[Area] I: Corte Costituzionale n. 164/2017 (RESP. CIVILE MAGISTRATI)

thorgiov thorgiov a libero.it
Mer 12 Lug 2017 20:12:54 CEST


A me invece viene in mente la politicità dell'ANM che ha deciso di non 
reagire in alcun modo alla nuova normativa. Il Governo Renzi aveva 
evidentemente stipulato un patto di non belligeranza ( o meglio di 
sudditanza, nel senso che l'ANM ha deciso che non era il caso di 
contrastare in nessun modo il sovrano, come dimostra anche l'ultimo 
comunicato di AREA a proposito della decisione di Autonomia e 
Indipendenza di uscire dalla Giunta Unitaria ) con il nostro sindacato, 
che infatti non ha reagito neppure contro il taglio delle ferie e 
l'anticipo dell'età pensionabile. Ora, io mi chiedo : a che cosa serve 
un sindacato di questo tipo ?

FELICE   PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )


Il 12/07/2017 18:51, Siddi Massimiliano ha scritto:
> E qualcuno ancora crede nella "apoliticità" di questo organismo.....
>
>          Massimiliano Siddi
>
> Inviato da iPhone
>
> Il giorno 12 lug 2017, alle ore 17:34, "carlocitt a alice.it 
> <mailto:carlocitt a alice.it>" <carlocitt a alice.it 
> <mailto:carlocitt a alice.it>> ha scritto:
>
>> Corte Costituzionale
>>
>> http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do
>>
>>
>>   Corte Costituzionale
>>
>> SENTENZA N. 164
>>
>> ANNO 2017
>>
>> REPUBBLICA ITALIANA
>>
>> IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
>>
>> LA CORTE COSTITUZIONALE
>>
>> composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro 
>> CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario 
>> Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, 
>> Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio 
>> BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
>>
>> ha pronunciato la seguente
>>
>> SENTENZA
>>
>> nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, 
>> lettere a), b) e c), 3, comma 2, e 4 della legge 27 febbraio 2015, n. 
>> 18 (Disciplina della responsabilità civile dei magistrati), e degli 
>> artt. 2, commi 2 e 3, 4, 7, 8, comma 3, e 9, comma 1, della legge 13 
>> aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio 
>> delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), 
>> come modificati dalla legge n. 18 del 2015, promossi dal Tribunale 
>> ordinario di Verona con ordinanza del 12 maggio 2015, dal Tribunale 
>> ordinario di Treviso con ordinanza dell’8 maggio 2015, dal Tribunale 
>> ordinario di Catania con ordinanza del 6 febbraio 2016, dal Tribunale 
>> ordinario di Enna con ordinanza del 25 febbraio 2016 e dal Tribunale 
>> ordinario di Genova con ordinanza del 10 maggio 2016, rispettivamente 
>> iscritte ai nn. 198 e 218 del registro ordinanze 2015, e ai nn. 113, 
>> 126 e 130 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta 
>> Ufficiale della Repubblica nn. 40 e 43, prima serie speciale, 
>> dell’anno 2015 e nn. 23 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2016.
>>
>> Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
>>
>> udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2016 il Giudice 
>> relatore Franco Modugno.
>>
>> /Ritenuto in fatto /
>>
>> 1.– Con ordinanza del 12 maggio 2015 (r.o. n. 198 del 2015), il 
>> Tribunale ordinario di Verona ha sollevato questioni di legittimità 
>> costituzionale:
>>
>> a) degli artt. 2, comma 1, lettera c), e 4, comma 1, della legge 27 
>> febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilità civile dei 
>> magistrati), nella parte in cui – sostituendo, rispettivamente, 
>> l’art. 2, comma 3, e l’art. 7 della legge 13 aprile 1988, n. 117 
>> (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni 
>> giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) – includono il 
>> «travisamento del fatto o delle prove» tra le ipotesi di colpa grave 
>> che possono dar luogo a responsabilità civile dello Stato e del 
>> magistrato, per contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 111, 
>> secondo comma, della Costituzione;
>>
>> b) dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 18 del 2015, per 
>> contrasto con l’art. 3 Cost.;
>>
>> c) dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, per contrasto 
>> con gli artt. 3, 25, primo comma, 101, secondo comma, e 111, secondo 
>> comma, Cost.;
>>
>> d) dell’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificato 
>> dall’art. 6 della legge n. 18 del 2015, per contrasto con gli artt. 
>> 25, primo comma, 101, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.;
>>
>> e) dell’art. 4 della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui, 
>> sostituendo l’art. 7, comma 1, della legge n. 117 del 1998, prevede 
>> che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha l’obbligo di 
>> esercitare l’azione di rivalsa verso il magistrato, per contrasto con 
>> gli artt. 3 e 24 Cost.;
>>
>> f) dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), e dell’art. 4 della 
>> legge n. 18 del 2015, quest’ultimo nella parte in cui prevede che il 
>> Presidente del Consiglio dei Ministri ha l’obbligo di esercitare 
>> l’azione di rivalsa verso il magistrato, per contrasto con l’art. 81, 
>> terzo comma, Cost.
>>
>> 1.1.– Il giudice a quo premette di essere investito dell’opposizione 
>> proposta da una società cooperativa avverso il decreto con il quale 
>> le era stato ingiunto il pagamento della somma di euro 142.292,53, 
>> oltre interessi, in favore di una impresa agricola, quale 
>> corrispettivo di forniture di prodotti documentate da fatture. A 
>> sostegno dell’opposizione, la cooperativa ingiunta aveva dedotto una 
>> serie di motivi, tutti contestati dall’impresa ingiungente, la quale 
>> – rilevato che l’opposizione non era fondata su prova scritta, né di 
>> pronta soluzione – aveva chiesto, ai sensi dell’art. 648, primo 
>> comma, del codice di procedura civile, che il decreto ingiuntivo 
>> opposto fosse dichiarato provvisoriamente esecutivo.
>>
>> Secondo il rimettente, ai fini della decisione su tale istanza 
>> assumerebbero rilievo alcune delle disposizioni in materia di 
>> responsabilità civile dei magistrati introdotte dalla legge n. 18 del 
>> 2015, in quanto «concretamente e immediatamente produttiv[e] di una 
>> responsabilità potenziale» di esso giudice a quo.
>>
>> Al riguardo, il rimettente ricorda come la Corte costituzionale, con 
>> la sentenza n. 18 del 1989, decidendo su una serie di questioni 
>> relative alla pregressa disciplina della responsabilità civile dei 
>> magistrati di cui alla legge n. 117 del 1988, abbia rilevato che 
>> l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione 
>> e sul funzionamento della Corte costituzionale) esige, ai fini della 
>> proposizione dell’incidente di costituzionalità, che il giudizio 
>> principale non possa essere definito indipendentemente dalla 
>> risoluzione della questione di legittimità costituzionale: sicché, di 
>> regola, la rilevanza della questione resta strettamente correlata 
>> all’applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo. Tuttavia 
>> – come già ritenuto implicitamente dalla stessa Corte costituzionale 
>> in precedenti occasioni (sentenze n. 196 del 1982, n. 125 del 1977 e 
>> n. 128 del 1974) e, secondo il rimettente, anche nella più recente 
>> sentenza n. 237 del 2013 – «debbono ritenersi influenti sul giudizio 
>> anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel 
>> giudizio a quo, attengono allo status del giudice, alla sua 
>> composizione nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che 
>> riguardano il suo operare. L’eventuale incostituzionalità di tali 
>> norme è destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al 
>> giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e 
>> i doveri: in sintesi, la “protezione” dell’esercizio della funzione, 
>> nella quale i doveri si accompagnano ai diritti».
>>
>> Occorrerebbe inoltre considerare – secondo il giudice a quo – che la 
>> nuova legge ha ampliato le ipotesi che possono dar luogo a 
>> responsabilità civile dello Stato e del magistrato, includendovi, in 
>> particolare, le fattispecie del travisamento del fatto o delle prove 
>> (artt. 2, comma 3, e 7 della legge n. 117 del 1988, come novellati 
>> dagli artt. 2, comma 1, lettera c, e 4, comma 1, della legge n. 18 
>> del 2015). Almeno le citate disposizioni troverebbero immediata 
>> applicazione in tutti i giudizi in corso potenzialmente causativi di 
>> danno, giacché i giudici che li trattano, per non incorrere in 
>> responsabilità (anche disciplinare), dovrebbero attenersi ai criteri 
>> di valutazione da esse stabiliti.
>>
>> 1.2.– Ciò premesso, il giudice a quo dubita della legittimità 
>> costituzionale dei citati artt. 2, comma 1, lettera c), e 4, comma 1, 
>> della legge n. 18 del 2015, osservando come, nell’originario assetto 
>> della legge n. 117 del 1988, la valutazione dei fatti e delle prove – 
>> costituente, assieme all’interpretazione delle norme di diritto, 
>> l’essenza stessa della funzione giurisdizionale – non potesse mai dar 
>> luogo a responsabilità, in virtù della cosiddetta clausola di 
>> salvaguardia enunciata dall’art. 2, comma 2, della stessa legge. Come 
>> rilevato tanto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18 del 
>> 1989, quanto dalla giurisprudenza di legittimità, detta clausola era 
>> funzionale alla tutela dell’indipendenza del giudice, che, a propria 
>> volta, costituisce garanzia di apprezzamento imparziale delle 
>> risultanze istruttorie.
>>
>> La legge n. 18 del 2015 – pur riproponendo, nel suo art. 2, comma 1, 
>> lettera b), la clausola di salvaguardia – ne avrebbe, di fatto, 
>> sensibilmente ridotto l’àmbito di operatività. La lettera c) del 
>> medesimo art. 2, comma 1, ha infatti ampliato i casi di colpa grave 
>> generativi di responsabilità risarcitoria tanto sul piano numerico, 
>> con l’aggiunta dell’ipotesi del travisamento del fatto o delle prove, 
>> quanto sotto il profilo soggettivo, con l’eliminazione del 
>> riferimento alla negligenza inescusabile (la quale, ai sensi 
>> dell’art. 7, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come sostituito 
>> dall’art. 4 della legge n. 18 del 2015, costituisce ora condizione 
>> solo per l’esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti del 
>> magistrato).
>>
>> Ad avviso del giudice a quo, il nuovo regime si porrebbe in contrasto 
>> con gli artt. 101, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., 
>> apparendo le nozioni di travisamento del fatto o delle prove 
>> equivoche ed indefinibili. Esse non coinciderebbero con le ipotesi – 
>> già contemplate dall’art. 2, comma 3, della legge n. 117 del 1988 – 
>> dell’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente 
>> esclusa dagli atti del procedimento, o della negazione di un fatto la 
>> cui esistenza risulti incontrastabilmente dagli atti del 
>> procedimento, per la semplice ragione che sono state aggiunte, e non 
>> già sostituite, a queste ultime. Nessuna indicazione utile 
>> fornirebbero, peraltro, i lavori parlamentari, dai quali emergerebbe, 
>> anzi, l’estrema difficoltà di definire gli esatti confini della nuova 
>> fattispecie di illecito.
>>
>> La formula in esame si rivelerebbe, quindi, del tutto inidonea a 
>> delimitare l’àmbito della responsabilità del magistrato, come invece 
>> esigerebbero i parametri costituzionali evocati. In effetti, erano 
>> state proprio la limitatezza e la tassatività delle ipotesi di colpa 
>> grave, originariamente prefigurate dalla legge n. 117 del 1988, ad 
>> indurre la Corte costituzionale ad escludere, con la sentenza n. 18 
>> del 1989, che la loro previsione potesse compromettere la serenità e 
>> l’imparzialità di giudizio del giudice.
>>
>> In difetto di una sufficiente tipizzazione, la nuova fattispecie 
>> offrirebbe, di contro, ampie possibilità di condizionare l’esercizio 
>> della funzione giurisdizionale: qualsiasi valutazione dei fatti o del 
>> materiale probatorio potrebbe essere, infatti, censurata 
>> semplicemente qualificandola come travisamento, con ulteriori 
>> ricadute negative in termini di ampliamento indefinito della 
>> possibilità di sindacato disciplinare sui provvedimenti giudiziari e 
>> di estrema incertezza sull’àmbito applicativo dell’azione 
>> obbligatoria di rivalsa.
>>
>> Peraltro, nemmeno la sfera applicativa della clausola di salvaguardia 
>> –formalmente ribadita dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 
>> n. 18 del 2015 – risulterebbe individuabile con esattezza 
>> relativamente all’attività di valutazione del fatto o delle prove, 
>> tanto da potersi dubitare che la clausola stessa conservi un reale 
>> spazio operativo. Sotto tale profilo, la norma da ultimo citata 
>> risulterebbe irragionevole e, quindi, in contrasto con l’art. 3 Cost.
>>
>> 1.3.– Il rimettente censura, altresì, l’art. 3, comma 2, della legge 
>> n. 18 del 2015, che, abrogando l’art. 5 della legge n. 117 del 1988, 
>> ha soppresso la fase preliminare del giudizio risarcitorio 
>> comunemente definita «filtro di ammissibilità».
>>
>> In forza del citato art. 5, il tribunale investito di una domanda 
>> risarcitoria nei confronti dello Stato per fatto illecito del 
>> magistrato doveva deliberare, preventivamente e in tempi ristretti, 
>> sulla sua ammissibilità. A tal fine, il giudice istruttore doveva, 
>> alla prima udienza, rimettere le parti dinanzi al collegio, che era 
>> tenuto a decidere entro quaranta giorni dalla rimessione. La domanda 
>> era dichiarata inammissibile con decreto motivato quando non fossero 
>> stati rispettati i termini previsti a pena di decadenza per 
>> l’esercizio dell’azione o non sussistessero i presupposti stabiliti 
>> dagli artt. 2, 3 e 4 della stessa legge n. 117 del 1988, ovvero 
>> quando la domanda risultasse manifestamente infondata. Ove, invece, 
>> il tribunale avesse ritenuto la domanda ammissibile, doveva disporre 
>> la prosecuzione del giudizio e la trasmissione di copia degli atti al 
>> titolare dell’azione disciplinare.
>>
>> Tale meccanismo – rileva il giudice a quo – perseguiva il duplice 
>> obiettivo di impedire la proliferazione di inutili giudizi di merito 
>> e, soprattutto, di tutelare «la serenità del singolo magistrato, che, 
>> al riparo da azioni pretestuose e temerarie, poteva veder limitato il 
>> peso dell’esposizione processuale a casi e tempi razionalmente 
>> circoscritti». In questa prospettiva, la Corte costituzionale aveva 
>> riconosciuto il «rilievo costituzionale» del filtro di ammissibilità, 
>> quale strumento di salvaguardia dei valori di autonomia e 
>> indipendenza della funzione giurisdizionale (sentenza n. 468 del 
>> 1990), rilevando anche come esso impedisse che si creassero con 
>> malizia i presupposti per l’astensione e la ricusazione (sentenza n. 
>> 18 del 1989).
>>
>> Nell’abolire l’istituto, la disposizione censurata si porrebbe, 
>> quindi, in contrasto non solo con gli artt. 101, secondo comma, e 
>> 111, secondo comma, Cost., ma anche con l’art. 25, primo comma, Cost. 
