo come il meccanismo fosse indispensabile al fine di garantire
>> i valori costituzionali evocati, ponendo al riparo il magistrato da
>> azioni temerarie e intimidatorie (sentenze n. 468 del 1990 e n. 18
>> del 1989).
>>
>> La soppressione del filtro non potrebbe essere logicamente
>> giustificata con la supposizione che l’istituto abbia favorito, in
>> passato, atteggiamenti «di tipo corporativo», posto che analoghi
>> atteggiamenti potrebbero, comunque sia, manifestarsi, dopo la sua
>> scomparsa, nelle sedi di merito. L’intervento sarebbe contrario, per
>> converso, alle esigenze di deflazione e di efficienza del sistema,
>> creando fenomeni di congestione degli uffici giudiziari competenti
>> sulle domande risarcitorie.
>>
>> Nell’attuale sistema, d’altro canto, qualsiasi domanda risarcitoria,
>> indipendentemente dalla sua fondatezza, esporrebbe il giudice a
>> pregiudizi di carattere non patrimoniale, dovendo egli preoccuparsi
>> di predisporre un’adeguata difesa, eventualmente già come
>> interveniente nel giudizio risarcitorio ai sensi dell’art. 6 della
>> legge n. 117 del 1988. Di qui un ulteriore possibile stimolo a scelte
>> accomodanti e arrendevoli.
>>
>> 3.4.– Il rimettente censura ancora, per violazione dei medesimi
>> parametri costituzionali, l’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del
>> 1988, come sostituito dall’art. 6, comma 1, della legge n. 18 del
>> 2015, nella parte in cui prevede l’obbligo del titolare dell’azione
>> disciplinare di procedere nei confronti del magistrato per i fatti
>> che hanno dato causa all’azione di risarcimento, a seguito della mera
>> proposizione di quest’ultima, indipendentemente dall’esito della
>> domanda.
>>
>> Tale modifica – conseguente alla soppressione del filtro di
>> ammissibilità – violerebbe anch’essa i principi di indipendenza,
>> terzietà ed imparzialità del giudice, facendo sì che quest’ultimo
>> possa risultare esposto contemporaneamente, a seguito della mera
>> proposizione della domanda risarcitoria, «a più oneri difensivi, sia
>> in sede risarcitoria che in sede disciplinare, anche in chiave
>> meramente preventiva», con conseguenti rischi di condizionamento
>> della sua serenità di giudizio.
>>
>> La norma violerebbe, altresì, l’art. 3 Cost., apparendo irragionevole
>> imporre l’avvio del procedimento disciplinare a prescindere da ogni
>> valutazione di fondatezza della domanda risarcitoria, con il
>> risultato di provocare intuibili disfunzioni sia presso l’ufficio del
>> giudice coinvolto (le cui energie verrebbero distolte dall’esigenza
>> di curare le proprie difese), sia presso l’ufficio titolare
>> dell’azione disciplinare.
>>
>> 3.5.– Il rimettente ventila, poi, l’illegittimità costituzionale
>> dell’art. 4, comma 3, della legge n. 117 del 1988, ove si stabilisce
>> – in deroga alla regola generale enunciata dal comma 2 dello stesso
>> articolo – che l’azione risarcitoria può essere esercitata decorsi
>> tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno, se in tale
>> termine non si è concluso il grado del procedimento nell’àmbito del
>> quale il fatto stesso si è verificato.
>>
>> La norma denunciata violerebbe gli artt. 3 e «101-113» Cost., in
>> quanto idonea «a turbare la serenità, l’indipendenza e, dunque,
>> l’imparzialità del giudice». Questi, nell’ipotesi di prolungamento
>> del giudizio nel medesimo grado oltre i tre anni, potrebbe, infatti,
>> veder promossa un’azione risarcitoria riferita ad un proprio
>> provvedimento interinale, pur essendo ancora investito della causa.
>> In questo modo, la serenità del giudicante – chiamato a confermare le
>> valutazioni interinali cui è riferita la domanda risarcitoria –
>> risulterebbe del tutto compromessa. Il condizionamento dell’autonomia
>> di giudizio – acuito dall’avvenuta abolizione del filtro di
>> ammissibilità su detta domanda – potrebbe, peraltro, estendersi anche
>> al giudice del grado successivo, chiamato a verificare la correttezza
>> dell’operato del primo giudice.
>>
>> La soluzione costituzionalmente corretta – anche in un’ottica di
>> bilanciamento degli interessi contrapposti – sarebbe, per converso,
>> quella di differire, in ogni caso, l’esperibilità dell’azione
>> risarcitoria al momento in cui il provvedimento che si assume dannoso
>> non sia più modificabile.
>>
>> 3.6.– Con i medesimi parametri costituzionali si porrebbe in
>> contrasto, da ultimo, anche l’art. 8, comma 3, della legge n. 117 del
>> 1988, come sostituito dall’art. 5, comma 1, della legge n. 18 del
>> 2015, nella parte in cui prevede che la rivalsa, ove effettuata
>> mediante trattenuta sullo stipendio, possa comportare il pagamento
>> per rate mensili fino ad un importo corrispondente ad un terzo dello
>> stipendio netto, anziché ad un quinto.
>>
>> La norma censurata discriminerebbe, infatti, irragionevolmente i
>> magistrati rispetto agli altri dipendenti pubblici – le cui
>> retribuzioni, a mente degli artt. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950 e 3,
>> ottavo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, sono sequestrabili e
>> pignorabili solo fino a concorrenza di un quinto – perturbando, una
>> volta ancora, con il timore di una così rilevante compressione dei
>> propri emolumenti, il sereno svolgimento delle loro funzioni.
>>
>> 3.7.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
>> rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
>> eccependo l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza,
>> sulla base di considerazioni analoghe a quelle già svolte in rapporto
>> alle precedenti ordinanze di rimessione.
>>
>> Le questioni sarebbero, in ogni caso, infondate.
>>
>> Con riguardo alle prime tre delle cinque norme censurate, la difesa
>> dell’interveniente ripropone argomenti similari a quelli prospettati
>> nei precedenti atti di intervento. In particolare, con riguardo alle
>> questioni concernenti l’art. 7 della legge n. 117 del 1988, ribadisce
>> che il concetto di «travisamento» non sarebbe affatto ambiguo e
>> generico e, soprattutto, esulerebbe dall’àmbito dell’attività
>> valutativa, rappresentandone un grave e ingiustificato sviamento. La
>> circostanza, poi, che l’azione di rivalsa presupponga, a mente della
>> disposizione censurata, il dolo o la negligenza inescusabile del
>> magistrato escluderebbe senz’altro il rischio che questi possa essere
>> chiamato a rispondere civilmente per la mera «non condivisione» dei
>> criteri valutativi e interpretativi da lui applicati. Del tutto
>> infondato sarebbe, altresì, l’assunto del rimettente stando al quale
>> la consapevole scelta della decisione da parte del giudice potrebbe
>> addirittura integrare il «dolo». Quest’ultimo si configurerebbe,
>> infatti, solo nei casi di scelte contra legem perché frutto di
>> interessi o di accordi illeciti, e non perché si tratti di scelte
>> «consapevoli».
>>
>> Riguardo, poi, alle questioni che investono l’art. 4, comma 3, della
>> legge n. 117 del 1988, l’Avvocatura generale dello Stato rileva come
>> sia comprensibile e ragionevole che, a tutela del danneggiato, sia
>> prevista la possibilità di agire per il risarcimento quando il grado
>> di giudizio non si sia concluso nel termine di tre anni. Il
>> riconoscimento di tale facoltà – peraltro di rara esplicazione
>> pratica – trova, infatti, giustificazione nella irragionevole durata
>> del grado del procedimento in cui si è verificato il fatto dannoso.
>> La circostanza che penda una causa risarcitoria contro lo Stato non
>> dovrebbe, d’altra parte, in alcun modo intaccare la serenità di
>> giudizio del magistrato che ha operato secondo diligenza.
>>
>> Infondate, da ultimo, risulterebbero anche le questioni relative
>> all’esecuzione della rivalsa, per le stesse ragioni già indicate in
>> rapporto alle omologhe questioni sollevate dal Tribunale ordinario di
>> Treviso.
>>
>> 4.– Con ordinanza del 25 febbraio 2016 (r.o. n. 126 del 2016), il
>> Tribunale ordinario di Enna ha sollevato questioni di legittimità
>> costituzionale:
>>
>> a) dell’art. 2, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito
>> dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 18 del 2015, nella
>> parte in cui, secondo il diritto vivente, configurerebbe come «colpa
>> grave» del magistrato, per «violazione manifesta del diritto»,
>> l’adozione di un’interpretazione di norme di diritto contrastante con
>> quella adottata dalla Corte costituzionale in una pronuncia
>> interpretativa di rigetto, resa in un diverso processo, per
>> violazione degli artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, 107,
>> terzo comma, e 134 Cost.;
>>
>> b) dell’art. 2, comma 2, della legge n. 117 del 1988, come sostituito
>> dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 18 del 2015, nella
>> parte in cui, secondo il diritto vivente, non estenderebbe la
>> clausola di esclusione della responsabilità per l’«interpretazione
>> delle norme di diritto» anche all’ipotesi in cui l’interpretazione
>> accolta dal giudice sia in contrasto con quella adottata dalla Corte
>> costituzionale in una pronuncia interpretativa di rigetto, resa in un
>> diverso processo, per violazione degli artt. 101, secondo comma, 104,
>> primo comma, 107, terzo comma, e 134 Cost.
>>
>> 4.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del giudizio di
>> opposizione a un decreto ingiuntivo, emesso per il pagamento della
>> somma di euro 13.679,92 a titolo di regresso nell’àmbito di un
>> contratto di fideiussione.
>>
>> Il debitore ingiunto aveva dedotto, a fondamento dell’opposizione,
>> l’usurarietà degli interessi applicati dalla banca garantita sulle
>> rate di mutuo rimaste inadempiute, per il cui pagamento era stato
>> escusso il fideiussore ingiungente. Quest’ultimo, nel costituirsi in
>> giudizio, aveva contestato le avverse deduzioni, aveva chiesto di
>> chiamare in causa la banca e, infine, aveva fatto istanza per la
>> concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
>>
>> Con riguardo a tale ultima istanza, il rimettente rileva che
>> l’opposizione – oltre a non apparire di pronta soluzione – non
>> risulta neppure fondata su prova scritta. Alla luce del tenore
>> letterale dell’art. 648, primo comma, cod. proc. civ., ciò dovrebbe
>> portare all’accoglimento della richiesta dell’ingiungente, impedendo
>> una rivalutazione in fase di opposizione della prova documentale da
>> questi offerta in sede monitoria: soluzione che risulterebbe conforme
>> al principio di ragionevole durata del processo, apparendo
>> «superfluo» e illogico sottoporre a due diversi giudici la
>> valutazione delle stesse prove, in un ristretto arco temporale.