>> Proponendo una domanda risarcitoria palesemente infondata o 
>> inammissibile, la parte potrebbe, infatti, sottrarre il processo dal 
>> quale si assume danneggiata al giudice naturale che ne è investito, 
>> il quale – nel caso di instaurazione di un giudizio di responsabilità 
>> per provvedimenti a lui attribuiti – non potrebbe non ravvisare le 
>> gravi ragioni di convenienza per astenersi ai sensi dell’art. 51, 
>> secondo comma, cod. proc. civ., o dell’art. 36, comma 1, lettera h), 
>> del codice di procedura penale.
>>
>> L’esposizione del giudice alle conseguenze ora indicate risulterebbe, 
>> altresì, protratta nel tempo, diversamente da quanto accadeva nel 
>> regime anteriore. Ogni giudizio di responsabilità, per quanto 
>> inammissibile, deve ora svolgersi nelle forme del giudizio ordinario 
>> di cognizione ed essere deciso con sentenza, soggetta ad impugnazione 
>> nei termini ordinari, molto più ampi di quelli previsti in precedenza 
>> per l’impugnazione del decreto di inammissibilità emesso ai sensi 
>> dell’art. 5 della legge n. 117 del 1988 (dieci giorni dalla 
>> comunicazione per l’appello, quaranta giorni per il ricorso per 
>> cassazione).
>>
>> Non rappresenterebbero, d’altronde, una sufficiente remora alla 
>> proposizione di giudizi risarcitori temerari né la possibile 
>> applicazione – futura e remota – dell’istituto della responsabilità 
>> aggravata, previsto dall’art. 96 cod. proc. civ., né gli oneri 
>> relativi all’iscrizione a ruolo della causa, posto che, per effetto 
>> della modifica dell’art. 15 della legge n. 117 del 1988 disposta 
>> dall’art. 300, comma 6, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante il 
>> «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in 
>> materia di spese di giustizia (Testo A)», i giudizi promossi ai sensi 
>> di detta legge sono esenti dal pagamento del contributo unificato.
>>
>> L’eliminazione del filtro di ammissibilità si porrebbe in contrasto 
>> anche con l’art. 3 Cost., risultando contraddittoria rispetto alle 
>> scelte che lo stesso legislatore ha operato con riguardo al giudizio 
>> di appello e al giudizio di cassazione, in relazione ai quali sono 
>> stati viceversa recentemente introdotti meccanismi di filtro (artt. 
>> 342, primo comma, numero 2, 348-ter e 360-bis cod. proc. civ.).
>>
>> 1.4.– Il rimettente osserva, altresì, che, in correlazione 
>> all’abolizione del filtro di ammissibilità, l’art. 6 della legge n. 
>> 18 del 2015 ha soppresso l’inciso dell’art. 9, comma 1, della legge 
>> n. 117 del 1988 che ricollegava l’inizio del procedimento 
>> disciplinare, per i fatti che avessero «dato causa all’azione di 
>> risarcimento», alla comunicazione, da parte del tribunale, del 
>> provvedimento che aveva dichiarato ammissibile la domanda. È rimasta, 
>> invece, invariata la parte della disposizione che obbliga il titolare 
>> dell’azione disciplinare a procedere per i predetti fatti.
>>
>> In base alla nuova disciplina, pertanto, l’attore potrebbe rendere 
>> note al titolare dell’azione disciplinare le doglianze esposte nel 
>> giudizio risarcitorio, per quanto manifestamente infondate, 
>> costringendolo, per ciò solo, a promuovere l’azione disciplinare. 
>> Anche l’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come novellato, 
>> si porrebbe, quindi, in contrasto con gli artt. 25, primo comma, 101, 
>> secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., consentendo ad una parte 
>> processuale di influire indebitamente sul corso del giudizio e sulla 
>> serenità del giudice, senza una preventiva verifica dei suoi assunti.
>>
>> 1.5.– Il Tribunale veronese sottopone, ancora, a scrutinio di 
>> legittimità costituzionale l’art. 4 della legge n. 15 del 2018, nella 
>> parte in cui, sostituendo l’art. 7, comma 1, della legge n. 117 del 
>> 1988, prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri ha 
>> l’obbligo di esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del 
>> magistrato.
>>
>> La disposizione sottrarrebbe, infatti, al Presidente del Consiglio 
>> dei ministri il diritto di valutare la convenienza di detta azione, 
>> sulla base di un raffronto tra i costi del giudizio risarcitorio nei 
>> confronti dello Stato e quelli del giudizio nei confronti del 
>> magistrato, nonché delle probabilità di successo di quest’ultimo. In 
>> questo modo, essa violerebbe tanto l’art. 24, primo comma, Cost. – 
>> che, nel garantire il diritto di difesa, riconoscerebbe 
>> implicitamente anche il diritto di non agire in giudizio – quanto il 
>> principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.). Al riguardo, si dovrebbe 
>> considerare che – diversamente da quanto accadeva nel sistema 
>> originario della legge n. 117 del 1988 – i presupposti per 
>> l’esercizio dell’azione nei confronti dello Stato non sono i medesimi 
>> dell’azione di rivalsa, occorrendo, per questa, che i comportamenti 
>> individuati dalla norma siano connotati da negligenza inescusabile. 
>> Il Presidente del Consiglio dei ministri si troverebbe, di 
>> conseguenza, a dover esercitare l’azione di rivalsa “al buio”, ossia 
>> senza che si sia avuta una positiva verifica dell’esistenza di quel 
>> presupposto.
>>
>> Irragionevole apparirebbe anche l’assimilazione, operata dalla norma 
>> censurata, delle ipotesi del risarcimento sulla base di transazione e 
>> sulla base di sentenza di condanna, quali presupposti dell’esercizio 
>> dell’azione obbligatoria di rivalsa. Diversamente dalla condanna, la 
>> transazione sarebbe, infatti, frutto di una scelta discrezionale del 
>> Presidente del Consiglio dei ministri, basata su ragioni di 
>> convenienza: scelta che potrebbe risultare viziata da un errore di 
>> valutazione riguardo all’ammissibilità o alla fondatezza della 
>> domanda risarcitoria. Anche in tale evenienza, tuttavia, il 
>> magistrato subirebbe l’azione di rivalsa, destinata ad un insuccesso 
>> per lo Stato.
>>
>> L’art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto il profilo della 
>> ingiustificata disparità di trattamento dell’azione in discorso 
>> rispetto all’azione di regresso nei confronti degli altri dipendenti 
>> pubblici. Tale ultima azione – in base ai principi generali in tema 
>> di azione di garanzia personale (art. 1950 del codice civile), non 
>> derogati dall’art. 22, primo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 
>> (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli 
>> impiegati civili dello Stato) – non è, infatti, obbligatoria, pur 
>> presupponendo che nel giudizio nei confronti dello Stato sia stato 
>> accertato il dolo o la colpa grave del funzionario danneggiante: e 
>> ciò anche nel caso di transazione della lite, come si evincerebbe dal 
>> disposto dell’art. 30 del d.P.R. n. 3 del 1957.
>>
>> La denunciata disparità di trattamento non potrebbe essere spiegata 
>> facendo leva sulla differente entità economica della rivalsa 
>> (limitata, per i magistrati, ad una somma pari alla metà dello 
>> stipendio annuale al momento in cui l’azione di risarcimento è 
>> proposta, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 18 del 2015). Tale 
>> limitazione dovrebbe costituire, al contrario, un ulteriore motivo 
>> per rendere discrezionale l’azione di rivalsa contro il magistrato, 
>> posto che la ridotta entità della somma recuperabile potrebbe 
>> sconsigliare l’iniziativa.
>>
>> 1.6.– Da ultimo, il rimettente denuncia il contrasto con l’art. 81, 
>> terzo comma, Cost. dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), e 
>> dell’art. 4 della legge n. 18 del 2015, quest’ultimo nella parte in 
>> cui prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri ha l’obbligo 
>> di esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.
>>
>> La novella non indicherebbe, infatti, i mezzi per far fronte ai 
>> maggiori oneri derivanti, a carico dello Stato, dall’applicazione 
>> delle norme che ampliano le ipotesi di responsabilità (art. 2, comma 
>> 1, lettere b e c), di quella che riconosce la risarcibilità anche del 
>> danno non patrimoniale conseguente ad un atto o provvedimento del 
>> magistrato (art. 2, comma 1, lettera a) e di quella che prevede 
>> l’obbligatorietà dell’azione di rivalsa (art. 4, comma 2). Ciò, 
>> sebbene la stima di tali oneri fosse ben possibile sulla base 
>> dell’esperienza applicativa della legge n. 117 del 1988, come emerge 
>> dalla relazione al disegno di legge n. 1626, di iniziativa 
>> governativa, che conteneva, in effetti, una norma sulla copertura 
>> finanziaria (art. 4).
>>
>> 1.7.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, 
>> rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, 
>> chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.
>>
>> 1.7.1.– La difesa dell’interveniente eccepisce, in via preliminare, 
>> l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.
>>
>> Le norme censurate verrebbero, infatti, in rilievo solo nell’ipotesi, 
>> teorica ed eventuale, in cui il giudice a quo adottasse un 
>> provvedimento errato con dolo o con colpa grave, costituenti il 
>> presupposto della responsabilità civile dei magistrati (o, meglio, 
>> della responsabilità dello Stato per l’attività dei magistrati). Si 
>> dovrebbe, inoltre, trattare di errore non emendabile tramite i mezzi 
>> ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i 
>> provvedimenti cautelari e sommari, al cui preventivo esaurimento è 
>> subordinata l’azione risarcitoria (art. 4, comma 2, della legge n. 
>> 117 del 1988). Le disposizioni in esame non avrebbero, pertanto, 
>> alcuna incidenza sulla decisione che il rimettente è chiamato ad 
>> assumere nel caso di specie, attinente alla concessione della 
>> provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo: decisione che 
>> implica semplicemente la verifica del fumus della fondatezza 
>> dell’opposizione e dell’esistenza di eventuali vizi procedurali, e 
>> che è destinata, comunque sia, a rimanere assorbita dalla sentenza di 
>> merito.
>>
>> Le questioni risulterebbero, dunque, formulate in termini astratti, 
>> facendo leva su ipotetici condizionamenti psicologici da ritenere 
>> inidonei, in relazione all’alta professionalità che caratterizza la 
>> funzione giurisdizionale del magistrato, ad influire sulla sua 
>> serenità di giudizio.
>>
>> Del tutto privo di consistenza risulterebbe, altresì, l’argomento del 
>> rimettente basato sull’avvenuta introduzione, tra le ipotesi che 
>> possono dar luogo a responsabilità dello Stato e del magistrato, 
>> della fattispecie del «travisamento del fatto o delle prove». 
>> Sarebbe, infatti, evidente che, a prescindere dalla censurata 
>> innovazione, il giudice non debba, comunque sia, travisare i fatti di 
>> causa e le prove offerte dalle parti: senza considerare, poi, che, 
>> data la natura eclatante dell’ipotetico errore, esso sarebbe 
>> rimediabile dallo stesso giudice (in sede di revoca del provvedimento 
>> o di pronuncia della sentenza), ovvero dal giudice di appello, cui la 
>> questione andrebbe devoluta come motivo di impugnazione.
>>
>> Il giudice a quo non avrebbe neppure prospettato l’esistenza di 
>> elementi di particolare complessità della materia del contendere 
>> sottoposta al suo esame, sicché, anche sotto tale profilo, 
>> l’ipotizzata “pericolosità” della nuova disciplina sulla 
>> responsabilità civile risulterebbe meramente astratta.
>>
>> Ove si seguisse il ragionamento del rimettente, d’altro canto, ogni 
>> modifica della legge n. 117 del 1988 diverrebbe rilevante in tutti i 
>> giudizi – civili, penali e amministrativi – «con effetti distorsivi 
>> sul funzionamento dell’intero sistema giudiziario».
>>
>> 1.7.2.– Nel merito, le questioni sarebbero, in ogni caso, infondate.
>>
>> Quanto all’inserimento dell’ipotesi del «travisamento del fatto o 
>> delle prove» tra i casi di colpa di grave, detta fattispecie 
>> presenterebbe – contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente – i 
>> caratteri della «limitatezza» e della «tassatività», atti ad 
>> escludere la ventilata compromissione della serenità e imparzialità 
>> di giudizio del magistrato. L’ipotesi in discorso si porrebbe, 
>> infatti, al di fuori dell’attività valutativa cui fa riferimento la 
>> clausola di salvaguardia tuttora presente nell’art. 2, comma 2, della 
>> legge n. 117 del 1988 (in base alla quale «non può dar luogo a 
>> responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né 
>> quella di valutazione del fatto e delle prove»), rappresentandone un 
>> grave ed ingiustificato sviamento determinato da un errore di tale 
>> gravità da escluderne la scusabilità.
>>
>> Pur in presenza di possibili «spazi di sovrapposizione» con il 
>> cosiddetto errore revocatorio – ossia con le ipotesi 
>> dell’affermazione di un fatto escluso e della negazione di un fatto 
>> risultante incontestabilmente dagli atti – il concetto di 
>> travisamento conserverebbe un proprio autonomo e definito àmbito di 
>> operatività. Il travisamento potrebbe, infatti, consistere non solo 
>> nella «“svista” rappresentativa» che integra l’errore revocatorio, ma 
>> anche nello stravolgimento del dato fattuale, dovuto ad una 
>> macroscopica omissione nella percezione di fatti secondari decisivi, 
>> ovvero della regola di inferenza logica applicata.
>>
>> Nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata, il 
>> travisamento dovrebbe risultare, altresì, di assoluta evidenza: 
>> prospettiva nella quale la soluzione adottata dal legislatore si 
>> sottrarrebbe a censure anche sul piano della ragionevolezza.
>>
>> 1.7.3.– Quanto, poi, all’abrogazione del filtro di ammissibilità 
>> previsto dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988, la ratio 
>> dell’intervento andrebbe rinvenuta nella volontà del legislatore – 
>> esplicitata nell’art. 1 della legge n. 18 del 2015 – di rendere 
>> effettiva la disciplina della responsabilità civile dello Stato e dei 
>> magistrati, anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione 
>> europea. Con l’eliminazione della fase del filtro, si è inteso 
>> consentire, in specie, l’accesso diretto del danneggiato all’azione 
>> risarcitoria, tenuto conto di quanto emerso nei ventisette anni di 
>> esperienza applicativa della legge n. 117 del 1988, durante i quali 
>> solo un esiguo numero di domande risarcitorie era approdato ad un 
>> esame nel merito a cognizione piena.
>>
>> Non decisivi risulterebbero i richiami del rimettente alle 
>> affermazioni delle sentenze n. 468 del 1990 e n. 18 del 1989, circa 
>> il «rilievo» costituzionale del filtro, le quali non equivarrebbero 
>> al riconoscimento della sua indispensabilità. Al riguardo, si 
>> dovrebbe sempre tenere conto del fatto che l’azione del danneggiato è 
>> diretta contro lo Stato (unico legittimato passivo), essendo rimasta 
>> ferma, anche dopo la novella legislativa, l’impossibilità di agire 
>> direttamente contro il magistrato. Rientrerebbe, quindi, nella 
>> discrezionalità del legislatore regolare le modalità procedurali 
>> dell’azione di responsabilità, senza che le relative scelte incidano 
>> sul principio di autonomia e indipendenza della funzione 
>> giurisdizionale, adeguatamente salvaguardato dalla posizione 
>> differenziata del magistrato rispetto alla responsabilità dei 
>> pubblici dipendenti prevista dall’art. 28 Cost.
>>
>> Le citate sentenze della Corte costituzionale sono state, d’altro 
>> canto, emesse all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 117 
>> del 1988 e non potevano tener conto, quindi, né della concreta 
>> applicazione della legge da parte della giurisprudenza interna, né 
>> degli approdi della giurisprudenza comunitaria in punto di 
>> responsabilità dello Stato per l’esercizio delle funzioni giudiziarie 
>> (Corte di giustizia, 30 settembre 2003, causa C-224/01, Gerhard 
>> Köbler; Corte di giustizia, Grande Sezione, 12 giugno 2006, causa 
>> C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; Corte di giustizia, 24 novembre 
>> 2011, causa C-379/10, Commissione contro Italia).
>>
>> Privo di fondamento risulterebbe, inoltre, il timore che, in mancanza 
>> del filtro, possano trovare ingresso azioni palesemente inammissibili 
>> o infondate, idonee a provocare l’astensione del giudice o a minarne 
>> la serenità. L’azione risarcitoria si propone, infatti, contro lo 
>> Stato ed è prevista soltanto una facoltà di intervento volontario del 
>> magistrato del giudizio, con la conseguenza che non sussisterebbe un 
>> obbligo di astensione di quest’ultimo ai sensi dell’art. 51, primo 
>> comma, cod. proc. civ. (l’astensione per gravi ragioni di 
>> convenienza, prevista dal secondo comma dello stesso articolo, è 
>> meramente facoltativa ed è subordinata ad autorizzazione del capo 
>> dell’ufficio). Il magistrato non potrebbe, quindi, neppure essere 
>> ricusato dalla parte che si assume danneggiata, dato che la 
>> ricusazione può essere proposta solo nei casi in cui l’astensione è 
>> obbligatoria. La proposizione di cause pretestuose risulterebbe, per 
>> altro verso, scoraggiata dal meccanismo della «condanna aggravata» 
>> del litigante temerario, previsto dall’art. 96 cod. proc. civ.
>>
>> Il paventato rischio della sovrapposizione temporale dei due giudizi 
>> – quello da cui deriva il presunto danno e quello di responsabilità – 
>> sussisteva, d’altronde, anche in presenza del filtro, posto che i 
>> termini di definizione di tale fase non erano perentori e che i 
>> decreti di inammissibilità erano soggetti a reclamo davanti alla 
>> corte d’appello e indi a ricorso per cassazione.
>>
>> Quanto, infine, all’asserita contraddittorietà dell’eliminazione del 
>> filtro rispetto all’avvenuta introduzione di meccanismi processuali 
>> di valutazione semplificata dell’ammissibilità o della fondatezza in 
>> rapporto al giudizio di appello e al giudizio di cassazione, sarebbe 
>> sufficiente osservare che tali meccanismi attengono ai giudizi di 
>> impugnazione, mentre il filtro previsto dall’art. 5 della legge n. 
>> 117 del 1988 ineriva al giudizio di primo grado. La comparazione 
>> andrebbe semmai operata con le altre controversie disciplinate dal 
>> rito ordinario di cognizione davanti al tribunale in composizione 
>> collegiale, rispetto alle quali nessuna previa delibazione di 
>> ammissibilità è prevista.
>>
>> 1.7.4.– Riguardo alle censure inerenti alle ricadute dell’abolizione 
>> del filtro sull’azione disciplinare, risulterebbe assorbente il 
>> rilievo che, in precedenza, l’azione disciplinare non era affatto 
>> subordinata all’esito positivo della fase di filtro. L’art. 9 della 
>> legge n. 117 del 1988 prevedeva, infatti, che l’azione disciplinare 
>> fosse obbligatoriamente esercitata entro due mesi dalla comunicazione 
>> dell’ammissibilità della domanda, «salvo che non sia stata già 
>> proposta». Il superamento della fase di filtro rappresentava, dunque, 
>> un impulso obbligatorio all’azione disciplinare, ma non una 
>> condizione di ammissibilità della stessa.
>>
>> L’art. 6 della legge n. 18 del 2015 si sarebbe limitato a modificare 
>> il citato art. 9 della legge n. 117 del 1988 per renderlo coerente 
>> con l’abolizione del filtro, non avendo più senso, dopo di questa, la 
>> ricordata previsione relativa al termine di attivazione del 
>> procedimento disciplinare.
>>
>> Il timore di procedimenti disciplinari di fronte a domande 
>> manifestamente infondate non avrebbe, quindi, ragion d’essere, posto 
>> che simili procedimenti si concluderebbero con un’archiviazione.
>>
>> 1.7.5.– Per quel che attiene all’obbligatorietà dell’azione di 
>> rivalsa nei confronti del magistrato, la difesa dell’interveniente 
>> osserva come già nella previgente disciplina la doverosità 
>> dell’azione di rivalsa apparisse indubbia, alla luce delle previsioni 
>> degli artt. 7, comma 1, e 8, commi 1 e 2, della legge n. 117 del 
>> 1988. Non avrebbe avuto senso, infatti, far carico allo Stato di 
>> valutare se agire o meno in ripetizione di quanto corrisposto a causa 
>> dell’errore del magistrato (peraltro entro i limiti di responsabilità 
>> previsti dall’art. 8 di detta legge).
>>
>> Sarebbe, d’altra parte, arduo ipotizzare casi di manifesti errori di 
>> diritto, gravi violazioni di legge o travisamenti dei fatti o delle 
>> prove idonei a determinare una condanna dello Stato, ma non ad 
>> integrare la negligenza inescusabile del magistrato.
>>
>> Nessun pregio avrebbe, altresì, l’assunto del rimettente, secondo il 
>> quale l’obbligo di rivalsa sarebbe ingiustificato nel caso di 
>> transazione tra lo Stato e il danneggiato, essendo evidente che il 
>> Presidente del Consiglio dei ministri non concluderebbe mai delle 
>> transazioni su cause manifestamente infondate, con sicuro insuccesso, 
>> poi, dell’azione di rivalsa.
>>
>> Nessuna irragionevole disparità di trattamento sarebbe poi 
>> ravvisabile rispetto agli altri dipendenti pubblici, la cui posizione 
>> è palesemente diversa da quella dei magistrati, potendo i primi 
>> essere convenuti direttamente in giudizio dai danneggiati senza 
>> alcuna limitazione della responsabilità dal punto di vista economico.
>>
>> 1.7.6.– Quanto, infine, alla censura relativa alla mancata previsione 
>> dei mezzi di copertura finanziaria dei maggiori oneri derivanti 
>> dall’ampliamento delle ipotesi di responsabilità, essa risulterebbe 
>> generica e assiomatica, basandosi su una stima del tutto ipotetica 
>> dell’impatto delle nuove disposizioni in termini di aumento delle 
>> cause contro lo Stato.
>>
>> 2. – Con ordinanza dell’8 maggio 2015 (r.o. n. 218 del 2015), il 
>> Tribunale ordinario di Treviso ha sollevato questioni di legittimità 
>> costituzionale:
>>
>> a) dell’art. 7 della legge n. 117 del 1988, nella parte in cui non 
>> prevede che «non può dar luogo a responsabilità personale del singolo 
>> magistrato l’attività di interpretazione di norme di diritto né 
>> quella di valutazione del fatto e delle prove in tutti i casi di 
>> azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato stesso», 
>> per contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, 
>> Cost.;
>>
>> b) dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, nonché degli 
>> artt. «4 e/o 7» della legge n. 117 del 1988, come modificati dalla 
>> legge n. 18 del 2015, nella parte in cui «non prevedono che il 
>> Tribunale competente a decidere sull’azione di risarcimento proposta 
>> contro lo Stato e/o il Tribunale competente a decidere sull’azione di 
>> rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato verifichi con rito 
>> camerale la non manifesta infondatezza della domanda ai fini della 
>> sua ammissibilità», per contrasto con gli artt. 25, 101, 104 e 113 
>> Cost.;
>>
>> c) dell’art. 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito 
>> dall’art. 5 della legge n. 18 del 2015, «nella parte in cui prevede 
>> che l’esecuzione della rivalsa nei confronti del magistrato, quando 
>> viene effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, può comportare 
>> il pagamento per rate mensili fino ad un importo corrispondente ad un 
>> terzo, anziché ad un quinto, dello stipendio netto», per contrasto 
>> con gli artt. 3 e «101 e seguenti» Cost.
>>
>> 2.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del processo 
>> penale nei confronti di una persona imputata del reato di illegale 
>> detenzione, nel territorio dello Stato, di un rilevante quantitativo 
>> di tabacco lavorato estero.
>>
>> Riferisce, altresì, che, alla luce delle risultanze dell’istruzione 
>> dibattimentale, l’esito del giudizio dipenderebbe da un’unica 
>> questione: se si possa, cioè, ritenere provato che l’imputato sapesse 
>> che all’interno di un capannone da lui locato era custodito il 
>> tabacco di cui al capo di imputazione. Sul punto non sarebbero state 
>> acquisite prove dirette, ma solo semplici elementi indiziari. La 
>> valutazione di elementi di tal fatta risulterebbe, tuttavia, sempre 
>> particolarmente difficile e “rischiosa”, tanto che lo stesso 
>> legislatore ha subordinato la possibilità di desumere un fatto da 
>> indizi ai requisiti della gravità, precisione e concordanza di questi 
>> ultimi (art. 192 cod. proc. pen.).
>>
>> Proprio nei procedimenti nei quali i risultati probatori sono 
>> meramente indiziari – e, dunque, di più problematico apprezzamento – 
>> si manifesterebbero i riflessi negativi della nuova disciplina della 
>> responsabilità civile dei magistrati introdotta con la legge n. 18 
>> del 2015. Alcune previsioni della novella inciderebbero, infatti, sul 
>> principio del libero convincimento del giudice, il quale, per essere 
>> indipendente, deve poter valutare le prove senza temere conseguenze 
>> negative secondo l’esito del suo giudizio. La nuova disciplina, di 
>> contro, esporrebbe il giudice alle pressioni delle parti e, 
>> prevedendo come possibile fonte di responsabilità civile anche la 
>> valutazione dei fatti e delle prove, minerebbe «il cuore 
>> dell’attività giurisdizionale». Di fronte alla prospettiva di una 
>> responsabilità per danni, il giudice sarebbe portato, «per forza di 
>> cose», soprattutto nei casi più difficili, ad assumere la decisione 
>> per lui meno “rischiosa”: decisione che, nel processo penale, si 
>> identifica quasi sempre nell’assoluzione dell’imputato.
>>
>> Le questioni sarebbero, dunque, rilevanti, in quanto le norme 
>> censurate inciderebbero, nei sensi indicati, anche sulla valutazione 
>> che il rimettente è chiamato ad operare nel giudizio a quo: 
>> conclusione che troverebbe, d’altra parte, puntuale conforto nelle 
>> indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1989 
>> in precedenza ricordate.
>>
>> 2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo 
>> dubita, in primo luogo, della legittimità costituzionale dell’art. 7 
>> della legge n. 117 del 1988, come sostituito dall’art. 4 della legge 
>> n. 18 del 2015, nella parte in cui non prevede che «non può dar luogo 
>> a responsabilità personale del singolo magistrato l’attività di 
>> interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del 
>> fatto e delle prove in tutti i casi di azione di rivalsa dello Stato 
>> nei confronti del magistrato stesso».
>>
>> Il rimettente rileva come la novella del 2015, nel sostituire il 
>> comma 2 dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, abbia mantenuto 
>> fermo solo formalmente il principio per cui «nell’esercizio delle 
>> funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di 
>> interpretazione di norme di diritto né quelle di valutazione del 
>> fatto e delle prove». La nuova disposizione si apre, infatti, con una 
>> «eccezione totalizzante» («fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed i casi di 
>> dolo»), per effetto della quale la clausola di salvaguardia non opera 
>> in tutti i casi di colpa grave in cui scatta la responsabilità dello 
>> Stato e, in sede di rivalsa, del magistrato: sicché, nella sostanza – 
>> secondo il giudice a quo – «è come se la clausola non ci fosse».
>>
>> Rendere civilmente responsabile il giudice pure per la sua attività 
>> di interpretazione di norme giuridiche e di valutazione del fatto e 
>> delle prove comporterebbe, peraltro, una evidente lesione dei 
>> principi di soggezione del giudice solo alla legge (art. 101, secondo 
>> comma, Cost.) e di indipendenza della magistratura (art. 104, primo 
>> comma, Cost.). Un simile regime genererebbe, infatti, il concreto 
>> pericolo che il giudice sia portato a preferire, tra due opzioni 
>> ermeneutiche o tra due ricostruzioni probatorie dei fatti, quella che 
>> appare meno rischiosa sul piano di una eventuale responsabilità 
>> risarcitoria, tenuto conto anche del “peso” delle parti in causa. Sul 
>> piano interpretativo, inoltre, il giudice sarebbe indotto – sempre 
>> per limitare i rischi – ad uniformarsi agli indirizzi della Corte di 
>> cassazione e della giurisprudenza europea, con una surrettizia 
>> elusione della regola, desumibile dal citato art. 101, secondo comma, 
>> Cost., che esclude l’efficacia vincolante dei precedenti 
>> giurisprudenziali.
>>
>> Al fine di rendere conforme a Costituzione la nuova disciplina, 
>> sarebbe necessario – secondo il rimettente – reintrodurre la clausola 
>> di salvaguardia in rapporto all’azione di rivalsa dello Stato nei 
>> confronti del magistrato: operazione che risulterebbe pienamente 
>> rispettosa delle indicazioni della Corte di giustizia dell’Unione 
>> europea, che hanno costituito il principale stimolo alla riforma. È 
>> ben vero, infatti, che la Corte di Lussemburgo ha ritenuto 
>> incompatibile con il diritto comunitario l’esclusione della 
>> responsabilità civile nei casi in cui il danno connesso all’esercizio 
>> di funzioni giudiziarie sia dovuto ad una errata interpretazione di 
>> norme di diritto o ad una errata valutazione del fatto o delle prove 
>> (sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del 
>> Mediterraneo), ma tale affermazione – come precisato espressamente 
>> dalla sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler – si 
>> riferisce solo alla responsabilità dello Stato, e non anche alla 
>> responsabilità personale del magistrato. Alcuni passaggi delle 
>> pronunce della Corte di giustizia parrebbero, anzi, evocare necessari 
>> limiti alla responsabilità personale del giudice.
>>
>> 2.3.– Il Tribunale trevigiano dubita, in secondo luogo, della 
>> legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 
>> del 2015, che, abrogando l’art. 5 della legge n. 117 del 1988, ha 
>> eliminato qualunque filtro sulla domanda risarcitoria, nonché degli 
>> artt. «4 e/o 7» della legge n. 117 del 1988, come riformulati, «nella 
>> parte in cui non prevedono, per l’appunto, alcun meccanismo di filtro 
>> volto a delibare la manifesta infondatezza della domanda di 
>> risarcimento».