>>
>> La Corte costituzionale, tuttavia, con una pronuncia interpretativa
>> di rigetto – l’ordinanza n. 295 del 1989 – ha offerto una diversa
>> lettura della disposizione, affermando che anche «nel procedimento di
>> opposizione a decreto ingiuntivo, non fondata su prova scritta, la
>> concessione della provvisoria esecuzione […] deve ovviamente essere
>> esercitata – come in ogni ipotesi di misura avente (anche) natura
>> cautelare – attraverso la congiunta valutazione del fumus boni iuris
>> e del periculum in mora». La riconduzione del provvedimento previsto
>> dall’art. 648 cod. proc. civ. nell’alveo dei provvedimenti lato sensu
>> cautelari, quindi, legittimerebbe – secondo la Corte – una
>> rivalutazione dell’intero materiale offerto dalla parte creditrice
>> anche di fronte a un’opposizione non fondata su prova scritta.
>>
>> In una simile situazione, verrebbero in rilievo, ai fini della
>> decisione che il giudice a quo è chiamato ad assumere, alcune delle
>> disposizioni della legge n. 117 del 1988 – e, in particolare, il suo
>> art. 2, commi 2 e 3 – «così come interpretate dal diritto vivente
>> della Corte di cassazione».
>>
>> Secondo il rimettente, le sezioni unite civili della Corte di
>> cassazione avrebbero infatti affermato, con la sentenza 16 dicembre
>> 2013, n. 27986, che le pronunce interpretative di rigetto della Corte
>> costituzionale hanno effetto vincolante nei confronti di tutti i
>> giudici comuni, e non solo del giudice che ha sollevato l’incidente
>> di costituzionalità. Con altra pronuncia (sezione terza civile, 5
>> novembre 2013, n. 24798), la Corte di cassazione avrebbe, altresì,
>> ritenuto che l’adozione di una soluzione interpretativa rifiutata
>> dalla Corte costituzionale in una pronuncia interpretativa di rigetto
>> costituisca, per il giudice, una «grave violazione di legge
>> determinata da negligenza inescusabile», ai sensi dell’originario
>> testo dell’art. 2, comma 3, lettera a), della legge n. 117 del 1988:
>> affermazione riferita proprio a fattispecie nella quale il giudice si
>> era discostato dall’interpretazione adottata dalla citata ordinanza
>> della Corte costituzionale n. 295 del 1989, in punto di presupposti
>> per la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.
>>
>> Sulla ricordata conclusione non inciderebbero le modifiche normative
>> operate dalla legge n. 18 del 2015: la nozione di «manifesta
>> violazione della legge», utilizzata dalla novella, sarebbe infatti
>> sovrapponibile a quella di «grave violazione di legge», da essa
>> sostituita.
>>
>> Di conseguenza, per non incorrere in responsabilità, il giudice a quo
>> dovrebbe – a suo avviso – scartare a priori una delle possibili
>> opzioni interpretative dell’art. 648 cod. proc. civ. (la prima dianzi
>> prospettata). Una motivazione che disattendesse expressis verbis
>> l’interpretazione accolta dall’ordinanza n. 295 del 1989 esporrebbe
>> il rimettente – sempre secondo la sua ricostruzione – addirittura ad
>> una responsabilità diretta nei confronti delle parti, potendosi
>> configurare una ipotesi di dolo.
>>
>> Di qui, dunque, la rilevanza delle questioni, anche alla luce dei
>> principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18
>> del 1989 e implicitamente ribaditi – a parere del rimettente – nella
>> sentenza n. 237 del 2013.
>>
>> 4.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Enna
>> assume che le norme censurate – nella parte in cui, secondo il
>> «diritto vivente», configurano come ipotesi di «colpa grave» del
>> giudice l’adozione di una interpretazione contrastante con quella
>> adottata dalla Corte costituzionale in una pronuncia interpretativa
>> di rigetto resa in un diverso processo – violerebbero i principi di
>> soggezione del giudice soltanto alla legge e di indipendenza della
>> magistratura, espressi dagli artt. 101, secondo comma, 104, primo
>> comma, e 107, terzo comma, Cost.
>>
>> Detti principi, sottraendo il giudice ad ogni vincolo gerarchico,
>> escluderebbero che possa attribuirsi efficacia vincolante ad
>> interpretazioni di disposizioni di legge provenienti da giurisdizioni
>> superiori, compresa la Corte costituzionale. Diversamente opinando,
>> si attribuirebbe alla Corte – in violazione dell’art. 134 Cost. – una
>> «funzione nomofilattica», riconoscendo a tale organo, non solo il
>> potere di dichiarare erga omnes l’incompatibilità della legge con la
>> Costituzione, ma anche il «monopolio interpretativo della
>> compatibilità tra legge e Costituzione».
>>
>> 4.3.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
>> ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
>> Stato, eccependo l’inammissibilità della questione per difetto di
>> rilevanza.
>>
>> Le norme della cui compatibilità costituzionale si dubita verrebbero,
>> infatti, in rilievo solo in linea teorica ed eventuale, qualora il
>> giudice a quo decidesse di disattendere il richiamato orientamento
>> della Corte costituzionale. Peraltro, il Tribunale rimettente non
>> avrebbe neppure indicato le ragioni che dovrebbero indurlo ad una
>> simile opzione.
>>
>> Ove pure, poi, il giudice a quo si ritenesse vincolato
>> all’interpretazione della Corte costituzionale riguardo alla natura
>> del giudizio sulla concessione della provvisoria esecuzione del
>> decreto ingiuntivo, potrebbe pur sempre sollevare questione di
>> legittimità costituzionale dell’art. 648 cod. proc. civ. Questa
>> soltanto sarebbe, in effetti, la norma rilevante nel giudizio a quo,
>> e non già le disposizioni sulla responsabilità civile dei magistrati.
>> Nella stessa sentenza delle sezioni unite civili della Corte di
>> cassazione citata dal rimettente si afferma specificamente, del
>> resto, che il vincolo che deriva, sia per il giudice a quo che per
>> tutti i giudici comuni, dalle pronunce interpretative di rigetto è
>> solo negativo, consistendo nell’imperativo di non applicare la
>> “norma” ritenuta non conforme al parametro scrutinato dalla Corte
>> costituzionale. Non è preclusa, invece, la possibilità di seguire
>> “terze interpretazioni” ritenute compatibili con la Costituzione,
>> oppure di sollevare nuovamente, in diversi gradi dello stesso
>> processo a quo o in diversi processi, la questione di legittimità
>> costituzionale della medesima disposizione sulla base
>> dell’interpretazione rifiutata dalla Corte costituzionale.
>>
>> Non pertinente risulterebbe, altresì, il richiamo del giudice a quo
>> alla sentenza della Corte di cassazione n. 24798 del 2013,
>> concernente una fattispecie nella quale il giudice aveva negato
>> l’esistenza del fumus boni iuris, concedendo, ciò nondimeno, la
>> provvisoria esecuzione del decreto opposto.
>>
>> Nel merito, la questione sarebbe, ad ogni modo, infondata. La
>> clausola di salvaguardia, in base alla quale «non può dar luogo a
>> responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né
>> quella di valutazione del fatto e delle prove», sarebbe rimasta
>> inalterata nell’impianto della legge n. 117 del 1988 anche dopo le
>> modifiche di cui alla legge n. 18 del 2015, «salva la sua erosione
>> derivante anche dagli interventi della Corte di Giustizia dell’Unione
>> Europea». In ogni caso, tale clausola cesserebbe di operare nei casi
>> di «manifesto ed ingiustificato esercizio non corretto dell’attività
>> di interpretazione delle norme», quale quello del giudice che si
>> discostasse immotivatamente dal diritto vivente e dall’unica opzione
>> ermeneutica suggerita dalla Corte costituzionale come legittima,
>> senza sollevare un nuovo incidente di costituzionalità.
>>
>> 5.– Con ordinanza del 10 maggio 2016 (r.o. n. 130 del 2016), il
>> Tribunale ordinario di Genova ha sollevato questioni di legittimità
>> costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, che
>> ha abrogato l’art. 5 della legge n. 117 del 1988, per contrasto con
>> gli artt. 3, 25, 101, 104 e 111 Cost.
>>
>> 5.1.– Il Tribunale premette di essere investito della causa civile
>> per risarcimento del danno promossa nei confronti del Presidente del
>> Consiglio dei ministri, con ricorso depositato il 2 aprile 2015, da
>> una persona che si assume danneggiata dall’operato di alcuni giudici
>> del Tribunale di Firenze e della Corte d’appello di Firenze. Il
>> ricorrente si era lamentato del fatto che il Tribunale fiorentino,
>> con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello, avesse dichiarato
>> il fallimento di una società in accomandita semplice e del ricorrente
>> stesso, quale socio illimitatamente responsabile, senza che gli fosse
>> stato dato valido avviso dell’udienza a seguito della quale il
>> fallimento era stato pronunciato. Il ricorso per cassazione
>> dell’interessato era stato accolto con sentenza del maggio 2013, che
>> aveva annullato la sentenza di fallimento rimettendo gli atti al
>> giudice di primo grado. Nel 2011, peraltro – e, dunque, prima ancora
>> della pronuncia della Corte di cassazione – il fallimento era stato
>> chiuso per mancanza di attivo.
>>
>> L’Avvocatura dello Stato, nel giudizio a quo, aveva contestato la
>> pretesa del ricorrente, eccependo l’inammissibilità della domanda
>> sotto un duplice profilo: da un lato, per tardività, in quanto,
>> trattandosi di fallimento chiuso nel 2011, il ricorso sarebbe stato
>> depositato oltre il termine previsto a pena di decadenza dalla legge
>> n. 117 del 1988; dall’altro, per mancato esperimento di tutti i mezzi
>> di impugnazione, non avendo il ricorrente riassunto il giudizio dopo
>> l’annullamento con rinvio della decisione della Corte d’appello. Nel
>> merito, la difesa dello Stato aveva negato la sussistenza dei vizi
>> procedurali denunciati dal ricorrente.
>>
>> Il giudice istruttore – sul presupposto che l’abolizione del filtro
>> di ammissibilità, disposta dall’art. 3, comma 2, della legge n. 18
>> del 2015, dovesse ritenersi inoperante in rapporto alle domande
>> risarcitorie proposte dopo l’entrata in vigore della novella, ma per
>> illeciti anteriori ad essa (quale quella in esame) – aveva rimesso le
>> parti davanti al collegio per la deliberazione preliminare di
>> ammissibilità ai sensi del previgente art. 5 della legge n. 117 del
>> 1988.