>>
>> Il rimettente denuncia innanzitutto il contrasto delle norme 
>> censurate con gli artt. 101, 104 e 113 Cost., ricordando come il 
>> «rilievo costituzionale» del meccanismo di filtro – quale strumento 
>> di salvaguardia dei valori dell’indipendenza e dell’autonomia della 
>> magistratura – fosse stato specificamente affermato dalla Corte 
>> costituzionale nelle sentenze n. 468 del 1990 e n. 18 del 1989. Il 
>> filtro apparirebbe, peraltro, ancora più necessario nel nuovo regime, 
>> essendo tutt’altro che remota la possibilità che l’azione di 
>> responsabilità venga esercitata quando il giudizio in cui si sarebbe 
>> verificato il danno pende ancora dinanzi al giudice “accusato” 
>> dell’illecito civile. È vero, infatti, che l’art. 4, comma 2, della 
>> legge n. 117 del 1988, come novellato, subordina l’esercizio 
>> dell’azione risarcitoria contro lo Stato all’esperimento dei mezzi 
>> ordinari di impugnazione o dei rimedi previsti avverso i 
>> provvedimenti cautelari e sommari, ovvero – se tali rimedi non sono 
>> previsti – all’esaurimento del grado di giudizio nell’àmbito del 
>> quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno. Il 
>> successivo comma 3 aggiunge, tuttavia, che «l’azione può essere 
>> esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il 
>> danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento 
>> nell’ambito del quale il fatto stesso si è verificato».
>>
>> La possibile sovrapposizione dei due giudizi – quello che si assume 
>> produttivo di danno e quello risarcitorio – provocherebbe, peraltro, 
>> un «grave “cortocircuito giudiziario”», che aprirebbe la strada a 
>> ricusazioni e astensioni, con conseguente lesione anche del principio 
>> del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.).
>>
>> Il rimettente lascia alla Corte costituzionale il compito di 
>> stabilire se, ai fini della tutela dei valori costituzionali evocati, 
>> il filtro debba riguardare, ab origine, la domanda di risarcimento 
>> proposta dal danneggiato contro lo Stato oppure la successiva domanda 
>> di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato.
>>
>> 2.4.– Il giudice a quo censura, infine, l’art. 8, comma 3, della 
>> legge n. 117 del 1988, come sostituito dall’art. 5 della legge n. 18 
>> del 2015, «nella parte in cui prevede che l’esecuzione della rivalsa 
>> da parte dello Stato nei confronti del magistrato, quando viene 
>> effettuata mediante trattenuta sullo stipendio, può comportare il 
>> pagamento per rate mensili fino ad un importo corrispondente ad un 
>> terzo dello stipendio».
>>
>> Il rimettente rileva come la norma tratti i magistrati in modo 
>> deteriore rispetto a tutti gli altri dipendenti pubblici, i cui 
>> emolumenti – in forza dell’art. 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 
>> (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, 
>> il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei 
>> dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni) e dell’art. 33, ottavo 
>> comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle 
>> disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello 
>> Stato) – possono formare oggetto di sequestro e di pignoramento solo 
>> nei limiti del quinto del rateo mensile.
>>
>> Tale disparità di trattamento, oltre a violare anch’essa gli artt. 
>> «101 e seguenti» Cost., togliendo serenità al magistrato, si porrebbe 
>> in contrasto con l’art. 3 Cost., risultando priva di ogni ragionevole 
>> giustificazione. Quest’ultima non potrebbe essere rinvenuta, in 
>> specie, nell’ammontare dello stipendio, essendovi notoriamente 
>> dipendenti pubblici che percepiscono stipendi più elevati di quello 
>> dei magistrati.
>>
>> 2.5.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, 
>> rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, il quale 
>> ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di 
>> rilevanza sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte in 
>> rapporto all’ordinanza r.o. n. 198 del 2015, contestandone, in ogni 
>> caso, la fondatezza nel merito.
>>
>> Quanto alle questioni aventi ad oggetto l’art. 7 della legge n. 117 
>> del 1988, la difesa dell’interveniente rileva che la cosiddetta 
>> clausola di salvaguardia non è stata eliminata dal legislatore, ma 
>> solo ridisegnata anche al fine di renderla conforme alle pronunce 
>> della Corte di giustizia dell’Unione europea. L’«erosione» della 
>> clausola sarebbe stata, d’altra parte, ragionevolmente circoscritta 
>> ai casi di «manifesto e ingiustificato esercizio non corretto 
>> dell’attività di interpretazione delle norme e di valutazione dei 
>> fatti e delle prove».
>>
>> Infondate sarebbero anche le questioni inerenti all’abolizione del 
>> filtro di ammissibilità, previsto dall’art. 5 della legge n. 117 del 
>> 1988, per le stesse ragioni indicate in rapporto all’ordinanza r.o. 
>> n. 198 del 2015. Con particolare riguardo all’assunto del rimettente, 
>> secondo il quale la Corte costituzionale dovrebbe valutare se il 
>> filtro sia indispensabile in relazione alla causa contro lo Stato 
>> ovvero solo per l’azione di rivalsa, l’Avvocatura generale dello 
>> Stato aggiunge che la presenza del filtro nell’azione di rivalsa non 
>> avrebbe, in realtà, alcun senso, tanto da non essere prevista neppure 
>> nella previgente disciplina.
>>
>> Quanto, infine, alle questioni inerenti alla misura della rivalsa, 
>> nel caso di esecuzione mediante trattenuta sullo stipendio, le 
>> posizioni poste a confronto dal rimettente – quella del magistrato e 
>> quella degli altri dipendenti pubblici – sarebbero palesemente 
>> diverse e non comparabili.
>>
>> 3.– Con ordinanza del 6 febbraio 2016 (r.o. n. 113 del 2016), il 
>> Tribunale ordinario di Catania ha sollevato questioni di legittimità 
>> costituzionale:
>>
>> a) dell’art. 7 della legge n. 117 del 1988, come sostituito dall’art. 
>> 4, comma 1, della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui prevede 
>> che l’azione di rivalsa sia esperibile anche nelle ipotesi di 
>> ritenuto «travisamento del fatto o delle prove di cui all’art. 2, 
>> commi 2, 3», per contrasto con gli artt. 3, 24, 28 e «101-113» Cost.;
>>
>> b) dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, che ha abrogato 
>> l’art. 5 della legge n. 117 del 1988, per contrasto con gli artt. 3 e 
>> «101-113» Cost.;
>>
>> c) dell’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificato 
>> dall’art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui 
>> prevede l’obbligo del titolare dell’azione disciplinare di procedere 
>> nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa 
>> all’azione di risarcimento, a seguito della proposizione dell’azione 
>> risarcitoria, indipendentemente dall’esito della domanda, per 
>> contrasto con gli artt. 3, e «101-113» Cost.;
>>
>> d) dell’art. 4, comma 3, della legge n. 117 del 1988, per contrasto 
>> con gli artt. 3 e «101-113» Cost.;
>>
>> e) dell’art. 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito 
>> dall’art. 5, comma 1, della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui 
>> prevede che la rivalsa, ove effettuata mediante trattenuta sullo 
>> stipendio, possa comportare il pagamento per rate mensili fino ad 
>> importo corrispondente ad un terzo dello stipendio netto, anziché ad 
>> un quinto, per contrasto con gli artt. 3, 101 e 111 Cost.
>>
>> 3.1.– Il giudice a quo riferisce di essere investito dell’opposizione 
>> proposta da un datore di lavoro avverso l’ordinanza – emessa dallo 
>> stesso Tribunale, nella medesima composizione monocratica – con la 
>> quale, in parziale accoglimento del ricorso proposto da una 
>> lavoratrice contro il licenziamento per giusta causa, era stata 
>> disposta la reintegrazione della medesima nel posto di lavoro a norma 
>> dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela 
>> della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale, nei 
>> luoghi di lavoro e norme sul collocamento).
>>
>> L’ordinanza opposta, pur dando atto dell’esistenza di elementi 
>> indiziari a carico della lavoratrice, li aveva ritenuti non 
>> sufficienti per considerare provati gli addebiti a questa mossi 
>> (impossessamento illecito di beni commercializzati dal datore di 
>> lavoro), per difetto dei caratteri dell’univocità e della concordanza 
>> (art. 2729 cod. civ.).
>>
>> L’opponente aveva censurato aspramente l’ordinanza, sostenendo che 
>> essa avesse disatteso risultanze decisive dell’istruttoria con 
>> affermazioni contrarie «alla logica e al buon senso, prima ancora che 
>> ai principi di diritto», dovendo l’ordinanza stessa, «all’evidenza», 
>> «smontare tutte le prove raccolte per dar credito alla tesi 
>> dell’opposta».
>>
>> Alla prima udienza di discussione, lo stesso opponente, rilevata 
>> l’identità fisica tra il giudice della fase sommaria e il giudice 
>> dell’opposizione, aveva proposto istanza di ricusazione ai sensi 
>> dell’art. 51, numero 4), cod. proc. civ.: istanza rigettata, 
>> tuttavia, dal collegio, sul rilievo che la fase di opposizione, 
>> prevista dall’art. 1, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92 
>> (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una 
>> prospettiva di crescita), non costituisce un giudizio di 
>> impugnazione, ma un giudizio ordinario di cognizione in materia di 
>> lavoro.
>>
>> Riassunta la causa, le parti avevano chiesto un rinvio per la 
>> discussione, ritenendo esaustiva l’istruttoria già espletata nella 
>> fase sommaria. Nelle more, era entrata, peraltro, in vigore la legge 
>> n. 18 del 2015.
>>
>> Tanto premesso, il rimettente rileva come l’oggetto del giudizio di 
>> cui è investito sia costituito dalla conferma, o meno, della 
>> decisione assunta nella fase preliminare, sulla base di una nuova 
>> valutazione dello stesso materiale probatorio. Rileva, altresì, come 
>> i vizi che l’opponente addebita all’ordinanza opposta possano essere 
>> ricondotti alla nozione, particolarmente generica, di «travisamento 
>> del fatto o delle prove». Sarebbe, quindi, del tutto verosimile che 
>> il medesimo addebito verrebbe mosso dalla parte opponente alla 
>> decisione di conferma del provvedimento. La stessa lavoratrice, 
>> peraltro, in caso di accoglimento delle tesi avversarie, potrebbe a 
>> sua volta ravvisare un omologo vizio. Sussisterebbe, dunque, la 
>> «reale e tangibile probabilità» che qualsiasi decisione possa essere 
>> contestata «per ritenuto “travisamento del fatto o delle prove”»: 
>> ipotesi, questa, oggi rientrante nei casi di «colpa grave», 
>> costituenti presupposto tanto dell’azione risarcitoria nei confronti 
>> dello Stato per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni 
>> giudiziarie, quanto della successiva azione di rivalsa nei confronti 
>> del magistrato.
>>
>> La novella legislativa del 2015 ha anche stabilito che l’azione 
>> risarcitoria dia subito luogo ad un giudizio a cognizione piena, 
>> essendo stato abolito il filtro di ammissibilità già previsto 
>> dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988; che il titolare dell’azione 
>> disciplinare debba attivarsi indipendentemente da un esito della 
>> domanda risarcitoria; che la misura delle somme ripetibili dallo 
>> Stato attraverso la trattenuta sullo stipendio del magistrato sia 
>> elevata ad un terzo (art. 8 della legge n. 117 del 1988, come 
>> novellato); che l’azione risarcitoria, decorsi tre anni, sia 
>> esperibile ove il grado di giudizio nel quale il fatto si è 
>> verificato non risulti esaurito (art. 4, comma 3, della legge n. 117 
>> del 1988, come novellato).
>>
>> Tale complesso di disposizioni sarebbe direttamente rilevante nel 
>> giudizio a quo – considerati i termini della controversia – in quanto 
>> idoneo a pregiudicare la serenità del giudizio, l’imparzialità ed il 
>> libero convincimento di esso rimettente: il timore di poter subire 
>> svantaggi – anche solo sul piano dell’esigenza di svolgere «una 
>> considerevole attività difensiva» – potrebbe indurre, infatti, il 
>> giudice, «anche inconsapevolmente o in maniera del tutto istintiva, 
>> ad adottare una decisione, anziché un’altra, non perché ritenuta più 
>> corretta […], ma solo perché, per lui, meno rischiosa».
>>
>> Né varrebbe obiettare che la decisione emananda è suscettibile di 
>> impugnazione, posto che, nel caso di conferma della sentenza nei 
>> successivi gradi di giudizio, l’eventuale domanda risarcitoria 
>> riguarderebbe, comunque sia, anche e innanzitutto, l’operato del 
>> giudice di primo grado.
>>
>> Le conclusioni ora esposte sarebbero, d’altronde, conformi – anche 
>> secondo il Tribunale di ordinario di Catania – alle affermazioni 
>> contenute nella sentenza n. 18 del 1989 della Corte costituzionale.
>>
>> 3.2.– Ciò posto, il giudice a quo dubita, anzitutto, della 
>> legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n. 117 del 1988, 
>> come sostituito dall’art. 4, comma 1, della legge n. 18 del 2015, 
>> nella parte in cui prevede che l’azione di rivalsa sia esperibile 
>> anche nelle ipotesi di ritenuto «travisamento del fatto o delle prove 
>> di cui all’art. 2, commi 2, 3».
>>
>> Ad avviso del rimettente, la disposizione violerebbe l’art. 3 Cost., 
>> riducendo irragionevolmente, se non addirittura eliminando, «il 
>> carattere tassativo delle ipotesi per le quali il magistrato, 
>> nell’attività di valutazione del fatto o delle prove, può essere 
>> convenuto civilmente in sede di rivalsa»: carattere di fronte al 
>> quale la giurisprudenza costituzionale (e, in particolare, la 
>> sentenza n. 18 del 1989) aveva escluso che l’originario impianto 
>> della legge n. 117 del 1988 si esponesse a rilievi sul piano della 
>> legittimità costituzionale.
>>
>> La formula «travisamento del fatto o delle prove» – evidentemente non 
>> riferibile alle ipotesi dell’affermazione o della negazione di un 
>> fatto incontrastabilmente escluso o emergente dagli atti del 
>> procedimento, già originariamente contemplate dalla legge n. 117 del 
>> 1988 e da essa tuttora menzionate – risulterebbe, infatti, generica 
>> ed ambigua, apparendo idonea a ricomprendere un numero indefinito di 
>> casi e prestandosi, perciò, a letture soggettive e opinabili.
>>
>> L’ipotesi di responsabilità in questione rischierebbe, quindi, di 
>> instaurare «una sorta di “contro-processo”», sovrapponendo al 
>> giudizio del giudice naturale precostituito per la definizione della 
>> controversia quello di altro giudice, con sostanziale soppressione 
>> della clausola di salvaguardia pure formalmente ribadita dall’art. 2, 
>> comma 2, della legge n. 117 del 1988, volta a tutelare 
>> «l’indipendenza del giudice nel cuore della propria attività» (quella 
>> di valutazione del fatto e delle prove).
>>
>> La norma censurata violerebbe anche il «principio di legalità» 
>> desumibile dalle previsioni degli artt. 28 e 101 Cost., in forza del 
>> quale dovrebbe essere il legislatore a stabilire in quali casi il 
>> giudice è civilmente responsabile. Con l’adozione di formule così 
>> generiche quale quella censurata, il predetto compito verrebbe, di 
>> fatto, delegato al giudice dell’azione risarcitoria, con conseguente 
>> rischio di affermazioni di responsabilità basate semplicemente sulla 
>> mancata condivisione dei criteri valutativi e interpretativi 
>> applicati nel giudizio che si assume produttivo di danno.