>>
>> Il collegio rimettente ritiene, tuttavia, di dover aderire alle
>> opposte indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo le
>> quali la soppressione del filtro opera anche rispetto alle domande
>> relative agli illeciti pregressi: circostanza che gli imporrebbe di
>> restituire la causa al giudice istruttore per la prosecuzione del
>> giudizio nelle forme ordinarie. Di qui, dunque, la rilevanza delle
>> questioni di legittimità costituzionale della citata norma abrogatrice.
>>
>> 5.2.– Ciò premesso, il rimettente denuncia, in primo luogo, la
>> violazione dell’art. 111 Cost., assumendo che il filtro di
>> ammissibilità costituisca strumento imprescindibile per l’attuazione
>> del «giusto processo» sia nell’àmbito del giudizio risarcitorio
>> promosso dal danneggiato contro lo Stato, sia nell’àmbito del
>> giudizio in cui si è verificato il fatto che si assume dannoso.
>>
>> Sul primo versante, il filtro risulterebbe essenziale al fine di
>> assicurare la ragionevole durata del giudizio risarcitorio. In virtù
>> di esso, il collegio era chiamato a valutare in limine litis
>> l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza della domanda, nel
>> comune interesse del soggetto che si pretendeva danneggiato e dello
>> Stato, dichiarando immediatamente l’eventuale inammissibilità con
>> decreto, la cui procedura di impugnazione era «snella e compressa» e,
>> soprattutto, «alleggerita della valutazione del merito». A seguito
>> dell’abolizione del filtro, i tempi per pervenire ad una pronuncia
>> sull’ammissibilità sono invece quelli del processo ordinario, di
>> «lunghezza eccessiva ed irragionevole», senza considerare, poi, i
>> maggiori tempi dell’impugnazione, «appesantita dalla commistione tra
>> profili di ammissibilità e profili di merito».
>>
>> Tali effetti negativi della riforma sarebbero bene apprezzabili nel
>> caso sottoposto all’esame del rimettente, nel quale potrebbero
>> rivelarsi fondate alcune delle eccezioni di inammissibilità formulate
>> dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, con la
>> conseguenza che la pronuncia immediata su di esse consentirebbe uno
>> svolgimento della causa «adeguato ai principi di effettività e
>> celerità della tutela».
>>
>> L’intervento considerato si porrebbe, d’altra parte, in frizione con
>> la recente introduzione, da parte del legislatore, di «pronunce
>> semplificate di inammissibilità» in rapporto alle impugnazioni
>> ordinarie, quali quelle previste dagli artt. 360-bis e 375, primo
>> comma, numeri 1) e 5), cod. proc. civ., riguardo al ricorso per
>> cassazione, e dagli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., in
>> relazione all’appello. Per questo verso, la soppressione del filtro
>> di ammissibilità disposta dalla legge n. 18 del 2015 si porrebbe in
>> contrasto anche con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza
>> (art. 3 Cost.), posto che il giudizio sulla responsabilità civile del
>> giudice assumerebbe assai spesso il carattere di un “processo sul
>> processo”, presentando, perciò, evidenti «comunanze logiche» con le
>> impugnazioni.
>>
>> L’abolizione del filtro pregiudicherebbe, peraltro, l’attuazione del
>> giusto processo anche nel giudizio nel quale si assume essersi
>> verificato il fatto dannoso. Le peculiarità dell’attività
>> giurisdizionale – in particolare, la circostanza che ogni processo
>> comporti un pregiudizio per almeno una delle parti – e la difficoltà
>> che la parte soccombente incontrerebbe nel comprendere quando vi sia
>> stato realmente un cattivo esercizio della giurisdizione
>> incentiverebbero, infatti, la proposizione di azioni di
>> responsabilità anche inammissibili o palesemente infondate. Un
>> meccanismo di filtro che blocchi sul nascere iniziative di tal fatta
>> assumerebbe, quindi, una essenziale funzione di tutela della serenità
>> di giudizio del magistrato.
>>
>> Per converso, l’assenza del filtro genererebbe il rischio della
>> cosiddetta «giurisprudenza “difensiva”», ossia che il giudice si curi
>> – già nel processo “a monte” – del proprio interesse e della propria
>> difesa, abdicando alla propria posizione di terzietà ed imparzialità.
>> Tale atteggiamento potrebbe manifestarsi in varie forme, dal semplice
>> ricorso a motivazioni ridondanti e poco aderenti al caso concreto,
>> sino al vero e proprio “snaturamento” del contenuto delle decisioni,
>> secondo quale fra le parti possa più facilmente proporre un’azione di
>> responsabilità: e ciò specie in presenza di parti «agguerrite o già
>> larvatamente minacciose».
>>
>> L’abolizione del meccanismo in questione – impedendo l’immediata
>> declaratoria di inammissibilità della domanda per mancato esaurimento
>> dei mezzi di impugnazione – favorirebbe, altresì, la contemporanea
>> pendenza del giudizio di responsabilità intentato nei confronti dello
>> Stato e di quello che vi ha dato origine, con conseguente lesione
>> anche del principio del contraddittorio. Sarebbe, infatti, ben
>> difficile che la controparte di un soggetto che ha proposto azione di
>> responsabilità civile «possa essere certa di non avere un trattamento
>> diverso da parte di un giudice “coinvolto”».
>>
>> Risulterebbero violati anche i principi di soggezione del giudice
>> solo alla legge (art. 101 Cost.) e di autonomia e indipendenza della
>> magistratura (art. 104 Cost.). La giurisprudenza costituzionale,
>> infatti, avrebbe posto in evidenza a più riprese come la presenza di
>> un filtro, che ponga il giudice al riparo da domande temerarie o
>> intimidatorie, debba ritenersi indispensabile per la salvaguardia di
>> detti valori (sono citate le sentenze n. 468 del 1990, n. 18 del 2015
>> e n. 2 del 1968).
>>
>> Da ultimo, il giudice a quo ravvisa la violazione del principio del
>> giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.).
>>
>> Secondo il rimettente, sarebbe condivisibile l’orientamento della
>> giurisprudenza di legittimità in base al quale la proposizione di
>> un’azione di responsabilità, ai sensi della legge n. 117 del 1988,
>> quando è ancora pendente il primo giudizio non comporta
>> automaticamente un obbligo di astensione per il giudice di
>> quest’ultimo, né consente alle parti di ricusarlo. In mancanza del
>> filtro, tuttavia, il magistrato sarebbe incentivato ad esercitare la
>> facoltà di intervento nel giudizio risarcitorio, non essendo più
>> nettamente distinto l’esame dei profili di ammissibilità della
>> domanda da quello del merito: opzione che, rendendolo parte di quel
>> giudizio, farebbe scattare l’obbligo di astensione nel processo
>> originario ai sensi dell’art. 51, primo comma, numero 3), cod. proc.
>> civ. Anche laddove non sussista tale obbligo, il giudice potrebbe
>> ravvisare, comunque sia, gravi ragioni di convenienza per
>> un’astensione facoltativa, «che difficilmente gli verrebbe negata».
>>
>> La proposizione dell’azione di responsabilità potrebbe, pertanto,
>> costituire uno strumento per distogliere la causa dal suo giudice
>> naturale, specie nei casi in cui il magistrato assegnatario della
>> stessa abbia assunto decisioni interinali che facciano presagire la
>> soccombenza di una delle parti.
>>
>> 5.3.– Intervenuto a ministero dell’Avvocatura generale dello Stato,
>> il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito
>> l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.
>>
>> Il collegio rimettente non avrebbe, infatti, considerato che, essendo
>> stato investito della decisione dal giudice istruttore a norma
>> dell’art. 189 cod. proc. civ., avrebbe potuto, comunque sia, definire
>> nel merito la controversia, a prescindere dal previo esame della
>> domanda in sede di filtro. Nella stessa ordinanza di rimessione si
>> rileva, d’altro canto, che alcune delle eccezioni di inammissibilità
>> prospettate dalla parte convenuta potrebbero rivelarsi fondate. Di
>> conseguenza, il collegio avrebbe dovuto darsi carico di verificare se
>> la causa potesse essere decisa, esaminando le questioni preliminari
>> pur di fronte all’erronea rimessione della causa da parte del giudice
>> istruttore sulla base della disciplina previgente.
>>
>> Nel merito, le questioni sarebbero, ad ogni modo, infondate.
>>
>> Quanto al dedotto contrasto con l’art. 111 Cost., la difesa
>> dell’interveniente rileva che, pur essendo ovvio che un rito
>> accelerato è più breve di un rito ordinario, nondimeno anche
>> l’ordinario giudizio di cognizione si presta ad essere definito in
>> tempi brevi in base alle scansioni processuali delineate dalla
>> normativa vigente, sulle quali possono incidere negativamente solo
>> mere circostanze di fatto, irrilevanti ai fini del giudizio di
>> costituzionalità, quali l’organizzazione degli uffici giudiziari o la
>> limitatezza delle risorse disponibili.
>>
>> Né l’eliminazione del filtro potrebbe ritenersi contraddittoria
>> rispetto all’avvenuta introduzione di meccanismi di valutazione
>> preliminare dell’ammissibilità e della non manifesta infondatezza con
>> riguardo al giudizio di appello e al giudizio di cassazione. Tali
>> ultimi meccanismi attengono, infatti, alle impugnazioni, mentre il
>> filtro previsto dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988 condizionava
>> l’accesso al giudizio di primo grado.
>>
>> Seguendo il ragionamento del rimettente, poi, si dovrebbe ritenere
>> che l’applicazione del rito ordinario a qualsiasi tipo di
>> controversia determini una violazione del principio di ragionevole
>> durata del processo.
>>
>> Privo di pregio sarebbe, altresì, l’assunto del giudice a quo,
>> secondo il quale l’eliminazione del filtro di ammissibilità creerebbe
>> il pericolo di un atteggiamento “difensivo” del magistrato, il quale
>> sarebbe indotto ad adottare la soluzione per lui meno “rischiosa” a
>> detrimento della giustizia sostanziale. L’alta professionalità che
>> caratterizza la funzione giurisdizionale dovrebbe essere, infatti,
>> idonea a scongiurare un simile pericolo; d’altra parte, la decisione
>> meno “rischiosa” per il giudice è quella presa secondo legge e sulla
>> base del prudente apprezzamento dei fatti e delle prove, non quella
>> che pregiudichi la parte più «agguerrita» o «larvatamente minacciosa».
>>
>> Il rimettente non valorizzerebbe, poi, adeguatamente la duplice
>> circostanza che l’azione risarcitoria ha come unico legittimato
>> passivo lo Stato e che la proposizione di cause pretestuose o
>> preordinate ad incidere sulla serenità del giudicante è già
>> scoraggiata dalla responsabilità aggravata del soccombente temerario
>> prevista dall’art. 96 cod. proc. civ.
>>
>> Quanto alla censura di violazione dei principi di autonomia e
>> indipendenza della magistratura, l’Avvocatura generale dello Stato,
>> dopo aver ribadito alcune delle considerazioni svolte su questioni
>> consimili nei precedenti atti di intervento, pone in risalto come il
>> principio che si ricava dalla giurisprudenza costituzionale evocata
>> dal giudice a quo sia solo quello della necessità di prevedere
>> adeguate garanzie e limiti nella disciplina della responsabilità
>> civile dei magistrati, correlate alla peculiarità delle funzioni
>> giudiziarie e alla natura dei relativi provvedimenti, non anche
>> quello dell’imprescindibilità di una fase di valutazione preliminare
>> dell’ammissibilità della domanda risarcitoria indiretta (contro lo
>> Stato).
>>
>> Dette garanzie e limiti non mancherebbero nell’attuale assetto
>> normativo, caratterizzato dalla previsione della sola legittimazione
>> passiva dello Stato nell’azione risarcitoria, con esclusione
>> dell’azione diretta verso il magistrato; dalla previsione di un
>> termine di decadenza (ora triennale) per la proposizione dell’azione,
>> inferiore a quello quinquennale valevole per tutti gli altri
>> dipendenti pubblici, e di uno ancora più breve (biennale) per
>> l’azione di rivalsa; dall’onere, per il danneggiato, di esperire
>> preventivamente tutti i rimedi impugnatori avverso il provvedimento
>> che si assume dannoso; dalla previsione di rigidi presupposti
>> sostanziali che delimitano l’àmbito della colpa grave e di un tetto
>> massimo (pari alla metà dello stipendio annuo) alla eventuale
>> condanna del magistrato in sede di rivalsa.
>>
>> La questione riferita all’art. 25 Cost. sarebbe, infine,
>> inammissibile per difetto di rilevanza, essendo argomentata con il
>> riferimento all’astratta possibilità che il magistrato sia indotto a
>> spiegare intervento volontario nella causa risarcitoria con maggiore
>> frequenza che non in passato: evenienza che non risulta, tuttavia,
>> essersi concretamente verificata nel giudizio a quo. Lo stesso
>> rimettente, d’altra parte, condivide la tesi secondo cui la
>> proposizione dell’azione di responsabilità non comporta alcun obbligo
>> di astensione del magistrato e, correlativamente, non ne consente la
>> ricusazione.
>>
>> La questione risulterebbe, comunque sia, infondata nel merito, posto
>> che, in nessun caso, l’esercizio dell’azione risarcitoria potrebbe
>> costituire strumento per sottrarre la causa al giudice naturale.
>> Seguendo il ragionamento del rimettente, d’altronde, anche nella
>> vigenza del filtro una situazione come quella ipotizzata (intervento
>> del magistrato e richiesta di astensione) si sarebbe potuta parimente
>> verificare.
>>
>> /Considerato in diritto /
>>
>> 1.– Questa Corte è chiamata a pronunciarsi su un articolato complesso
>> di questioni di legittimità costituzionale, dianzi analiticamente
>> descritte, tutte attinenti alla disciplina della responsabilità
>> civile dei magistrati, quale risultante a seguito delle modifiche
>> apportate dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della
>> responsabilità civile dei magistrati) alle previgenti disposizioni
>> della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati
>> nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei
>> magistrati).
>>
>> 2.– In ragione della rilevata comunanza di oggetto e dei profili
>> problematici coinvolti, le questioni vanno riunite per essere decise
>> con unica sentenza.
>>
>> 3.– Deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione con cui
>> l’Avvocatura generale dello Stato ha contestato l’ammissibilità, per
>> difetto di rilevanza, di tutte le questioni sollevate con le
>> ordinanze dei Tribunali ordinari di Verona (r.o. n. 198 del 2015), di
>> Treviso (r.o. n. 218 del 2015), di Catania (r.o. n. 113 del 2016) e
>> di Enna (r.o. n. 126 del 2016).
>>
>> Nei vari atti di intervento, la difesa del Presidente del Consiglio
>> dei ministri, con argomentazioni similari, ove non anche identiche,
>> pone in evidenza che i giudici rimettenti non sono chiamati a fare
>> diretta applicazione delle disposizioni della cui costituzionalità
>> dubitano, sicché la rilevanza di esse, nei rispettivi giudizi a
>> quibus, è affermata «solo in linea teorica ed eventuale». Le
>> disposizioni impugnate – secondo l’Avvocatura − potrebbero venire in
>> rilievo esclusivamente nell’ipotesi «in cui il giudicante adottasse
>> un provvedimento errato con dolo o colpa grave» e, dunque, nel caso
>> di una «patologia conclamata del futuro provvedimento». Ma, in tale
>> ipotesi, esso sarebbe rimediabile dallo stesso giudice che lo ha
>> emesso ovvero dal giudice cui sarebbe devoluta l’impugnazione,
>> considerata la natura dell’azione di responsabilità, la quale
>> presuppone che il rimedio previsto sia stato esperito. In
>> conseguenza, risulterebbe del tutto insussistente la dedotta
>> incidenza sulla serenità del giudicante, come invece ipotizzato dai
>> giudici a quibus.
>>
>> In ogni caso – risultando imprescindibile presupposto dell’azione
>> risarcitoria l’irrevocabilità del provvedimento, ai sensi dell’art. 4
>> della legge n. 117 del 1988 − i dedotti profili di disarmonia
>> costituzionale potrebbero venire in rilievo solo dopo l’eventuale
>> esaurimento dei gradi dei rispettivi giudizi incidentali, con la
>> «definitività del provvedimento giudiziario», che, invece, neppure
>> risulta adottato nei giudizi in questione. La rilevanza delle
>> questioni affermata dai giudici rimettenti risulterebbe, pertanto,
>> pressoché virtuale, in quanto ancorata solo al mero «pericolo di una
>> valutazione errata delle risultanze di causa»: non sussisterebbe,
>> infatti, alcuna correlazione «tra la regola da applicare e la
>> soluzione della questione controversa», fino al punto che, in alcune
>> delle ordinanze di rimessione, la «pericolosità decisionale» sarebbe,
>> addirittura, semplicemente postulata, trattandosi piuttosto di
>> semplici problemi decisori, risolvibili in base ad elementari ed
>> ordinarie regole di diritto e sulla base del prudente apprezzamento
>> del giudice.
>>
>> L’Avvocatura dello Stato ha ulteriormente osservato che, nelle
>> questioni di costituzionalità prospettate, la sussistenza della
>> rilevanza sarebbe stata dedotta dall’asserito perturbamento del
>> giudice conseguente ad un’ipotetica azione di rivalsa intentabile,
>> nei suoi confronti, dallo Stato: azione a sua volta meramente
>> eventuale ed effetto di altra azione di risarcimento danni esperita
>> nei confronti di quest’ultimo, per la responsabilità derivante dal
>> provvedimento giudiziario, frutto dell’«errore commesso dal
>> magistrato». Per effetto di tale catena ipotetica, la rilevanza delle
>> questioni di costituzionalità sollevate risulterebbe, tuttavia,
>> giustificata solo dalla stessa «pericolosità […] della funzione
>> giurisdizionale», ritenuta, sempre e comunque sia, incidente sulla
>> serenità di giudizio e, quindi, sullo status del magistrato.
>>
>> Il presupposto della rilevanza, in conclusione, riposerebbe solo su
>> postulati ed «ipotetici condizionamenti psicologici»: con la
>> paradossale conseguenza che qualsivoglia modifica della legge n. 117
>> del 1988 risulterebbe rilevante in tutte le controversie di ogni tipo
>> (civili, penali e amministrative), «con effetti distorsivi sul
>> funzionamento dell’intero sistema giudiziario, in contrasto,
>> peraltro, con i principi costituzionali e del diritto dell’U.E.
>> sull’effettività della tutela giurisdizionale».
>>
>> 3.1.– L’eccezione d’inammissibilità è fondata, per i motivi che seguono.
>>
>> 3.2.– Nelle quattro ordinanze di rimessione, i giudici a quibus – di
>> là dalla complessità o difficoltà decisoria specifica dei singoli
>> giudizi in corso, di cui non è necessario dar conto in questa sede −
>> affermano che le sollevate questioni di costituzionalità, pur
>> concernenti alcune delle norme introdotte dalla legge n. 18 del 2015,
>> risultano direttamente rilevanti nei rispettivi giudizi incidentali
>> in quanto tale disciplina normativa sarebbe «concretamente ed
>> immediatamente produttiva di una responsabilità potenziale» di essi
>> giudicanti, «potendo dar luogo ad un giudizio di responsabilità»
>> (così, testualmente, l’ordinanza del Tribunale ordinario di Verona,
>> iscritta al r.o. n. 198 del 2015); ovvero in quanto essa va «ad
>> incidere, in generale, sulla libertà del giudice di valutare i fatti
>> e le prove secondo la legge e, quindi, anche sulla valutazione che il
>> Giudice è chiamato ad operare nel presente processo» (in tal senso si
>> esprime l’ordinanza del Tribunale ordinario di Treviso, iscritta al
>> r.o. n. 218 del 2015); ovvero, ancora, che non è da escludersi che
>> ogni decisione adottabile «possa essere contestata per ritenuto
>> travisamento del fatto e delle prove», integrando dunque un’ipotesi
>> di colpa grave ai sensi della normativa, come oggi modificata, sulla
>> responsabilità civile dei magistrati (in tal senso opina, ad esempio,
>> l’ordinanza del Tribunale ordinario di Catania, iscritta al r.o. n.
>> 113 del 2016).
>>
>> Tali affermazioni – che pure delineano la semplice e sola
>> “potenzialità” dell’evenienza di una responsabilità civile dello
>> Stato (e della successiva, eventuale, azione di rivalsa nei confronti
>> del magistrato) connessa ai provvedimenti adottati nel giudizio a quo
>> – assurgono a discorso giustificativo della rilevanza delle plurime
>> questioni di legittimità costituzionale a mezzo del richiamo, comune
>> a tutte le predette ordinanze di rimessione e su cui esse lungamente
>> insistono, alle statuizioni della sentenza n. 18 del 1989.
>>
>> Rammentano invero i rimettenti che, in tale pronuncia, questa Corte –
>> chiamata a scrutinare alcune questioni di legittimità costituzionale
>> sollevate in relazione alla disciplina della responsabilità civile
>> dei magistrati di cui alla legge n. 117 del 1988 ed a fronte della
>> eccezione di inammissibilità delle stesse per difetto di rilevanza,
>> anche allora avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato − ebbe a
>> statuire l’infondatezza di detta eccezione.
>>
>> Si osservò, in proposito, che, effettivamente, l’art. 23 della legge
>> 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
>> della Corte costituzionale), stabilendo che la questione di
>> costituzionalità proposta debba essere tale che «il giudizio non
>> possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione» di essa,
>> «implica, di regola, che la rilevanza sia strettamente correlata
>> all’applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo».