>>
>> Sarebbero violati, ancora, i principi di indipendenza ed autonomia 
>> del giudice «di cui agli artt. 101-113 Cost.». La mera possibilità 
>> che il giudice sia sottoposto ad azione di rivalsa per aver 
>> “travisato” il materiale probatorio o il fatto genera il pericolo che 
>> egli sia indotto a scegliere, tra più opzioni disponibili, non quella 
>> ritenuta più giusta, ma quella che appare «meno rischiosa», favorendo 
>> così – in contrasto con il principio del libero convincimento – 
>> «atteggiamenti remissivi o conformisti».
>>
>> In questo modo, il giudice verrebbe anche privato – in contrasto con 
>> l’art. 111 Cost. – della sua terzietà, perdendo la propria necessaria 
>> “indifferenza” rispetto alle parti e alla causa. Il timore di 
>> pregiudizi personali lo porterebbe, infatti, «istintivamente» ad 
>> adottare soluzioni “accomodanti”, tanto più quando taluna delle parti 
>> vanti particolari risorse economiche od ostenti «atteggiamenti audaci 
>> ovvero velatamente minacciosi».
>>
>> Il pericolo di condizionamenti non è escluso dal fatto che, in base 
>> alla norma denunciata, l’azione di rivalsa deve essere esercitata 
>> solo se il travisamento del fatto o delle prove siano stati 
>> determinati da dolo o da «negligenza inescusabile». Tale condizione 
>> non è, infatti, prevista dall’art. 2, comma 3, della legge n. 117 del 
>> 1988, nel testo vigente, ai fini della proponibilità dell’azione 
>> risarcitoria nei confronti dello Stato. Di conseguenza, il mero 
>> risarcimento del danno per ritenuto travisamento assoggetterebbe il 
>> giudice alla decisione del Presidente del Consiglio dei ministri di 
>> attivare l’azione di rivalsa, potendo ogni ulteriore valutazione 
>> dell’elemento soggettivo rilevare in tale sede. In ogni caso, il 
>> presunto travisamento potrebbe attenere ad una attività di 
>> valutazione che il giudice ha svolto con perfetta consapevolezza, 
>> nell’adempimento del suo dovere di decidere secondo il proprio 
>> convincimento: sicché egli potrebbe essere chiamato a rispondere 
>> addirittura per aver travisato il fatto con dolo.
>>
>> Per superare gli esposti rilievi non si potrebbe far leva sugli 
>> indirizzi della giurisprudenza comunitaria, secondo i quali 
>> l’esclusione della responsabilità civile, nei casi di danno 
>> determinato da un’errata interpretazione di norme di diritto o di 
>> valutazione del fatto o delle prove, non è compatibile con il diritto 
>> dell’Unione europea. L’affermazione riguarda, infatti, la sola 
>> responsabilità dello Stato e non investe la responsabilità del 
>> singolo giudice, rispetto alla quale, anzi, lo stesso Comitato dei 
>> ministri del Consiglio d’Europa – con la raccomandazione CM/Rec(2010) 
>> 12 del 17 novembre 2010 – ha sollecitato gli Stati aderenti ad 
>> evitare aggravamenti suscettibili di minacciare un esercizio della 
>> funzione giurisdizionale conforme ai principi dello Stato di diritto. 
>> Le limitazioni apposte dalla legge n. 18 del 2015 alla clausola di 
>> salvaguardia («Fatti salvi i commi 3 e 3-bis») sarebbero quindi 
>> giustificabili in rapporto alla responsabilità dello Stato, ma non in 
>> relazione alla responsabilità del giudice.
>>
>> 3.3.– Il Tribunale etneo dubita, altresì, della legittimità 
>> costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, che 
>> abroga l’art. 5 della legge n. 117 del 1988.
>>
>> L’eliminazione, «senza […] appositi bilanciamenti», del filtro di 
>> ammissibilità sulla domanda risarcitoria previsto dalla norma 
>> abrogata violerebbe i principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di 
>> indipendenza e autonomia della magistratura (artt. «101-113» Cost.). 
>> In occasione dello scrutinio dell’impianto originario della legge n. 
>> 117 del 1988, la Corte costituzionale aveva, infatti, posto in 
>> rilievo come il meccanismo fosse indispensabile al fine di garantire 
>> i valori costituzionali evocati, ponendo al riparo il magistrato da 
>> azioni temerarie e intimidatorie (sentenze n. 468 del 1990 e n. 18 
>> del 1989).
>>
>> La soppressione del filtro non potrebbe essere logicamente 
>> giustificata con la supposizione che l’istituto abbia favorito, in 
>> passato, atteggiamenti «di tipo corporativo», posto che analoghi 
>> atteggiamenti potrebbero, comunque sia, manifestarsi, dopo la sua 
>> scomparsa, nelle sedi di merito. L’intervento sarebbe contrario, per 
>> converso, alle esigenze di deflazione e di efficienza del sistema, 
>> creando fenomeni di congestione degli uffici giudiziari competenti 
>> sulle domande risarcitorie.
>>
>> Nell’attuale sistema, d’altro canto, qualsiasi domanda risarcitoria, 
>> indipendentemente dalla sua fondatezza, esporrebbe il giudice a 
>> pregiudizi di carattere non patrimoniale, dovendo egli preoccuparsi 
>> di predisporre un’adeguata difesa, eventualmente già come 
>> interveniente nel giudizio risarcitorio ai sensi dell’art. 6 della 
>> legge n. 117 del 1988. Di qui un ulteriore possibile stimolo a scelte 
>> accomodanti e arrendevoli.
>>
>> 3.4.– Il rimettente censura ancora, per violazione dei medesimi 
>> parametri costituzionali, l’art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 
>> 1988, come sostituito dall’art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 
>> 2015, nella parte in cui prevede l’obbligo del titolare dell’azione 
>> disciplinare di procedere nei confronti del magistrato per i fatti 
>> che hanno dato causa all’azione di risarcimento, a seguito della mera 
>> proposizione di quest’ultima, indipendentemente dall’esito della 
>> domanda.
>>
>> Tale modifica – conseguente alla soppressione del filtro di 
>> ammissibilità – violerebbe anch’essa i principi di indipendenza, 
>> terzietà ed imparzialità del giudice, facendo sì che quest’ultimo 
>> possa risultare esposto contemporaneamente, a seguito della mera 
>> proposizione della domanda risarcitoria, «a più oneri difensivi, sia 
>> in sede risarcitoria che in sede disciplinare, anche in chiave 
>> meramente preventiva», con conseguenti rischi di condizionamento 
>> della sua serenità di giudizio.
>>
>> La norma violerebbe, altresì, l’art. 3 Cost., apparendo irragionevole 
>> imporre l’avvio del procedimento disciplinare a prescindere da ogni 
>> valutazione di fondatezza della domanda risarcitoria, con il 
>> risultato di provocare intuibili disfunzioni sia presso l’ufficio del 
>> giudice coinvolto (le cui energie verrebbero distolte dall’esigenza 
>> di curare le proprie difese), sia presso l’ufficio titolare 
>> dell’azione disciplinare.
>>
>> 3.5.– Il rimettente ventila, poi, l’illegittimità costituzionale 
>> dell’art. 4, comma 3, della legge n. 117 del 1988, ove si stabilisce 
>> – in deroga alla regola generale enunciata dal comma 2 dello stesso 
>> articolo – che l’azione risarcitoria può essere esercitata decorsi 
>> tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno, se in tale 
>> termine non si è concluso il grado del procedimento nell’àmbito del 
>> quale il fatto stesso si è verificato.
>>
>> La norma denunciata violerebbe gli artt. 3 e «101-113» Cost., in 
>> quanto idonea «a turbare la serenità, l’indipendenza e, dunque, 
>> l’imparzialità del giudice». Questi, nell’ipotesi di prolungamento 
>> del giudizio nel medesimo grado oltre i tre anni, potrebbe, infatti, 
>> veder promossa un’azione risarcitoria riferita ad un proprio 
>> provvedimento interinale, pur essendo ancora investito della causa. 
>> In questo modo, la serenità del giudicante – chiamato a confermare le 
>> valutazioni interinali cui è riferita la domanda risarcitoria – 
>> risulterebbe del tutto compromessa. Il condizionamento dell’autonomia 
>> di giudizio – acuito dall’avvenuta abolizione del filtro di 
>> ammissibilità su detta domanda – potrebbe, peraltro, estendersi anche 
>> al giudice del grado successivo, chiamato a verificare la correttezza 
>> dell’operato del primo giudice.
>>
>> La soluzione costituzionalmente corretta – anche in un’ottica di 
>> bilanciamento degli interessi contrapposti – sarebbe, per converso, 
>> quella di differire, in ogni caso, l’esperibilità dell’azione 
>> risarcitoria al momento in cui il provvedimento che si assume dannoso 
>> non sia più modificabile.
>>
>> 3.6.– Con i medesimi parametri costituzionali si porrebbe in 
>> contrasto, da ultimo, anche l’art. 8, comma 3, della legge n. 117 del 
>> 1988, come sostituito dall’art. 5, comma 1, della legge n. 18 del 
>> 2015, nella parte in cui prevede che la rivalsa, ove effettuata 
>> mediante trattenuta sullo stipendio, possa comportare il pagamento 
>> per rate mensili fino ad un importo corrispondente ad un terzo dello 
>> stipendio netto, anziché ad un quinto.
>>
>> La norma censurata discriminerebbe, infatti, irragionevolmente i 
>> magistrati rispetto agli altri dipendenti pubblici – le cui 
>> retribuzioni, a mente degli artt. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950 e 3, 
>> ottavo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957, sono sequestrabili e 
>> pignorabili solo fino a concorrenza di un quinto – perturbando, una 
>> volta ancora, con il timore di una così rilevante compressione dei 
>> propri emolumenti, il sereno svolgimento delle loro funzioni.
>>
>> 3.7.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, 
>> rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, 
>> eccependo l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, 
>> sulla base di considerazioni analoghe a quelle già svolte in rapporto 
>> alle precedenti ordinanze di rimessione.
>>
>> Le questioni sarebbero, in ogni caso, infondate.
>>
>> Con riguardo alle prime tre delle cinque norme censurate, la difesa 
>> dell’interveniente ripropone argomenti similari a quelli prospettati 
>> nei precedenti atti di intervento. In particolare, con riguardo alle 
>> questioni concernenti l’art. 7 della legge n. 117 del 1988, ribadisce 
>> che il concetto di «travisamento» non sarebbe affatto ambiguo e 
>> generico e, soprattutto, esulerebbe dall’àmbito dell’attività 
>> valutativa, rappresentandone un grave e ingiustificato sviamento. La 
>> circostanza, poi, che l’azione di rivalsa presupponga, a mente della 
>> disposizione censurata, il dolo o la negligenza inescusabile del 
>> magistrato escluderebbe senz’altro il rischio che questi possa essere 
>> chiamato a rispondere civilmente per la mera «non condivisione» dei 
>> criteri valutativi e interpretativi da lui applicati. Del tutto 
>> infondato sarebbe, altresì, l’assunto del rimettente stando al quale 
>> la consapevole scelta della decisione da parte del giudice potrebbe 
>> addirittura integrare il «dolo». Quest’ultimo si configurerebbe, 
>> infatti, solo nei casi di scelte contra legem perché frutto di 
>> interessi o di accordi illeciti, e non perché si tratti di scelte 
>> «consapevoli».
>>
>> Riguardo, poi, alle questioni che investono l’art. 4, comma 3, della 
>> legge n. 117 del 1988, l’Avvocatura generale dello Stato rileva come 
>> sia comprensibile e ragionevole che, a tutela del danneggiato, sia 
>> prevista la possibilità di agire per il risarcimento quando il grado 
>> di giudizio non si sia concluso nel termine di tre anni. Il 
>> riconoscimento di tale facoltà – peraltro di rara esplicazione 
>> pratica – trova, infatti, giustificazione nella irragionevole durata 
>> del grado del procedimento in cui si è verificato il fatto dannoso. 
>> La circostanza che penda una causa risarcitoria contro lo Stato non 
>> dovrebbe, d’altra parte, in alcun modo intaccare la serenità di 
>> giudizio del magistrato che ha operato secondo diligenza.
>>
>> Infondate, da ultimo, risulterebbero anche le questioni relative 
>> all’esecuzione della rivalsa, per le stesse ragioni già indicate in 
>> rapporto alle omologhe questioni sollevate dal Tribunale ordinario di 
>> Treviso.
>>
>> 4.– Con ordinanza del 25 febbraio 2016 (r.o. n. 126 del 2016), il 
>> Tribunale ordinario di Enna ha sollevato questioni di legittimità 
>> costituzionale:
>>
>> a) dell’art. 2, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito 
>> dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 18 del 2015, nella 
>> parte in cui, secondo il diritto vivente, configurerebbe come «colpa 
>> grave» del magistrato, per «violazione manifesta del diritto», 
>> l’adozione di un’interpretazione di norme di diritto contrastante con 
>> quella adottata dalla Corte costituzionale in una pronuncia 
>> interpretativa di rigetto, resa in un diverso processo, per 
>> violazione degli artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, 107, 
>> terzo comma, e 134 Cost.;
>>
>> b) dell’art. 2, comma 2, della legge n. 117 del 1988, come sostituito 
>> dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 18 del 2015, nella 
>> parte in cui, secondo il diritto vivente, non estenderebbe la 
>> clausola di esclusione della responsabilità per l’«interpretazione 
>> delle norme di diritto» anche all’ipotesi in cui l’interpretazione 
>> accolta dal giudice sia in contrasto con quella adottata dalla Corte 
>> costituzionale in una pronuncia interpretativa di rigetto, resa in un 
>> diverso processo, per violazione degli artt. 101, secondo comma, 104, 
>> primo comma, 107, terzo comma, e 134 Cost.
>>
>> 4.1.– Il giudice a quo premette di essere investito del giudizio di 
>> opposizione a un decreto ingiuntivo, emesso per il pagamento della 
>> somma di euro 13.679,92 a titolo di regresso nell’àmbito di un 
>> contratto di fideiussione.
>>
>> Il debitore ingiunto aveva dedotto, a fondamento dell’opposizione, 
>> l’usurarietà degli interessi applicati dalla banca garantita sulle 
>> rate di mutuo rimaste inadempiute, per il cui pagamento era stato 
>> escusso il fideiussore ingiungente. Quest’ultimo, nel costituirsi in 
>> giudizio, aveva contestato le avverse deduzioni, aveva chiesto di 
>> chiamare in causa la banca e, infine, aveva fatto istanza per la 
>> concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
>>
>> Con riguardo a tale ultima istanza, il rimettente rileva che 
>> l’opposizione – oltre a non apparire di pronta soluzione – non 
>> risulta neppure fondata su prova scritta. Alla luce del tenore 
>> letterale dell’art. 648, primo comma, cod. proc. civ., ciò dovrebbe 
>> portare all’accoglimento della richiesta dell’ingiungente, impedendo 
>> una rivalutazione in fase di opposizione della prova documentale da 
>> questi offerta in sede monitoria: soluzione che risulterebbe conforme 
>> al principio di ragionevole durata del processo, apparendo 
>> «superfluo» e illogico sottoporre a due diversi giudici la 
>> valutazione delle stesse prove, in un ristretto arco temporale.