>> Tuttavia, si affermò che «debbono ritenersi influenti sul giudizio
>> anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili al
>> giudizio a quo, attengono allo status del giudice, alla sua
>> composizione nonché, in generale, alle garanzie ed ai doveri che
>> riguardano il suo operare», e che pertanto la «eventuale
>> incostituzionalità di tali norme è destinata a influire su ciascun
>> processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la
>> composizione, le garanzie e i doveri: in sintesi, la “protezione”
>> dell’esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano
>> ai diritti».
>>
>> Tali affermazioni, secondo i giudici a quibus, risulterebbero
>> ulteriormente corroborate, ai fini della rilevanza delle odierne
>> questioni di legittimità costituzionale, dalla circostanza che la
>> nuova disciplina sulla responsabilità civile, risultante dalle
>> modifiche introdotte dalla legge n. 18 del 2015, ha ampliato le
>> ipotesi che possono dar luogo a responsabilità dello Stato e del
>> magistrato, introducendo, tra l’altro, quelle del «travisamento del
>> fatto o delle prove». Pertanto, quantomeno le relative disposizioni
>> modificate in tal senso (vale a dire gli artt. 2, comma 3, e 7, comma
>> 1, della legge n. 117 del 1988) inciderebbero immediatamente su tutti
>> i giudizi in corso.
>>
>> I soli Tribunali ordinari di Verona ed Enna, inoltre, affermano che
>> le statuizioni della sentenza n. 18 del 1989 sarebbero state
>> implicitamente richiamate, da questa Corte, nella sentenza n. 237 del
>> 2013.
>>
>> 3.3.– Movendo dall’esame di tale ultimo argomento, si deve rilevare
>> che il convincimento dei due rimettenti è erroneo.
>>
>> Nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 237 del 2013, infatti,
>> questa Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
>> costituzionale di norme che avevano disposto la soppressione di
>> diversi uffici giudiziari: oggetto del giudizio di costituzionalità
>> era, dunque, la potestà di ius dicere dei giudici rimettenti,
>> direttamente e immediatamente dipendente dalle norme censurate.
>> Nessun dubbio poteva sussistere, pertanto, sulla rilevanza – secondo
>> l’ordinaria regola posta dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953 –
>> delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, «ben
>> potendo, in limine litis, ogni giudice investire questa Corte della
>> verifica di conformità a Costituzione delle disposizioni legislative
>> che affermino, ovvero escludano, la sua legittimazione a trattare un
>> determinato procedimento» (ordinanza n. 258 del 2016), rientrando
>> detta facoltà nel suo «potere-dovere di verificare la regolare
>> costituzione dell’organo giudicante, anche in rapporto alla
>> legittimità costituzionale delle norme che la disciplinano» (sentenza
>> n. 71 del 1975).
>>
>> 3.4.– Quanto, poi, al richiamo operato da tutti i giudici rimettenti
>> alla sentenza n. 18 del 1989, in funzione di giustificazione della
>> rilevanza delle odierne questioni di legittimità costituzionale, esso
>> non risulta pertinente.
>>
>> È qui doveroso sottolineare il ben diverso àmbito dell’incidente di
>> costituzionalità nel quale vennero a collocarsi le richiamate
>> affermazioni di questa Corte. In quella circostanza, infatti, il
>> nucleo principale delle varie questioni sollevate dai diversi giudici
>> (ordinari, amministrativi e tributari), che dubitavano della
>> legittimità costituzionale della prima legge sulla responsabilità
>> civile dei magistrati, fece leva – per dedurre la rilevanza delle
>> questioni stesse – sul fatto che nei diversi giudizi veniva in
>> discorso l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 16 della
>> legge n. 117 del 1988 (poi dichiarata parzialmente incostituzionale
>> con la sentenza n. 18 del 1989), la quale introduceva – nel processo
>> civile (art. 131 del codice di procedura civile) ed in quello penale
>> (art. 148 del codice di procedura penale) – il verbale relativo alla
>> opinione dissenziente per i provvedimenti collegiali, per i
>> conseguenti riverberi che la stessa disciplina presentava proprio sul
>> piano della responsabilità civile.
>>
>> Veniva in rilievo inoltre – e in relazione a ciò questa Corte affermò
>> quanto oggi è richiamato − la stessa struttura e composizione
>> dell’organo giudicante, assumendosi, da una delle ordinanze di
>> rimessione, che il “concorso decisorio”, all’interno dell’organo
>> collegiale civile, non potesse essere egualmente distribuito tra il
>> relatore e gli altri componenti del collegio, poiché era da escludere
>> che questi ultimi fossero «tenuti ad esaminare gli atti di causa, a
>> ciò ostando l’immensa mole di lavoro gravante sui tribunali» e che,
>> conseguentemente, a tale diversa collocazione “funzionale” interna
>> avrebbe dovuto corrispondere anche una diversa graduazione di
>> responsabilità. Prospettiva che indusse questa Corte a ribadire, al
>> contrario, e proprio in ordine alla struttura e funzione dell’organo,
>> che «la decisione emessa dall’organo giudiziario collegiale è un atto
>> unitario, alla formazione del quale concorrono i singoli membri del
>> collegio in base allo stesso titolo ed agli stessi doveri» (sentenza
>> n. 18 del 1989).
>>
>> Altra ordinanza di rimessione, poi, era stata adottata dalla sezione
>> specializzata per le tossicodipendenze, a componente mista, in
>> relazione alla quale si prospettava questione di legittimità
>> costituzionale in ordine alla responsabilità dei laici componenti il
>> collegio.
>>
>> Infine, per le questioni sollevate da una commissione tributaria, si
>> osservava, nella ordinanza di rimessione, che esse attenevano «alla
>> costituzione del giudice», con la conseguenza che la rilevanza
>> sussisteva in quanto, «ove le norme impugnate fossero illegittime, la
>> decisione della Commissione tributaria sarebbe nulla», anche in
>> questo caso evocando (come pure nella questione sollevata da un
>> pretore onorario) il tema della partecipazione dei laici alla giustizia.
>>
>> Nello scrutinio allora operato da questa Corte in punto di
>> ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale,
>> pertanto, ben si spiega la motivazione adottata (poi meramente
>> richiamata soltanto dall’immediatamente successiva sentenza n. 243
>> del 1989). Essa, appunto, si fondava – coerentemente con il rilievo
>> delle norme processuali allora coinvolte nei diversi giudizi a quibus
>> – sui profili che concernevano lo «status di giudice», la «sua
>> composizione, nonché, in generale, [le] garanzie e [i] doveri che
>> riguardano il suo operare»: aspetti, questi, ontologicamente
>> rilevanti nell’àmbito dei relativi procedimenti – ordinari, speciali,
>> amministrativi o tributari – dai quali le questioni provenivano. Come
>> dire che le quaestiones sulla responsabilità civile dei magistrati
>> erano allora rilevanti in quanto direttamente collegate con profili
>> attinenti alla struttura dell’organo e ad ipotizzate “distinzioni”
>> funzionali interne ad esso: dunque, alla sua stessa composizione.
>>
>> 3.5.– Si trattava di un quadro profondamente diverso da quello che
>> viene oggi in attenzione e che, in sé, vale a tracciare un netto
>> distinguo tra dette statuizioni – pertinenti a quello specifico
>> quadro di riferimento – e le altre che questa Corte è chiamata ad
>> adottare circa la rilevanza delle questioni ora in esame.
>>
>> Nell’àmbito delle odierne questioni, infatti, ciò che questa Corte è
>> tenuta a verificare è la necessaria relazione di “dipendenza
>> funzionale” tra giudizio a quo e tema agitato attraverso la questione
>> di legittimità costituzionale: relazione che, secondo la costante
>> giurisprudenza di questa Corte, deve assumere i connotati della
>> pregiudizialità, la quale comporta l’impossibilità di definire il
>> procedimento pregiudicato in assenza della delibazione della quaestio
>> pregiudicante.
>>
>> Ebbene, alla luce di tali preliminari rilievi e tenuto conto di
>> quanto gli stessi giudici rimettenti hanno posto in luce al fine di
>> asseverare la sussistenza della rilevanza, se ne deve desumere che le
>> questioni sono state dai rimettenti delibate a prescindere da
>> qualsiasi considerazione circa una loro diretta incidenza sullo
>> statuto di autonomia e di indipendenza dei magistrati, tale da
>> condizionare strutturalmente e funzionalmente lo ius dicere, ma
>> facendo esclusivo riferimento alle sue modalità di esercizio. Né
>> rileva che tali modalità possano costituire elementi variamente
>> perturbatori della condizione psicologica di questo o quel
>> magistrato, secondo i principi, del resto, costantemente ribaditi –
>> sia prima sia dopo la sentenza n. 18 del 1989 – dalla giurisprudenza
>> di questa Corte.
>>
>> Si è escluso, infatti, che potesse strutturare il nesso di
>> pregiudizialità, richiesto ai fini di rendere rilevante la questione,
>> il mero richiamo del giudice a quo al turbamento psicologico e della
>> propria serenità di giudizio prodotto dall’applicazione dei «ferri di
>> sicurezza» nelle operazioni di traduzione degli imputati detenuti,
>> «non potendosi ovviamente qualificare per tale una soggettiva
>> situazione psicologica come quella allegata dal giudicante che, oltre
>> tutto, deriva da norme assolutamente estranee all’oggetto del
>> processo principale» (sentenza n. 147 del 1974).
>>
>> Allo stesso modo, si è pure escluso che potessero considerarsi
>> rilevanti, in un qualsiasi giudizio di competenza della Corte dei
>> conti, questioni volte a denunciare l’asserita menomazione della
>> serenità e autonomia di giudizio dei magistrati di detta Corte
>> derivante dal carattere, in assunto, «troppo latamente discrezionale»
>> dei poteri riconosciuti al Presidente della Corte stessa in materia
>> di assegnazione di funzioni e promozioni: le doglianze attenevano,
>> infatti, a disposizioni che non dovevano essere applicate dal giudice
>> rimettente, riflettendo «violazioni solo potenziali ma non attuali
>> delle garanzie costituzionali» (sentenza n. 19 del 1978).
>>
>> Nessun seguito hanno avuto, altresì, più di recente, le questioni
>> intese a censurare, nell’àmbito di ordinari giudizi, la previsione di
>> compensi dei giudici di pace e dei componenti delle commissioni
>> tributarie collegati ad ogni singolo processo definito: sistema che
>> si asseriva idoneo a condizionare psicologicamente l’operato di detti
>> giudici, e dunque a comprometterne la terzietà ed imparzialità,
>> inducendoli ad optare non per le soluzioni ritenute più corrette, ma
>> per quelle che permettevano di decidere un maggior numero di cause in
>> minor tempo, e consentendo, inoltre, alla parte attrice o ricorrente
>> di avvantaggiarli economicamente con la proposizione di domande o
>> ricorsi separati, anziché di domande o ricorsi cumulativi. Anche
>> simili questioni sono state ritenute, infatti, prive di rilevanza, in
>> quanto attinenti a norme che non venivano affatto in rilievo ai fini
>> della decisione delle controversie di cui i giudici rimettenti erano
>> investiti (ex plurimis, ordinanze n. 421 del 2008, n. 180 del 2006 e
>> n. 326 del 1987).
>>
>> 3.6.– Più in generale, va riconosciuto, tuttavia, che un sistema che
>> non garantisse un adeguato presidio istituzionale in capo alla
>> posizione del giudice si presenterebbe, a sua volta, fortemente
>> asintonico rispetto a quel rigoroso presupposto di legalità a cui il
>> giudice è costituzionalmente tenuto.
>>
>> Il ruolo del giudice, nell’architettura costituzionale della
>> giurisdizione, appare infatti peculiare, non potendosi escludere a
>> priori che norme, pur non immediatamente applicabili nel processo,
>> vadano ad incidere in maniera evidente ed attuale sulle garanzie
>> costituzionali della funzione giurisdizionale, così condizionando
>> l’esercizio della relativa attività. Ciò tuttavia presuppone che tale
>> incidenza – per qualità, intensità, univocità ed evidenza della sua
>> direzione, immediatezza ed estensione dei suoi effetti – sia tale da
>> determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di
>> indipendenza e terzietà nel decidere, a prescindere da qualsiasi
>> profilo che possa riguardare un eventuale “perturbamento psicologico”
>> del singolo giudice.
>>
>> Di là da questa prospettiva, ai fini della rilevanza occorrerà
>> ulteriormente verificare se la norma asseritamente interferente sullo
>> status di magistrato ne comprometta o possa comprometterne
>> l’indipendenza e la terzietà in relazione alla concreta regiudicanda
>> posta al suo esame ed alla specifica e conseguente decisione che è
>> chiamato ad adottare nel giudizio a quo. Presupposti − questi – che
>> non è dato rinvenire nelle odierne questioni, alla luce della stessa
>> motivazione sulla rilevanza fornita dai giudici a quibus in relazione
>> all’attuale sistema normativo sulla responsabilità civile del giudice.
>>
>> 3.7.– In conclusione sul punto, devono pertanto essere dichiarate
>> inammissibili, perché irrilevanti, tutte le questioni sollevate con
>> le ordinanze dei Tribunali ordinari di Verona (r.o. n. 198 del 2015),
>> di Treviso (r.o. n. 218 del 2015), di Catania (r.o. n. 113 del 2016)
>> e di Enna (r.o. n. 126 del 2016).
>>
>> 4.– I profili di inammissibilità dianzi evidenziati non coinvolgono,
>> invece, l’ordinanza di rimessione del Tribunale ordinario di Genova
>> (r.o. n. 130 del 2016), unica, fra quelle in esame, emessa
>> nell’àmbito di un giudizio risarcitorio promosso nei confronti dello
>> Stato ai sensi della legge n. 117 del 1988.
>>
>> 4.1.– Con riguardo alle questioni sollevate da detta ordinanza,
>> l’Avvocatura generale dello Stato ha formulato una diversa eccezione
>> di inammissibilità.
>>
>> In base al previgente art. 5 della legge n. 117 del 1988 – abrogato
>> dall’impugnato art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015 – il
>> giudice istruttore della causa volta ad ottenere il ristoro dei danni
>> conseguenti all’esercizio delle funzioni giudiziarie doveva rimettere
>> le parti davanti al collegio alla prima udienza, ai fini della
>> preliminare verifica della sussistenza dei presupposti dell’azione,
>> della sua tempestività in rapporto al previsto termine biennale di
>> proposizione e della sua non manifesta infondatezza (cosiddetto
>> “filtro di ammissibilità”).
>>
>> Nel caso di specie, il giudice istruttore ha provveduto nel modo ora
>> indicato, sul presupposto che, in assenza di una disciplina
>> transitoria, il meccanismo di “filtro” dovesse ritenersi ancora
>> applicabile in rapporto alle domande risarcitorie proposte dopo
>> l’entrata in vigore della legge di riforma, ma per illeciti anteriori
>> ad essa, quale quella di cui si discute nel giudizio principale.
>>
>> Il collegio rimettente reputa, tuttavia, di dover aderire alle
>> opposte indicazioni della giurisprudenza di legittimità (e, in
>> particolare, della sentenza della Corte di cassazione, sezione terza
>> civile, 15 dicembre 2015, n. 25216), secondo le quali l’abolizione
>> del “filtro” – in ragione della sua valenza processuale e non
>> sostanziale – opera per tutti i giudizi introdotti dopo l’entrata in
>> vigore della legge n. 18 del 2015 (ancorché relativi ad illeciti
>> pregressi): circostanza che imporrebbe al collegio stesso di
>> restituire gli atti al giudice istruttore per la prosecuzione del
>> giudizio nelle forme ordinarie. Di qui la ritenuta rilevanza delle
>> questioni sollevate, intese a censurare proprio e soltanto l’avvenuta
>> soppressione del “filtro”.
>>
>> Obietta il Presidente del Consiglio dei ministri che il collegio
>> rimettente, essendo stato investito della decisione dal giudice
>> istruttore ai sensi dell’art. 189 cod. proc. civ., avrebbe potuto
>> definire in ogni caso la controversia, a prescindere dal previo esame
>> della domanda in sede di filtro. Nella stessa ordinanza di rimessione
>> si dà atto, d’altro canto, di come alcune fra le plurime eccezioni di
>> inammissibilità della domanda risarcitoria, formulate dalla parte
>> convenuta nel giudizio a quo, potrebbero rivelarsi fondate. A parere
>> dell’Avvocatura generale dello Stato, pertanto, il collegio avrebbe
>> dovuto verificare preventivamente se la causa potesse essere decisa,
>> esaminando le questioni preliminari pur di fronte all’erronea
>> rimessione della causa da parte del giudice istruttore sulla base
>> della disciplina previgente.
>>
>> 4.2.– L’eccezione della difesa dell’interveniente non è fondata.
>>
>> Ove pure fosse immediatamente riscontrabile una ragione di
>> inammissibilità della domanda, le questioni inciderebbero, comunque
>> sia, sulle modalità procedurali della relativa verifica, che
>> l’abrogato art. 5 regolava con disciplina ad hoc, allo stato non più
>> applicabile e che il rimettente mira per l’appunto a ripristinare,
>> tramite la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma
>> meramente abrogatrice.
>>
>> In base alla disposizione abrogata, infatti, il tribunale doveva
>> deliberare entro 40 giorni in camera di consiglio, anziché nelle
>> forme ordinarie del giudizio di cognizione (che prevedono la
>> possibile discussione in udienza pubblica, ai sensi dell’art. 275
>> cod. proc. civ.), dichiarando l’inammissibilità della domanda con
>> decreto motivato (e non già con sentenza), impugnabile non nei modi
>> ordinari, ma in quelli previsti dall’art. 739 cod. proc. civ. per i
>> provvedimenti in camera di consiglio.
>>
>> Se la domanda era ritenuta ammissibile, d’altro canto, il tribunale
>> doveva disporre la prosecuzione del processo e la trasmissione degli
>> atti ai titolari dell’azione disciplinare (previsione anche questa
>> venuta meno).
>>
>> La rilevanza delle questioni è, pertanto, indubbia.
>>
>> 5.– Ancorché ammissibili, le questioni prospettate dall’ordinanza di
>> rimessione del Tribunale ordinario di Genova (r.o. n. 130 del 2016)
>> sono tuttavia infondate.
>>
>> 5.1.– Il giudice a quo prospetta plurimi dubbi di legittimità
>> costituzionale del solo art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015,
>> il quale, come già detto, abrogando l’art. 5 della legge n. 117 del
>> 1988, ha eliminato il “filtro di ammissibilità” della domanda
>> risarcitoria proposta nei confronti dello Stato.
>>
>> Il Tribunale ordinario di Genova reputa, preliminarmente, che la
>> soppressione del meccanismo dianzi descritto non possa trovare
>> «pertinente» giustificazione nel richiamo alle pronunce «della Corte
>> di Strasburgo» o di quelle della Corte di giustizia dell’Unione
>> europea, il cui fondamento non riposerebbe sulla «responsabilità del
>> singolo magistrato, ma (su) quella dello Stato», con la conseguenza
>> che tali decisioni «non imponevano alcuna modifica della legge n.
>> 117/1988 dal punto di vista processuale».
>>
>> Ciò premesso, il rimettente ritiene che la disposizione denunciata
>> violerebbe, anzitutto, l’art. 111 Cost., per contrasto con il
>> principio di ragionevole durata del processo. Il meccanismo di
>> “filtro” risponderebbe, infatti, al comune interesse tanto del
>> cittadino, che si ritenga leso, quanto dello Stato, potenziale
>> responsabile, a che l’eventuale inammissibilità della domanda
>> risarcitoria sia dichiarata al più presto e con procedura snella. In
>> assenza di tale meccanismo, i tempi per la pronuncia sono invece
>> quelli del processo ordinario, di «lunghezza eccessiva ed
>> irragionevole».
>>
>> La norma censurata violerebbe, inoltre, l’art. 3 Cost., sotto il
>> duplice profilo della disparità di trattamento e della
>> irragionevolezza. L’abolizione del “filtro”, da essa disposta,
>> contrasterebbe, infatti, con il sempre più diffuso ricorso del
>> legislatore a meccanismi di questo tipo e, in particolare, con
>> l’avvenuta introduzione di «pronunce semplificate di inammissibilità»
>> in rapporto alle impugnazioni ordinarie: istituti, questi ultimi,
>> comparabili all’azione prevista dalla legge n. 117 del 1988,
>> atteggiandosi essa, spesso, come un «processo sul processo» (il
>> riferimento del rimettente è alle previsioni degli artt. 348-bis e
>> 348-ter cod. proc. civ., quanto all’appello, e degli artt. 360-bis e
>> 375, primo comma, numeri 1 e 5, cod. proc. civ., quanto al ricorso
>> per cassazione).
>>
>> L’intervento abrogativo censurato pregiudicherebbe, inoltre,
>> l’attuazione del giusto processo – così integrando un ulteriore
>> vulnus all’art. 111 Cost. − anche nel giudizio nel quale si assume
>> essersi verificato il fatto dannoso. Imbrigliando immediatamente le
>> azioni di responsabilità inammissibili o palesemente infondate, il
>> meccanismo processuale soppresso svolgerebbe, infatti, una essenziale
>> funzione di tutela della serenità di giudizio del giudice,
>> scongiurando il pericolo della cosiddetta «giurisprudenza
>> “difensiva”», ossia che il giudice abdichi alla propria posizione di
>> terzietà e imparzialità in favore delle decisioni che appaiono per
>> lui meno “rischiose”.