>>
>> La Corte costituzionale, tuttavia, con una pronuncia interpretativa 
>> di rigetto – l’ordinanza n. 295 del 1989 – ha offerto una diversa 
>> lettura della disposizione, affermando che anche «nel procedimento di 
>> opposizione a decreto ingiuntivo, non fondata su prova scritta, la 
>> concessione della provvisoria esecuzione […] deve ovviamente essere 
>> esercitata – come in ogni ipotesi di misura avente (anche) natura 
>> cautelare – attraverso la congiunta valutazione del fumus boni iuris 
>> e del periculum in mora». La riconduzione del provvedimento previsto 
>> dall’art. 648 cod. proc. civ. nell’alveo dei provvedimenti lato sensu 
>> cautelari, quindi, legittimerebbe – secondo la Corte – una 
>> rivalutazione dell’intero materiale offerto dalla parte creditrice 
>> anche di fronte a un’opposizione non fondata su prova scritta.
>>
>> In una simile situazione, verrebbero in rilievo, ai fini della 
>> decisione che il giudice a quo è chiamato ad assumere, alcune delle 
>> disposizioni della legge n. 117 del 1988 – e, in particolare, il suo 
>> art. 2, commi 2 e 3 – «così come interpretate dal diritto vivente 
>> della Corte di cassazione».
>>
>> Secondo il rimettente, le sezioni unite civili della Corte di 
>> cassazione avrebbero infatti affermato, con la sentenza 16 dicembre 
>> 2013, n. 27986, che le pronunce interpretative di rigetto della Corte 
>> costituzionale hanno effetto vincolante nei confronti di tutti i 
>> giudici comuni, e non solo del giudice che ha sollevato l’incidente 
>> di costituzionalità. Con altra pronuncia (sezione terza civile, 5 
>> novembre 2013, n. 24798), la Corte di cassazione avrebbe, altresì, 
>> ritenuto che l’adozione di una soluzione interpretativa rifiutata 
>> dalla Corte costituzionale in una pronuncia interpretativa di rigetto 
>> costituisca, per il giudice, una «grave violazione di legge 
>> determinata da negligenza inescusabile», ai sensi dell’originario 
>> testo dell’art. 2, comma 3, lettera a), della legge n. 117 del 1988: 
>> affermazione riferita proprio a fattispecie nella quale il giudice si 
>> era discostato dall’interpretazione adottata dalla citata ordinanza 
>> della Corte costituzionale n. 295 del 1989, in punto di presupposti 
>> per la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.
>>
>> Sulla ricordata conclusione non inciderebbero le modifiche normative 
>> operate dalla legge n. 18 del 2015: la nozione di «manifesta 
>> violazione della legge», utilizzata dalla novella, sarebbe infatti 
>> sovrapponibile a quella di «grave violazione di legge», da essa 
>> sostituita.
>>
>> Di conseguenza, per non incorrere in responsabilità, il giudice a quo 
>> dovrebbe – a suo avviso – scartare a priori una delle possibili 
>> opzioni interpretative dell’art. 648 cod. proc. civ. (la prima dianzi 
>> prospettata). Una motivazione che disattendesse expressis verbis 
>> l’interpretazione accolta dall’ordinanza n. 295 del 1989 esporrebbe 
>> il rimettente – sempre secondo la sua ricostruzione – addirittura ad 
>> una responsabilità diretta nei confronti delle parti, potendosi 
>> configurare una ipotesi di dolo.
>>
>> Di qui, dunque, la rilevanza delle questioni, anche alla luce dei 
>> principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18 
>> del 1989 e implicitamente ribaditi – a parere del rimettente – nella 
>> sentenza n. 237 del 2013.
>>
>> 4.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale di Enna 
>> assume che le norme censurate – nella parte in cui, secondo il 
>> «diritto vivente», configurano come ipotesi di «colpa grave» del 
>> giudice l’adozione di una interpretazione contrastante con quella 
>> adottata dalla Corte costituzionale in una pronuncia interpretativa 
>> di rigetto resa in un diverso processo – violerebbero i principi di 
>> soggezione del giudice soltanto alla legge e di indipendenza della 
>> magistratura, espressi dagli artt. 101, secondo comma, 104, primo 
>> comma, e 107, terzo comma, Cost.
>>
>> Detti principi, sottraendo il giudice ad ogni vincolo gerarchico, 
>> escluderebbero che possa attribuirsi efficacia vincolante ad 
>> interpretazioni di disposizioni di legge provenienti da giurisdizioni 
>> superiori, compresa la Corte costituzionale. Diversamente opinando, 
>> si attribuirebbe alla Corte – in violazione dell’art. 134 Cost. – una 
>> «funzione nomofilattica», riconoscendo a tale organo, non solo il 
>> potere di dichiarare erga omnes l’incompatibilità della legge con la 
>> Costituzione, ma anche il «monopolio interpretativo della 
>> compatibilità tra legge e Costituzione».
>>
>> 4.3.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei 
>> ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello 
>> Stato, eccependo l’inammissibilità della questione per difetto di 
>> rilevanza.
>>
>> Le norme della cui compatibilità costituzionale si dubita verrebbero, 
>> infatti, in rilievo solo in linea teorica ed eventuale, qualora il 
>> giudice a quo decidesse di disattendere il richiamato orientamento 
>> della Corte costituzionale. Peraltro, il Tribunale rimettente non 
>> avrebbe neppure indicato le ragioni che dovrebbero indurlo ad una 
>> simile opzione.
>>
>> Ove pure, poi, il giudice a quo si ritenesse vincolato 
>> all’interpretazione della Corte costituzionale riguardo alla natura 
>> del giudizio sulla concessione della provvisoria esecuzione del 
>> decreto ingiuntivo, potrebbe pur sempre sollevare questione di 
>> legittimità costituzionale dell’art. 648 cod. proc. civ. Questa 
>> soltanto sarebbe, in effetti, la norma rilevante nel giudizio a quo, 
>> e non già le disposizioni sulla responsabilità civile dei magistrati. 
>> Nella stessa sentenza delle sezioni unite civili della Corte di 
>> cassazione citata dal rimettente si afferma specificamente, del 
>> resto, che il vincolo che deriva, sia per il giudice a quo che per 
>> tutti i giudici comuni, dalle pronunce interpretative di rigetto è 
>> solo negativo, consistendo nell’imperativo di non applicare la 
>> “norma” ritenuta non conforme al parametro scrutinato dalla Corte 
>> costituzionale. Non è preclusa, invece, la possibilità di seguire 
>> “terze interpretazioni” ritenute compatibili con la Costituzione, 
>> oppure di sollevare nuovamente, in diversi gradi dello stesso 
>> processo a quo o in diversi processi, la questione di legittimità 
>> costituzionale della medesima disposizione sulla base 
>> dell’interpretazione rifiutata dalla Corte costituzionale.
>>
>> Non pertinente risulterebbe, altresì, il richiamo del giudice a quo 
>> alla sentenza della Corte di cassazione n. 24798 del 2013, 
>> concernente una fattispecie nella quale il giudice aveva negato 
>> l’esistenza del fumus boni iuris, concedendo, ciò nondimeno, la 
>> provvisoria esecuzione del decreto opposto.
>>
>> Nel merito, la questione sarebbe, ad ogni modo, infondata. La 
>> clausola di salvaguardia, in base alla quale «non può dar luogo a 
>> responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né 
>> quella di valutazione del fatto e delle prove», sarebbe rimasta 
>> inalterata nell’impianto della legge n. 117 del 1988 anche dopo le 
>> modifiche di cui alla legge n. 18 del 2015, «salva la sua erosione 
>> derivante anche dagli interventi della Corte di Giustizia dell’Unione 
>> Europea». In ogni caso, tale clausola cesserebbe di operare nei casi 
>> di «manifesto ed ingiustificato esercizio non corretto dell’attività 
>> di interpretazione delle norme», quale quello del giudice che si 
>> discostasse immotivatamente dal diritto vivente e dall’unica opzione 
>> ermeneutica suggerita dalla Corte costituzionale come legittima, 
>> senza sollevare un nuovo incidente di costituzionalità.
>>
>> 5.– Con ordinanza del 10 maggio 2016 (r.o. n. 130 del 2016), il 
>> Tribunale ordinario di Genova ha sollevato questioni di legittimità 
>> costituzionale dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, che 
>> ha abrogato l’art. 5 della legge n. 117 del 1988, per contrasto con 
>> gli artt. 3, 25, 101, 104 e 111 Cost.
>>
>> 5.1.– Il Tribunale premette di essere investito della causa civile 
>> per risarcimento del danno promossa nei confronti del Presidente del 
>> Consiglio dei ministri, con ricorso depositato il 2 aprile 2015, da 
>> una persona che si assume danneggiata dall’operato di alcuni giudici 
>> del Tribunale di Firenze e della Corte d’appello di Firenze. Il 
>> ricorrente si era lamentato del fatto che il Tribunale fiorentino, 
>> con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello, avesse dichiarato 
>> il fallimento di una società in accomandita semplice e del ricorrente 
>> stesso, quale socio illimitatamente responsabile, senza che gli fosse 
>> stato dato valido avviso dell’udienza a seguito della quale il 
>> fallimento era stato pronunciato. Il ricorso per cassazione 
>> dell’interessato era stato accolto con sentenza del maggio 2013, che 
>> aveva annullato la sentenza di fallimento rimettendo gli atti al 
>> giudice di primo grado. Nel 2011, peraltro – e, dunque, prima ancora 
>> della pronuncia della Corte di cassazione – il fallimento era stato 
>> chiuso per mancanza di attivo.
>>
>> L’Avvocatura dello Stato, nel giudizio a quo, aveva contestato la 
>> pretesa del ricorrente, eccependo l’inammissibilità della domanda 
>> sotto un duplice profilo: da un lato, per tardività, in quanto, 
>> trattandosi di fallimento chiuso nel 2011, il ricorso sarebbe stato 
>> depositato oltre il termine previsto a pena di decadenza dalla legge 
>> n. 117 del 1988; dall’altro, per mancato esperimento di tutti i mezzi 
>> di impugnazione, non avendo il ricorrente riassunto il giudizio dopo 
>> l’annullamento con rinvio della decisione della Corte d’appello. Nel 
>> merito, la difesa dello Stato aveva negato la sussistenza dei vizi 
>> procedurali denunciati dal ricorrente.
>>
>> Il giudice istruttore – sul presupposto che l’abolizione del filtro 
>> di ammissibilità, disposta dall’art. 3, comma 2, della legge n. 18 
>> del 2015, dovesse ritenersi inoperante in rapporto alle domande 
>> risarcitorie proposte dopo l’entrata in vigore della novella, ma per 
>> illeciti anteriori ad essa (quale quella in esame) – aveva rimesso le 
>> parti davanti al collegio per la deliberazione preliminare di 
>> ammissibilità ai sensi del previgente art. 5 della legge n. 117 del 
>> 1988.
>>
>> Il collegio rimettente ritiene, tuttavia, di dover aderire alle 
>> opposte indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo le 
>> quali la soppressione del filtro opera anche rispetto alle domande 
>> relative agli illeciti pregressi: circostanza che gli imporrebbe di 
>> restituire la causa al giudice istruttore per la prosecuzione del 
>> giudizio nelle forme ordinarie. Di qui, dunque, la rilevanza delle 
>> questioni di legittimità costituzionale della citata norma abrogatrice.
>>
>> 5.2.– Ciò premesso, il rimettente denuncia, in primo luogo, la 
>> violazione dell’art. 111 Cost., assumendo che il filtro di 
>> ammissibilità costituisca strumento imprescindibile per l’attuazione 
>> del «giusto processo» sia nell’àmbito del giudizio risarcitorio 
>> promosso dal danneggiato contro lo Stato, sia nell’àmbito del 
>> giudizio in cui si è verificato il fatto che si assume dannoso.
>>
>> Sul primo versante, il filtro risulterebbe essenziale al fine di 
>> assicurare la ragionevole durata del giudizio risarcitorio. In virtù 
>> di esso, il collegio era chiamato a valutare in limine litis 
>> l’ammissibilità e la non manifesta infondatezza della domanda, nel 
>> comune interesse del soggetto che si pretendeva danneggiato e dello 
>> Stato, dichiarando immediatamente l’eventuale inammissibilità con 
>> decreto, la cui procedura di impugnazione era «snella e compressa» e, 
>> soprattutto, «alleggerita della valutazione del merito». A seguito 
>> dell’abolizione del filtro, i tempi per pervenire ad una pronuncia 
>> sull’ammissibilità sono invece quelli del processo ordinario, di 
>> «lunghezza eccessiva ed irragionevole», senza considerare, poi, i 
>> maggiori tempi dell’impugnazione, «appesantita dalla commistione tra 
>> profili di ammissibilità e profili di merito».
>>
>> Tali effetti negativi della riforma sarebbero bene apprezzabili nel 
>> caso sottoposto all’esame del rimettente, nel quale potrebbero 
>> rivelarsi fondate alcune delle eccezioni di inammissibilità formulate 
>> dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, con la 
>> conseguenza che la pronuncia immediata su di esse consentirebbe uno 
>> svolgimento della causa «adeguato ai principi di effettività e 
>> celerità della tutela».
>>
>> L’intervento considerato si porrebbe, d’altra parte, in frizione con 
>> la recente introduzione, da parte del legislatore, di «pronunce 
>> semplificate di inammissibilità» in rapporto alle impugnazioni 
>> ordinarie, quali quelle previste dagli artt. 360-bis e 375, primo 
>> comma, numeri 1) e 5), cod. proc. civ., riguardo al ricorso per 
>> cassazione, e dagli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., in 
>> relazione all’appello. Per questo verso, la soppressione del filtro 
>> di ammissibilità disposta dalla legge n. 18 del 2015 si porrebbe in 
>> contrasto anche con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza 
>> (art. 3 Cost.), posto che il giudizio sulla responsabilità civile del 
>> giudice assumerebbe assai spesso il carattere di un “processo sul 
>> processo”, presentando, perciò, evidenti «comunanze logiche» con le 
>> impugnazioni.
>>
>> L’abolizione del filtro pregiudicherebbe, peraltro, l’attuazione del 
>> giusto processo anche nel giudizio nel quale si assume essersi 
>> verificato il fatto dannoso. Le peculiarità dell’attività 
>> giurisdizionale – in particolare, la circostanza che ogni processo 
>> comporti un pregiudizio per almeno una delle parti – e la difficoltà 
>> che la parte soccombente incontrerebbe nel comprendere quando vi sia 
>> stato realmente un cattivo esercizio della giurisdizione 
>> incentiverebbero, infatti, la proposizione di azioni di 
>> responsabilità anche inammissibili o palesemente infondate. Un 
>> meccanismo di filtro che blocchi sul nascere iniziative di tal fatta 
>> assumerebbe, quindi, una essenziale funzione di tutela della serenità 
>> di giudizio del magistrato.
>>
>> Per converso, l’assenza del filtro genererebbe il rischio della 
>> cosiddetta «giurisprudenza “difensiva”», ossia che il giudice si curi 
>> – già nel processo “a monte” – del proprio interesse e della propria 
>> difesa, abdicando alla propria posizione di terzietà ed imparzialità. 
>> Tale atteggiamento potrebbe manifestarsi in varie forme, dal semplice 
>> ricorso a motivazioni ridondanti e poco aderenti al caso concreto, 
>> sino al vero e proprio “snaturamento” del contenuto delle decisioni, 
>> secondo quale fra le parti possa più facilmente proporre un’azione di 
>> responsabilità: e ciò specie in presenza di parti «agguerrite o già 
>> larvatamente minacciose».
>>
>> L’abolizione del meccanismo in questione – impedendo l’immediata 
>> declaratoria di inammissibilità della domanda per mancato esaurimento 
>> dei mezzi di impugnazione – favorirebbe, altresì, la contemporanea 
>> pendenza del giudizio di responsabilità intentato nei confronti dello 
>> Stato e di quello che vi ha dato origine, con conseguente lesione 
>> anche del principio del contraddittorio. Sarebbe, infatti, ben 
>> difficile che la controparte di un soggetto che ha proposto azione di 
>> responsabilità civile «possa essere certa di non avere un trattamento 
>> diverso da parte di un giudice “coinvolto”».
>>
>> Risulterebbero violati anche i principi di soggezione del giudice 
>> solo alla legge (art. 101 Cost.) e di autonomia e indipendenza della 
>> magistratura (art. 104 Cost.). La giurisprudenza costituzionale, 
>> infatti, avrebbe posto in evidenza a più riprese come la presenza di 
>> un filtro, che ponga il giudice al riparo da domande temerarie o 
>> intimidatorie, debba ritenersi indispensabile per la salvaguardia di 
>> detti valori (sono citate le sentenze n. 468 del 1990, n. 18 del 2015 
>> e n. 2 del 1968).
>>
>> Da ultimo, il giudice a quo ravvisa la violazione del principio del 
>> giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.).
>>
>> Secondo il rimettente, sarebbe condivisibile l’orientamento della 
>> giurisprudenza di legittimità in base al quale la proposizione di 
>> un’azione di responsabilità, ai sensi della legge n. 117 del 1988, 
>> quando è ancora pendente il primo giudizio non comporta 
>> automaticamente un obbligo di astensione per il giudice di 
>> quest’ultimo, né consente alle parti di ricusarlo. In mancanza del 
>> filtro, tuttavia, il magistrato sarebbe incentivato ad esercitare la 
>> facoltà di intervento nel giudizio risarcitorio, non essendo più 
>> nettamente distinto l’esame dei profili di ammissibilità della 
>> domanda da quello del merito: opzione che, rendendolo parte di quel 
>> giudizio, farebbe scattare l’obbligo di astensione nel processo 
>> originario ai sensi dell’art. 51, primo comma, numero 3), cod. proc. 
>> civ. Anche laddove non sussista tale obbligo, il giudice potrebbe 
>> ravvisare, comunque sia, gravi ragioni di convenienza per 
>> un’astensione facoltativa, «che difficilmente gli verrebbe negata».
>>
>> La proposizione dell’azione di responsabilità potrebbe, pertanto, 
>> costituire uno strumento per distogliere la causa dal suo giudice 
>> naturale, specie nei casi in cui il magistrato assegnatario della 
>> stessa abbia assunto decisioni interinali che facciano presagire la 
>> soccombenza di una delle parti.
>>
>> 5.3.– Intervenuto a ministero dell’Avvocatura generale dello Stato, 
>> il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito 
>> l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.
>>
>> Il collegio rimettente non avrebbe, infatti, considerato che, essendo 
>> stato investito della decisione dal giudice istruttore a norma 
>> dell’art. 189 cod. proc. civ., avrebbe potuto, comunque sia, definire 
>> nel merito la controversia, a prescindere dal previo esame della 
>> domanda in sede di filtro. Nella stessa ordinanza di rimessione si 
>> rileva, d’altro canto, che alcune delle eccezioni di inammissibilità 
>> prospettate dalla parte convenuta potrebbero rivelarsi fondate. Di 
>> conseguenza, il collegio avrebbe dovuto darsi carico di verificare se 
>> la causa potesse essere decisa, esaminando le questioni preliminari 
>> pur di fronte all’erronea rimessione della causa da parte del giudice 
>> istruttore sulla base della disciplina previgente.
>>
>> Nel merito, le questioni sarebbero, ad ogni modo, infondate.
>>
>> Quanto al dedotto contrasto con l’art. 111 Cost., la difesa 
>> dell’interveniente rileva che, pur essendo ovvio che un rito 
>> accelerato è più breve di un rito ordinario, nondimeno anche 
>> l’ordinario giudizio di cognizione si presta ad essere definito in 
>> tempi brevi in base alle scansioni processuali delineate dalla 
>> normativa vigente, sulle quali possono incidere negativamente solo 
>> mere circostanze di fatto, irrilevanti ai fini del giudizio di 
>> costituzionalità, quali l’organizzazione degli uffici giudiziari o la 
>> limitatezza delle risorse disponibili.
>>
>> Né l’eliminazione del filtro potrebbe ritenersi contraddittoria 
>> rispetto all’avvenuta introduzione di meccanismi di valutazione 
>> preliminare dell’ammissibilità e della non manifesta infondatezza con 
>> riguardo al giudizio di appello e al giudizio di cassazione. Tali 
>> ultimi meccanismi attengono, infatti, alle impugnazioni, mentre il 
>> filtro previsto dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988 condizionava 
>> l’accesso al giudizio di primo grado.
>>
>> Seguendo il ragionamento del rimettente, poi, si dovrebbe ritenere 
>> che l’applicazione del rito ordinario a qualsiasi tipo di 
>> controversia determini una violazione del principio di ragionevole 
>> durata del processo.
>>
>> Privo di pregio sarebbe, altresì, l’assunto del giudice a quo, 
>> secondo il quale l’eliminazione del filtro di ammissibilità creerebbe 
>> il pericolo di un atteggiamento “difensivo” del magistrato, il quale 
>> sarebbe indotto ad adottare la soluzione per lui meno “rischiosa” a 
>> detrimento della giustizia sostanziale. L’alta professionalità che 
>> caratterizza la funzione giurisdizionale dovrebbe essere, infatti, 
>> idonea a scongiurare un simile pericolo; d’altra parte, la decisione 
>> meno “rischiosa” per il giudice è quella presa secondo legge e sulla 
>> base del prudente apprezzamento dei fatti e delle prove, non quella 
>> che pregiudichi la parte più «agguerrita» o «larvatamente minacciosa».
>>
>> Il rimettente non valorizzerebbe, poi, adeguatamente la duplice 
>> circostanza che l’azione risarcitoria ha come unico legittimato 
>> passivo lo Stato e che la proposizione di cause pretestuose o 
>> preordinate ad incidere sulla serenità del giudicante è già 
>> scoraggiata dalla responsabilità aggravata del soccombente temerario 
>> prevista dall’art. 96 cod. proc. civ.
>>
>> Quanto alla censura di violazione dei principi di autonomia e 
>> indipendenza della magistratura, l’Avvocatura generale dello Stato, 
>> dopo aver ribadito alcune delle considerazioni svolte su questioni 
>> consimili nei precedenti atti di intervento, pone in risalto come il 
>> principio che si ricava dalla giurisprudenza costituzionale evocata 
>> dal giudice a quo sia solo quello della necessità di prevedere 
>> adeguate garanzie e limiti nella disciplina della responsabilità 
>> civile dei magistrati, correlate alla peculiarità delle funzioni 
>> giudiziarie e alla natura dei relativi provvedimenti, non anche 
>> quello dell’imprescindibilità di una fase di valutazione preliminare 
>> dell’ammissibilità della domanda risarcitoria indiretta (contro lo 
>> Stato).
>>
>> Dette garanzie e limiti non mancherebbero nell’attuale assetto 
>> normativo, caratterizzato dalla previsione della sola legittimazione 
>> passiva dello Stato nell’azione risarcitoria, con esclusione 
>> dell’azione diretta verso il magistrato; dalla previsione di un 
>> termine di decadenza (ora triennale) per la proposizione dell’azione, 
>> inferiore a quello quinquennale valevole per tutti gli altri 
>> dipendenti pubblici, e di uno ancora più breve (biennale) per 
>> l’azione di rivalsa; dall’onere, per il danneggiato, di esperire 
>> preventivamente tutti i rimedi impugnatori avverso il provvedimento 
>> che si assume dannoso; dalla previsione di rigidi presupposti 
>> sostanziali che delimitano l’àmbito della colpa grave e di un tetto 
>> massimo (pari alla metà dello stipendio annuo) alla eventuale 
>> condanna del magistrato in sede di rivalsa.
>>
>> La questione riferita all’art. 25 Cost. sarebbe, infine, 
>> inammissibile per difetto di rilevanza, essendo argomentata con il 
>> riferimento all’astratta possibilità che il magistrato sia indotto a 
>> spiegare intervento volontario nella causa risarcitoria con maggiore 
>> frequenza che non in passato: evenienza che non risulta, tuttavia, 
>> essersi concretamente verificata nel giudizio a quo. Lo stesso 
>> rimettente, d’altra parte, condivide la tesi secondo cui la 
>> proposizione dell’azione di responsabilità non comporta alcun obbligo 
>> di astensione del magistrato e, correlativamente, non ne consente la 
>> ricusazione.
>>
>> La questione risulterebbe, comunque sia, infondata nel merito, posto 
>> che, in nessun caso, l’esercizio dell’azione risarcitoria potrebbe 
>> costituire strumento per sottrarre la causa al giudice naturale. 
>> Seguendo il ragionamento del rimettente, d’altronde, anche nella 
>> vigenza del filtro una situazione come quella ipotizzata (intervento 
>> del magistrato e richiesta di astensione) si sarebbe potuta parimente 
>> verificare.
>>
>> /Considerato in diritto /
>>
>> 1.– Questa Corte è chiamata a pronunciarsi su un articolato complesso 
>> di questioni di legittimità costituzionale, dianzi analiticamente 
>> descritte, tutte attinenti alla disciplina della responsabilità 
>> civile dei magistrati, quale risultante a seguito delle modifiche 
>> apportate dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della 
>> responsabilità civile dei magistrati) alle previgenti disposizioni 
>> della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati 
>> nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei 
>> magistrati).
>>
>> 2.– In ragione della rilevata comunanza di oggetto e dei profili 
>> problematici coinvolti, le questioni vanno riunite per essere decise 
>> con unica sentenza.
>>
>> 3.– Deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione con cui 
>> l’Avvocatura generale dello Stato ha contestato l’ammissibilità, per 
>> difetto di rilevanza, di tutte le questioni sollevate con le 
>> ordinanze dei Tribunali ordinari di Verona (r.o. n. 198 del 2015), di 
>> Treviso (r.o. n. 218 del 2015), di Catania (r.o. n. 113 del 2016) e 
>> di Enna (r.o. n. 126 del 2016).
>>
>> Nei vari atti di intervento, la difesa del Presidente del Consiglio 
>> dei ministri, con argomentazioni similari, ove non anche identiche, 
>> pone in evidenza che i giudici rimettenti non sono chiamati a fare 
>> diretta applicazione delle disposizioni della cui costituzionalità 
>> dubitano, sicché la rilevanza di esse, nei rispettivi giudizi a 
>> quibus, è affermata «solo in linea teorica ed eventuale». Le 
>> disposizioni impugnate – secondo l’Avvocatura − potrebbero venire in 
>> rilievo esclusivamente nell’ipotesi «in cui il giudicante adottasse 
>> un provvedimento errato con dolo o colpa grave» e, dunque, nel caso 
>> di una «patologia conclamata del futuro provvedimento». Ma, in tale 
>> ipotesi, esso sarebbe rimediabile dallo stesso giudice che lo ha 
>> emesso ovvero dal giudice cui sarebbe devoluta l’impugnazione, 
>> considerata la natura dell’azione di responsabilità, la quale 
>> presuppone che il rimedio previsto sia stato esperito. In 
>> conseguenza, risulterebbe del tutto insussistente la dedotta 
>> incidenza sulla serenità del giudicante, come invece ipotizzato dai 
>> giudici a quibus.
>>
>> In ogni caso – risultando imprescindibile presupposto dell’azione 
>> risarcitoria l’irrevocabilità del provvedimento, ai sensi dell’art. 4 
>> della legge n. 117 del 1988 − i dedotti profili di disarmonia 
>> costituzionale potrebbero venire in rilievo solo dopo l’eventuale 
>> esaurimento dei gradi dei rispettivi giudizi incidentali, con la 
>> «definitività del provvedimento giudiziario», che, invece, neppure 
>> risulta adottato nei giudizi in questione. La rilevanza delle 
>> questioni affermata dai giudici rimettenti risulterebbe, pertanto, 
>> pressoché virtuale, in quanto ancorata solo al mero «pericolo di una 
>> valutazione errata delle risultanze di causa»: non sussisterebbe, 
>> infatti, alcuna correlazione «tra la regola da applicare e la 
>> soluzione della questione controversa», fino al punto che, in alcune 
>> delle ordinanze di rimessione, la «pericolosità decisionale» sarebbe, 
>> addirittura, semplicemente postulata, trattandosi piuttosto di 
>> semplici problemi decisori, risolvibili in base ad elementari ed 
>> ordinarie regole di diritto e sulla base del prudente apprezzamento 
>> del giudice.
>>
>> L’Avvocatura dello Stato ha ulteriormente osservato che, nelle 
>> questioni di costituzionalità prospettate, la sussistenza della 
>> rilevanza sarebbe stata dedotta dall’asserito perturbamento del 
>> giudice conseguente ad un’ipotetica azione di rivalsa intentabile, 
>> nei suoi confronti, dallo Stato: azione a sua volta meramente 
>> eventuale ed effetto di altra azione di risarcimento danni esperita 
>> nei confronti di quest’ultimo, per la responsabilità derivante dal 
>> provvedimento giudiziario, frutto dell’«errore commesso dal 
>> magistrato». Per effetto di tale catena ipotetica, la rilevanza delle 
>> questioni di costituzionalità sollevate risulterebbe, tuttavia, 
>> giustificata solo dalla stessa «pericolosità […] della funzione 
>> giurisdizionale», ritenuta, sempre e comunque sia, incidente sulla 
>> serenità di giudizio e, quindi, sullo status del magistrato.
>>
>> Il presupposto della rilevanza, in conclusione, riposerebbe solo su 
>> postulati ed «ipotetici condizionamenti psicologici»: con la 
>> paradossale conseguenza che qualsivoglia modifica della legge n. 117 
>> del 1988 risulterebbe rilevante in tutte le controversie di ogni tipo 
>> (civili, penali e amministrative), «con effetti distorsivi sul 
>> funzionamento dell’intero sistema giudiziario, in contrasto, 
>> peraltro, con i principi costituzionali e del diritto dell’U.E. 
>> sull’effettività della tutela giurisdizionale».
>>
>> 3.1.– L’eccezione d’inammissibilità è fondata, per i motivi che seguono.
>>
>> 3.2.– Nelle quattro ordinanze di rimessione, i giudici a quibus – di 
>> là dalla complessità o difficoltà decisoria specifica dei singoli 
>> giudizi in corso, di cui non è necessario dar conto in questa sede − 
>> affermano che le sollevate questioni di costituzionalità, pur 
>> concernenti alcune delle norme introdotte dalla legge n. 18 del 2015, 
>> risultano direttamente rilevanti nei rispettivi giudizi incidentali 
>> in quanto tale disciplina normativa sarebbe «concretamente ed 
>> immediatamente produttiva di una responsabilità potenziale» di essi 
>> giudicanti, «potendo dar luogo ad un giudizio di responsabilità» 
>> (così, testualmente, l’ordinanza del Tribunale ordinario di Verona, 
>> iscritta al r.o. n. 198 del 2015); ovvero in quanto essa va «ad 
>> incidere, in generale, sulla libertà del giudice di valutare i fatti 
>> e le prove secondo la legge e, quindi, anche sulla valutazione che il 
>> Giudice è chiamato ad operare nel presente processo» (in tal senso si 
>> esprime l’ordinanza del Tribunale ordinario di Treviso, iscritta al 
>> r.o. n. 218 del 2015); ovvero, ancora, che non è da escludersi che 
>> ogni decisione adottabile «possa essere contestata per ritenuto 
>> travisamento del fatto e delle prove», integrando dunque un’ipotesi 
>> di colpa grave ai sensi della normativa, come oggi modificata, sulla 
>> responsabilità civile dei magistrati (in tal senso opina, ad esempio, 
>> l’ordinanza del Tribunale ordinario di Catania, iscritta al r.o. n. 