>>
>> Risulterebbero altresì violati i principi di soggezione del giudice
>> solo alla legge (art. 101 Cost.) e di autonomia e indipendenza della
>> magistratura (art. 104 Cost.), alla luce delle affermazioni della
>> giurisprudenza costituzionale secondo cui la presenza di un “filtro”,
>> che ponga il giudice al riparo da domande temerarie o intimidatorie,
>> dovrebbe ritenersi indispensabile per la salvaguardia dei
>> corrispondenti valori (sono citate le sentenze n. 468 del 1990, n. 18
>> del 1989 e n. 2 del 1968).
>>
>> La norma censurata si porrebbe, infine, in contrasto con il principio
>> del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.). In
>> mancanza del meccanismo del “filtro”, infatti, il magistrato sarebbe
>> incentivato ad esercitare la facoltà di intervento nel giudizio
>> risarcitorio prevista dall’art. 6 della legge n. 117 del 1988, non
>> essendo più nettamente distinto l’esame dei profili di ammissibilità
>> della domanda da quello del merito: ciò che, rendendolo parte di quel
>> giudizio, farebbe scattare l’obbligo di astensione nel processo
>> originario ai sensi dell’art. 51, primo comma, numero 3), cod. proc.
>> civ. In ogni caso, il giudice potrebbe ravvisare i presupposti per
>> un’astensione facoltativa. In conseguenza, la proposizione
>> dell’azione di responsabilità potrebbe costituire indiretto strumento
>> per distogliere la causa dal suo giudice naturale.
>>
>> 5.2.– Movendo dal preliminare riferimento del giudice a quo alle
>> decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, va rammentato
>> come un forte stimolo alla riforma operata dalla legge n. 18 del 2015
>> sia venuto proprio dai principi affermati dalla Corte di Lussemburgo,
>> riguardo all’obbligo degli Stati membri di riparare i danni causati
>> ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario (ora, dell’Unione
>> europea) commesse da organi giurisdizionali nazionali (anche di
>> ultimo grado): principi con i quali alcune delle limitazioni previste
>> dalla legge n. 117 del 1988 sono state ritenute incompatibili (Corte
>> di giustizia, grande sezione, sentenza 13 giugno 2006, in causa
>> C-173/03, Traghetti del Mediterraneo spa), tanto da dar luogo
>> all’apertura di una procedura di infrazione, decisa in senso
>> sfavorevole per il nostro Paese (Corte di giustizia, sentenza 24
>> novembre 2011, in causa C-379/10, Commissione europea contro
>> Repubblica italiana).
>>
>> Nel contesto di tali principi, assumono qui rilievo, in particolare,
>> quelli relativi alla “giustiziabilità” della pretesa risarcitoria del
>> danneggiato.
>>
>> La Corte di Giustizia, a partire dalla nota pronuncia Köbler
>> (sentenza 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Gerhard Köbler), ebbe
>> infatti a statuire che «[…] è nell’ambito delle norme del diritto
>> nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a
>> riparare le conseguenze del danno provocato, fermo restando che le
>> condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di
>> risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle
>> che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono
>> essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o
>> eccessivamente difficile ottenere il risarcimento».
>>
>> In tale affermazione – ribadita dai costanti arresti successivi (ex
>> multis, Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione,
>> sentenza 13 marzo 2007, in causa C-524/04, Test Claimants in the Thin
>> Cap Group Litigation; Corte di giustizia dell’Unione europea,
>> sentenza 25 novembre 2010, in causa C-429/09, Günter Fuß; Corte di
>> giustizia dell’Unione europea, sentenza 9 settembre 2015, in causa
>> C-160/14, João Filipe Ferreira da Silva e Brito e altri) – risultano
>> compendiati tanto il «principio di equivalenza» quanto il «principio
>> di effettività», i quali così assurgono a cardini necessari di ogni
>> diritto nazionale in tema di responsabilità dello Stato per le
>> conseguenze del danno provocato da provvedimenti giurisdizionali
>> adottati in violazione del diritto europeo.
>>
>> Il «principio di equivalenza» − secondo denominazione propria ed
>> originale della Corte di giustizia – postula che le condizioni
>> stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei
>> danni nei confronti dello Stato, per la responsabilità civile in
>> esito alla violazione del diritto europeo per mezzo di provvedimento
>> giurisdizionale, non possono essere «meno favorevoli» di quelle
>> riguardanti analoghi reclami di natura interna, vale a dire delle
>> altre “normali” azioni risarcitorie esercitabili dai cittadini nei
>> confronti dello Stato in altre e diverse materie.
>>
>> Il «principio di effettività» esige, poi, che i meccanismi
>> procedurali del diritto nazionale non siano congegnati in modo da
>> rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere
>> il risarcimento.
>>
>> 5.3.– L’affermazione di tali principi − pur se non immediatamente e
>> specificamente pretensivi dell’abolizione del cosiddetto “filtro di
>> ammissibilità” contemplato dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988 –
>> ha rappresentato un considerevole mutamento del quadro normativo di
>> riferimento in tema di responsabilità civile dello Stato e del
>> giudice, finendo inevitabilmente per ispirare e permeare l’intervento
>> riformatore, sul punto, della legge n. 18 del 2015. Al riguardo, il
>> legislatore ha ritenuto che, per un verso, l’azione di responsabilità
>> nei confronti dello Stato per i danni conseguenti ad un provvedimento
>> giudiziario non si collocasse in una condizione di equivalenza
>> rispetto alle azioni risarcitorie nei confronti dello Stato in altre
>> materie che non prevedono un simile “filtro” e, per altro verso, che
>> l’esperienza applicativa della legge n. 117 del 1988, arrestando le
>> azioni di danno contro lo Stato in larghissima misura nella fase
>> della delibazione preliminare, non avesse garantito l’effettività del
>> risarcimento per il cittadino danneggiato. È appena il caso di
>> sottolineare, al proposito, che l’intervento riformatore non era
>> evidentemente limitabile alle sole violazioni del diritto europeo, se
>> non al prezzo di determinare una irragionevole disparità di
>> trattamento rispetto alle violazioni delle norme del diritto
>> nazionale che fossero all’origine, anch’esse, di danno per il cittadino.
>>
>> Come più volte affermato da questa Corte, nella materia in esame
>> occorre perseguire il delicato bilanciamento tra due interessi
>> contrapposti: da un lato, il diritto del soggetto ingiustamente
>> danneggiato da un provvedimento giudiziario ad ottenere il ristoro
>> del pregiudizio patito, posto che «una legge che negasse al cittadino
>> danneggiato dal giudice qualunque pretesa verso l’amministrazione
>> statale sarebbe contraria a giustizia» (sentenza n. 2 del 1968);
>> dall’altro, la salvaguardia delle funzioni giudiziarie da possibili
>> condizionamenti, a tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità della
>> magistratura, «in quanto la peculiarità delle funzioni giudiziarie e
>> la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono condizioni e limiti
>> alla responsabilità dei magistrati, specie in considerazione dei
>> disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura
>> (artt. 101 e 113), a tutela della sua indipendenza e dell’autonomia
>> delle sue funzioni» (sentenza n. 26 del 1987).
>>
>> Tale bilanciamento è stato operato anche dalla legge di riforma n. 18
>> del 2015, fondamentalmente tramite una più netta divaricazione tra la
>> responsabilità civile dello Stato nei confronti del danneggiato − che
>> le istituzioni europee chiedevano con forza di espandere − e la
>> responsabilità civile del singolo magistrato. Il legislatore della
>> riforma ha cioè mirato a superare la piena coincidenza oggettiva e
>> soggettiva degli àmbiti di responsabilità dello Stato e del
>> magistrato e, in tale prospettiva, ha ritenuto di ampliare il
>> perimetro della prima a prescindere dai confini, più ristretti, della
>> seconda, così stemperando il meccanico ed automatico effetto
>> dell’accertamento della responsabilità dello Stato sul magistrato nel
>> giudizio di rivalsa.
>>
>> In tale cornice di rinnovato bilanciamento normativo − i cui termini
>> sono rimessi alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della
>> ragionevolezza − si colloca la scelta legislativa di abolizione del
>> cosiddetto “filtro di ammissibilità”, ritenuta funzionale al nuovo
>> impianto normativo, specie se riguardata alla luce dei già ricordati
>> principi affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Non
>> è costituzionalmente necessario, infatti, che, per bilanciare i
>> contrapposti interessi di cui si è detto, sia prevista una
>> delibazione preliminare dell’ammissibilità della domanda contro lo
>> Stato, quale strumento indefettibile di protezione dell’autonomia e
>> dell’indipendenza della magistratura. Tale esigenza può essere
>> infatti soddisfatta dal legislatore per altra via: ciò è quanto
>> accaduto con la legge n. 18 del 2015, per un verso mediante il
>> mantenimento del divieto dell’azione diretta contro il magistrato e
>> con la netta separazione dei due àmbiti di responsabilità, dello
>> Stato e del giudice; per un altro, con la previsione di presupposti
>> autonomi e più restrittivi per la responsabilità del singolo
>> magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo se e dopo che lo
>> Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di danno; per un altro
>> ancora, tramite il mantenimento di un limite della misura della
>> rivalsa. Tanto vale a stornare il paventato pericolo che l’abolizione
>> del meccanismo processuale in esame determini un pregiudizio alla
>> «serenità del giudice» come pure la temuta deriva verso una
>> «giurisprudenza difensiva», ipotesi, questa, che evidentemente
>> oblitera l’elevato magistero proprio di ogni funzione
>> giurisdizionale. Che tutto ciò valga ad escludere il rischio –
>> secondo una direttrice opposta a quanto riscontrato nel precedente
>> assetto circa la sostanziale “irresponsabilità” dei magistrati – di
>> un eventuale abuso dell’azione risarcitoria è questione, poi, che
>> solo l’attuazione nel tempo della nuova disciplina potrà chiarire.
>>
>> 5.4.– Né le conclusioni sopra assunte palesano disarmonia o,
>> tantomeno, contrasto con le pregresse affermazioni sul punto di
>> questa Corte, richiamate dal Tribunale rimettente.
>>
>> Il giudice a quo evoca taluni contenuti argomentativi delle sentenze
>> n. 2 del 1968 e, soprattutto, n. 18 del 1989 e n. 468 del 1990.
>>
>> È agevole tuttavia rilevare che la più remota di tali pronunce si è
>> limitata ad affermare in termini generali, come già ricordato,
>> l’esigenza di prevedere «condizioni e limiti» alla responsabilità del
>> magistrato, avuto riguardo alla situazione normativa dell’epoca (che
>> prevedeva una responsabilità civile diretta del magistrato limitata
>> ai casi di dolo, frode, concussione e denegata giustizia,
>> condizionando la domanda risarcitoria all’autorizzazione del Ministro
>> di grazia e giustizia: originari artt. 55, 56 e 74 cod. proc. civ.).
>> Affermazione, questa, di imprescindibile ed immutabile valenza, ma
>> che risulta, al più, neutra rispetto all’odierno thema decidendum.
>>
>> Le affermazioni sul preteso «rilievo costituzionale» del filtro sono
>> piuttosto contenute nella già citata sentenza n. 18 del 1989 e,
>> soprattutto, nella n. 468 del 1990. Nella prima di tali pronunce,
>> questa Corte ebbe ad affermare che «la previsione del giudizio di
>> ammissibilità della domanda (art. 5, l. cit.) garantisce
>> adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni “manifestamente
>> infondate”, che possano turbarne la serenità, impedendo, al tempo
>> stesso, di creare con malizia i presupposti per l’astensione e la
>> ricusazione». Nella sentenza n. 468 del 1990, si enunciò poi
>> l’assunto della «indispensabilità di un “filtro” a garanzia della
>> indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale».
>>
>> Se doverosamente riguardate nella cornice storica e normativa, oltre
>> che nella specifica occasio che ebbe a determinarle, queste
>> affermazioni risultano tuttavia di valore assai meno dirimente
>> rispetto a quello loro attribuito dalle argomentazioni del tribunale
>> rimettente.
>>
>> L’affermazione – contenuta nella sentenza n. 18 del 1989 − relativa
>> alla “garanzia adeguata” derivante dal preventivo giudizio di
>> ammissibilità rispetto alla proposizione di azioni manifestamente
>> infondate o temerarie non individua di certo, in tale rimedio, la
>> soluzione unica e costituzionalmente obbligata affinché un sistema di
>> responsabilità civile non risulti strutturalmente lesivo
>> dell’autonomia ed indipendenza della magistratura, incidendo sul
>> “perturbamento della serenità” del giudice. Già si è osservato che,
>> in un mutato quadro storico e normativo, il legislatore ha praticato,
>> in forme diverse e non censurabili per irragionevolezza, quel
>> bilanciamento di valori contrapposti che, vigente la legge n. 117 del
>> 1988, risultava svolto dal meccanismo procedurale in esame, oggi
>> abrogato dalla norma censurata. Ciò è tanto più vero considerando,
>> inoltre, che, anche a mezzo della citata argomentazione, questa
>> Corte, con la sentenza n. 18 del 1989, ebbe a ritenere non fondato il
>> dubbio di costituzionalità inerente all’«intera l. 13 aprile 1988, n.
>> 117»: dubbio allora prospettato per «la previsione, in sé, di tale
>> responsabilità», reputando, il giudice rimettente dell’epoca, che la
>> stessa introduzione di una disciplina della responsabilità civile dei
>> giudici per colpa grave compromettesse «l’imparzialità della
>> magistratura, con l’attribuire alle parti uno strumento di pressione
>> idoneo ad influenzarne le decisioni». Da qui la precisa valenza che
>> il riferimento alla “garanzia adeguata” del filtro assumeva in quella
>> decisione.
>>
>> Parimente, anche l’indicata affermazione della sentenza n. 468 del
>> 1990 – circa la «indispensabilità di un “filtro” a garanzia della
>> indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale» − assume
>> una connotazione diversa rispetto a quella propugnata dal tribunale
>> rimettente di soluzione costituzionalmente imposta. Mette conto,
>> infatti, di rammentare l’assoluta peculiarità della prospettiva da
>> cui tale affermazione trasse origine: quella, cioè, dell’estensione
>> del meccanismo del filtro alle azioni di danno promosse per fatti
>> anteriori alla sua entrata in vigore; azioni che – se pure fortemente
>> limitate nei presupposti, in base all’abrogato art. 55 cod. proc.
>> civ. – avevano, però, come destinatario diretto il magistrato. Come
>> dire che il riferimento all’«indispensabilità di un “filtro”» quale
>> garanzia dell’indipendenza ed autonomia del giudice risultava
>> riferito ad un sistema così congegnato, del tutto diverso da quello
>> odierno che non prevede forme di responsabilità diretta del magistrato.
>>
>> Alla luce di quanto precede, le questioni sollevate dal Tribunale
>> ordinario di Genova in riferimento ai principi di indipendenza e
>> autonomia della magistratura e di terzietà e imparzialità del
>> giudice, di cui agli artt. 101, 104 e 111 Cost., debbono ritenersi
>> quindi non fondate.
>>
>> 5.5.– Infondato è, altresì, il dubbio di costituzionalità avanzato
>> dal giudice a quo in relazione all’art. 3 Cost., sulla base della
>> ritenuta irragionevolezza intrinseca della soppressione del filtro di
>> ammissibilità e della violazione del principio di eguaglianza
>> rispetto alle «pronunce semplificate di inammissibilità» introdotte
>> dal legislatore in rapporto alle impugnazioni ordinarie.
>>
>> Invero, l’àmbito del tutto eterogeneo in cui si muove il raffronto
>> prospettato dal rimettente – e rappresentato dagli artt. 348-bis e
>> 348-ter cod. proc. civ., in relazione all’appello, e dagli artt.
>> 360-bis e 375, primo comma, numeri 1) e 5), cod. proc. civ., riguardo
>> al ricorso per cassazione – rende la censura priva di fondamento. La
>> mera «comunanza logica» evocata dal giudice a quo non vale
>> evidentemente ad accomunare normativamente – e, dunque, a rendere
>> comparabili − strumenti deflattivi e semplificativi innestati dal
>> legislatore nel regime delle impugnazioni civili con l’abrogato
>> meccanismo del “filtro di ammissibilità”, il quale riguardava il
>> giudizio di primo grado, la cui disciplina generale non contempla
>> analoghi meccanismi. E ciò anche a prescindere dalla diversità di
>> scopi degli istituti nonché dalla discrezionalità di cui gode il
>> legislatore nelle scelte in materia processuale, il cui limite della
>> manifesta irragionevolezza, ad ogni modo, non risulta, nel caso in
>> esame, travalicato né in senso assoluto, né “per comparazione”.
>>
>> 5.6.– È altresì infondata la censura dell’art. 3, comma 2, della
>> legge n. 18 del 2015 per violazione del principio del giudice
>> naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.), che si
>> verificherebbe, secondo il giudice rimettente, perché la
>> contemporanea pendenza del giudizio contro lo Stato e di quello
>> principale – agevolata dall’eliminazione del “filtro di
>> ammissibilità” – indurrebbe il giudice del secondo giudizio ad
>> astenersi o all’astensione addirittura lo obbligherebbe, nel caso in
>> cui intervenisse nel giudizio intentato nei confronti dello Stato.
>>
>> A prescindere dalla considerazione che l’identica situazione oggi
>> paventata dal rimettente ben poteva verificarsi anche in vigenza del
>> meccanismo abrogato, è sufficiente osservare che, secondo la
>> giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezioni unite
>> civili, sentenza 22 luglio 2014, n. 16627), la pendenza della causa
>> di danno contro lo Stato non costituisce motivo di astensione o
>> ricusazione del giudice autore del provvedimento. E ciò – come
>> recentemente affermato dalla Corte di cassazione, sezioni unite
>> civili, sentenza 23 giugno 2015, n. 13018 – neppure nel caso di
>> intervento del magistrato in detta causa: non vi è, infatti, un
>> rapporto diretto parte-magistrato, che valga a qualificare il secondo
>> come debitore – anche solo potenziale – della prima.
>>
>> 5.7.– È infine non fondata la questione in riferimento all’art. 111
>> Cost., sotto il profilo del contrasto con il principio della
>> ragionevole durata del processo.
>>
>> Il giudice a quo – motivando tale dubbio di legittimità
>> costituzionale sulla base dell’assunto che, abolito il filtro
>> preliminare, i tempi per pervenire ad una pronuncia
>> sull’ammissibilità sono invece quelli del processo ordinario, di
>> «lunghezza eccessiva ed irragionevole» − non considera che detto
>> dubbio dovrebbe per ciò stesso inerire a tutti i giudizi civili
>> ordinari se non preceduti da meccanismi di preliminare delibazione
>> della domanda simili a quello contemplato dall’abrogato art. 5 della
>> legge n. 117 del 1988. Ciò che rende di evidente precarietà logica la
>> premessa argomentativa del rimettente e, dunque, non fondata la
>> questione che da essa si sviluppa.
>>
>> 5.8.– In conclusione, tutte le questioni di legittimità
>> costituzionale, aventi per oggetto l’art. 3, comma 2, della legge n.
>> 18 del 2015, prospettate dal Tribunale ordinario di Genova, debbono
>> essere dichiarate non fondate.
>>
>> per questi motivi
>>
>> LA CORTE COSTITUZIONALE
>>
>> riuniti i giudizi,
>>
>> 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
>> degli artt. 2, comma 1, lettere a), b) e c), 3, comma 2, e 4 della
>> legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilità civile
>> dei magistrati), e dell’art. 9, comma 1, della legge 13 aprile 1988,
>> n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle
>> funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), come
>> modificato dall’art. 6 della legge n. 18 del 2015, sollevate, in
>> riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 81, terzo comma, 101,
>> secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal
>> Tribunale ordinario di Verona, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
>> degli artt. «4 e/o 7», 7 e 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988,
>> come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del 2015, e dell’art.
>> 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, sollevate, in riferimento
>> agli artt. 3, 25, 101, «101 e seguenti», 104 e 113 Cost., dal
>> Tribunale ordinario di Treviso, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
>> degli artt. 4, comma 3, 7, 8, comma 3, e 9, comma 1, della legge n.
>> 117 del 1988, come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del
>> 2015, e dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, sollevate,
>> in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 101, 111 e «101-113» Cost., dal
>> Tribunale ordinario di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
>> dell’art. 2, commi 2 e 3, della legge n. 117 del 1988, come
>> sostituito dall’art. 2, comma 1, lettere b) e c), della legge n. 18
>> del 2015, sollevate, in riferimento agli artt. 101, secondo comma,
>> 104, primo comma, 107, terzo comma, e 134 Cost., dal Tribunale
>> ordinario di Enna, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
>> dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, sollevate, in
>> riferimento agli artt. 3, 25, 101, 104 e 111 Cost., dal Tribunale
>> ordinario di Genova con l’ordinanza indicata in epigrafe.
>>
>> Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
>> della Consulta, il 3 aprile 2017.
>>
>> F.to:
>>
>> Paolo GROSSI, Presidente
>>
>> Franco MODUGNO, Redattore
>>
>> Roberto MILANA, Cancelliere
>>
>> Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2017.
>>
>> Il Direttore della Cancelleria
>>
>> F.to: Roberto MILANA
>>
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>> Area mailing list
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