>> 113 del 2016).
>>
>> Tali affermazioni – che pure delineano la semplice e sola 
>> “potenzialità” dell’evenienza di una responsabilità civile dello 
>> Stato (e della successiva, eventuale, azione di rivalsa nei confronti 
>> del magistrato) connessa ai provvedimenti adottati nel giudizio a quo 
>> – assurgono a discorso giustificativo della rilevanza delle plurime 
>> questioni di legittimità costituzionale a mezzo del richiamo, comune 
>> a tutte le predette ordinanze di rimessione e su cui esse lungamente 
>> insistono, alle statuizioni della sentenza n. 18 del 1989.
>>
>> Rammentano invero i rimettenti che, in tale pronuncia, questa Corte – 
>> chiamata a scrutinare alcune questioni di legittimità costituzionale 
>> sollevate in relazione alla disciplina della responsabilità civile 
>> dei magistrati di cui alla legge n. 117 del 1988 ed a fronte della 
>> eccezione di inammissibilità delle stesse per difetto di rilevanza, 
>> anche allora avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato − ebbe a 
>> statuire l’infondatezza di detta eccezione.
>>
>> Si osservò, in proposito, che, effettivamente, l’art. 23 della legge 
>> 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento 
>> della Corte costituzionale), stabilendo che la questione di 
>> costituzionalità proposta debba essere tale che «il giudizio non 
>> possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione» di essa, 
>> «implica, di regola, che la rilevanza sia strettamente correlata 
>> all’applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo». 
>> Tuttavia, si affermò che «debbono ritenersi influenti sul giudizio 
>> anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili al 
>> giudizio a quo, attengono allo status del giudice, alla sua 
>> composizione nonché, in generale, alle garanzie ed ai doveri che 
>> riguardano il suo operare», e che pertanto la «eventuale 
>> incostituzionalità di tali norme è destinata a influire su ciascun 
>> processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la 
>> composizione, le garanzie e i doveri: in sintesi, la “protezione” 
>> dell’esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano 
>> ai diritti».
>>
>> Tali affermazioni, secondo i giudici a quibus, risulterebbero 
>> ulteriormente corroborate, ai fini della rilevanza delle odierne 
>> questioni di legittimità costituzionale, dalla circostanza che la 
>> nuova disciplina sulla responsabilità civile, risultante dalle 
>> modifiche introdotte dalla legge n. 18 del 2015, ha ampliato le 
>> ipotesi che possono dar luogo a responsabilità dello Stato e del 
>> magistrato, introducendo, tra l’altro, quelle del «travisamento del 
>> fatto o delle prove». Pertanto, quantomeno le relative disposizioni 
>> modificate in tal senso (vale a dire gli artt. 2, comma 3, e 7, comma 
>> 1, della legge n. 117 del 1988) inciderebbero immediatamente su tutti 
>> i giudizi in corso.
>>
>> I soli Tribunali ordinari di Verona ed Enna, inoltre, affermano che 
>> le statuizioni della sentenza n. 18 del 1989 sarebbero state 
>> implicitamente richiamate, da questa Corte, nella sentenza n. 237 del 
>> 2013.
>>
>> 3.3.– Movendo dall’esame di tale ultimo argomento, si deve rilevare 
>> che il convincimento dei due rimettenti è erroneo.
>>
>> Nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 237 del 2013, infatti, 
>> questa Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità 
>> costituzionale di norme che avevano disposto la soppressione di 
>> diversi uffici giudiziari: oggetto del giudizio di costituzionalità 
>> era, dunque, la potestà di ius dicere dei giudici rimettenti, 
>> direttamente e immediatamente dipendente dalle norme censurate. 
>> Nessun dubbio poteva sussistere, pertanto, sulla rilevanza – secondo 
>> l’ordinaria regola posta dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953 – 
>> delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, «ben 
>> potendo, in limine litis, ogni giudice investire questa Corte della 
>> verifica di conformità a Costituzione delle disposizioni legislative 
>> che affermino, ovvero escludano, la sua legittimazione a trattare un 
>> determinato procedimento» (ordinanza n. 258 del 2016), rientrando 
>> detta facoltà nel suo «potere-dovere di verificare la regolare 
>> costituzione dell’organo giudicante, anche in rapporto alla 
>> legittimità costituzionale delle norme che la disciplinano» (sentenza 
>> n. 71 del 1975).
>>
>> 3.4.– Quanto, poi, al richiamo operato da tutti i giudici rimettenti 
>> alla sentenza n. 18 del 1989, in funzione di giustificazione della 
>> rilevanza delle odierne questioni di legittimità costituzionale, esso 
>> non risulta pertinente.
>>
>> È qui doveroso sottolineare il ben diverso àmbito dell’incidente di 
>> costituzionalità nel quale vennero a collocarsi le richiamate 
>> affermazioni di questa Corte. In quella circostanza, infatti, il 
>> nucleo principale delle varie questioni sollevate dai diversi giudici 
>> (ordinari, amministrativi e tributari), che dubitavano della 
>> legittimità costituzionale della prima legge sulla responsabilità 
>> civile dei magistrati, fece leva – per dedurre la rilevanza delle 
>> questioni stesse – sul fatto che nei diversi giudizi veniva in 
>> discorso l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 16 della 
>> legge n. 117 del 1988 (poi dichiarata parzialmente incostituzionale 
>> con la sentenza n. 18 del 1989), la quale introduceva – nel processo 
>> civile (art. 131 del codice di procedura civile) ed in quello penale 
>> (art. 148 del codice di procedura penale) – il verbale relativo alla 
>> opinione dissenziente per i provvedimenti collegiali, per i 
>> conseguenti riverberi che la stessa disciplina presentava proprio sul 
>> piano della responsabilità civile.
>>
>> Veniva in rilievo inoltre – e in relazione a ciò questa Corte affermò 
>> quanto oggi è richiamato − la stessa struttura e composizione 
>> dell’organo giudicante, assumendosi, da una delle ordinanze di 
>> rimessione, che il “concorso decisorio”, all’interno dell’organo 
>> collegiale civile, non potesse essere egualmente distribuito tra il 
>> relatore e gli altri componenti del collegio, poiché era da escludere 
>> che questi ultimi fossero «tenuti ad esaminare gli atti di causa, a 
>> ciò ostando l’immensa mole di lavoro gravante sui tribunali» e che, 
>> conseguentemente, a tale diversa collocazione “funzionale” interna 
>> avrebbe dovuto corrispondere anche una diversa graduazione di 
>> responsabilità. Prospettiva che indusse questa Corte a ribadire, al 
>> contrario, e proprio in ordine alla struttura e funzione dell’organo, 
>> che «la decisione emessa dall’organo giudiziario collegiale è un atto 
>> unitario, alla formazione del quale concorrono i singoli membri del 
>> collegio in base allo stesso titolo ed agli stessi doveri» (sentenza 
>> n. 18 del 1989).
>>
>> Altra ordinanza di rimessione, poi, era stata adottata dalla sezione 
>> specializzata per le tossicodipendenze, a componente mista, in 
>> relazione alla quale si prospettava questione di legittimità 
>> costituzionale in ordine alla responsabilità dei laici componenti il 
>> collegio.
>>
>> Infine, per le questioni sollevate da una commissione tributaria, si 
>> osservava, nella ordinanza di rimessione, che esse attenevano «alla 
>> costituzione del giudice», con la conseguenza che la rilevanza 
>> sussisteva in quanto, «ove le norme impugnate fossero illegittime, la 
>> decisione della Commissione tributaria sarebbe nulla», anche in 
>> questo caso evocando (come pure nella questione sollevata da un 
>> pretore onorario) il tema della partecipazione dei laici alla giustizia.
>>
>> Nello scrutinio allora operato da questa Corte in punto di 
>> ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, 
>> pertanto, ben si spiega la motivazione adottata (poi meramente 
>> richiamata soltanto dall’immediatamente successiva sentenza n. 243 
>> del 1989). Essa, appunto, si fondava – coerentemente con il rilievo 
>> delle norme processuali allora coinvolte nei diversi giudizi a quibus 
>> – sui profili che concernevano lo «status di giudice», la «sua 
>> composizione, nonché, in generale, [le] garanzie e [i] doveri che 
>> riguardano il suo operare»: aspetti, questi, ontologicamente 
>> rilevanti nell’àmbito dei relativi procedimenti – ordinari, speciali, 
>> amministrativi o tributari – dai quali le questioni provenivano. Come 
>> dire che le quaestiones sulla responsabilità civile dei magistrati 
>> erano allora rilevanti in quanto direttamente collegate con profili 
>> attinenti alla struttura dell’organo e ad ipotizzate “distinzioni” 
>> funzionali interne ad esso: dunque, alla sua stessa composizione.
>>
>> 3.5.– Si trattava di un quadro profondamente diverso da quello che 
>> viene oggi in attenzione e che, in sé, vale a tracciare un netto 
>> distinguo tra dette statuizioni – pertinenti a quello specifico 
>> quadro di riferimento – e le altre che questa Corte è chiamata ad 
>> adottare circa la rilevanza delle questioni ora in esame.
>>
>> Nell’àmbito delle odierne questioni, infatti, ciò che questa Corte è 
>> tenuta a verificare è la necessaria relazione di “dipendenza 
>> funzionale” tra giudizio a quo e tema agitato attraverso la questione 
>> di legittimità costituzionale: relazione che, secondo la costante 
>> giurisprudenza di questa Corte, deve assumere i connotati della 
>> pregiudizialità, la quale comporta l’impossibilità di definire il 
>> procedimento pregiudicato in assenza della delibazione della quaestio 
>> pregiudicante.
>>
>> Ebbene, alla luce di tali preliminari rilievi e tenuto conto di 
>> quanto gli stessi giudici rimettenti hanno posto in luce al fine di 
>> asseverare la sussistenza della rilevanza, se ne deve desumere che le 
>> questioni sono state dai rimettenti delibate a prescindere da 
>> qualsiasi considerazione circa una loro diretta incidenza sullo 
>> statuto di autonomia e di indipendenza dei magistrati, tale da 
>> condizionare strutturalmente e funzionalmente lo ius dicere, ma 
>> facendo esclusivo riferimento alle sue modalità di esercizio. Né 
>> rileva che tali modalità possano costituire elementi variamente 
>> perturbatori della condizione psicologica di questo o quel 
>> magistrato, secondo i principi, del resto, costantemente ribaditi – 
>> sia prima sia dopo la sentenza n. 18 del 1989 – dalla giurisprudenza 
>> di questa Corte.
>>
>> Si è escluso, infatti, che potesse strutturare il nesso di 
>> pregiudizialità, richiesto ai fini di rendere rilevante la questione, 
>> il mero richiamo del giudice a quo al turbamento psicologico e della 
>> propria serenità di giudizio prodotto dall’applicazione dei «ferri di 
>> sicurezza» nelle operazioni di traduzione degli imputati detenuti, 
>> «non potendosi ovviamente qualificare per tale una soggettiva 
>> situazione psicologica come quella allegata dal giudicante che, oltre 
>> tutto, deriva da norme assolutamente estranee all’oggetto del 
>> processo principale» (sentenza n. 147 del 1974).
>>
>> Allo stesso modo, si è pure escluso che potessero considerarsi 
>> rilevanti, in un qualsiasi giudizio di competenza della Corte dei 
>> conti, questioni volte a denunciare l’asserita menomazione della 
>> serenità e autonomia di giudizio dei magistrati di detta Corte 
>> derivante dal carattere, in assunto, «troppo latamente discrezionale» 
>> dei poteri riconosciuti al Presidente della Corte stessa in materia 
>> di assegnazione di funzioni e promozioni: le doglianze attenevano, 
>> infatti, a disposizioni che non dovevano essere applicate dal giudice 
>> rimettente, riflettendo «violazioni solo potenziali ma non attuali 
>> delle garanzie costituzionali» (sentenza n. 19 del 1978).
>>
>> Nessun seguito hanno avuto, altresì, più di recente, le questioni 
>> intese a censurare, nell’àmbito di ordinari giudizi, la previsione di 
>> compensi dei giudici di pace e dei componenti delle commissioni 
>> tributarie collegati ad ogni singolo processo definito: sistema che 
>> si asseriva idoneo a condizionare psicologicamente l’operato di detti 
>> giudici, e dunque a comprometterne la terzietà ed imparzialità, 
>> inducendoli ad optare non per le soluzioni ritenute più corrette, ma 
>> per quelle che permettevano di decidere un maggior numero di cause in 
>> minor tempo, e consentendo, inoltre, alla parte attrice o ricorrente 
>> di avvantaggiarli economicamente con la proposizione di domande o 
>> ricorsi separati, anziché di domande o ricorsi cumulativi. Anche 
>> simili questioni sono state ritenute, infatti, prive di rilevanza, in 
>> quanto attinenti a norme che non venivano affatto in rilievo ai fini 
>> della decisione delle controversie di cui i giudici rimettenti erano 
>> investiti (ex plurimis, ordinanze n. 421 del 2008, n. 180 del 2006 e 
>> n. 326 del 1987).
>>
>> 3.6.– Più in generale, va riconosciuto, tuttavia, che un sistema che 
>> non garantisse un adeguato presidio istituzionale in capo alla 
>> posizione del giudice si presenterebbe, a sua volta, fortemente 
>> asintonico rispetto a quel rigoroso presupposto di legalità a cui il 
>> giudice è costituzionalmente tenuto.
>>
>> Il ruolo del giudice, nell’architettura costituzionale della 
>> giurisdizione, appare infatti peculiare, non potendosi escludere a 
>> priori che norme, pur non immediatamente applicabili nel processo, 
>> vadano ad incidere in maniera evidente ed attuale sulle garanzie 
>> costituzionali della funzione giurisdizionale, così condizionando 
>> l’esercizio della relativa attività. Ciò tuttavia presuppone che tale 
>> incidenza – per qualità, intensità, univocità ed evidenza della sua 
>> direzione, immediatezza ed estensione dei suoi effetti – sia tale da 
>> determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di 
>> indipendenza e terzietà nel decidere, a prescindere da qualsiasi 
>> profilo che possa riguardare un eventuale “perturbamento psicologico” 
>> del singolo giudice.
>>
>> Di là da questa prospettiva, ai fini della rilevanza occorrerà 
>> ulteriormente verificare se la norma asseritamente interferente sullo 
>> status di magistrato ne comprometta o possa comprometterne 
>> l’indipendenza e la terzietà in relazione alla concreta regiudicanda 
>> posta al suo esame ed alla specifica e conseguente decisione che è 
>> chiamato ad adottare nel giudizio a quo. Presupposti − questi – che 
>> non è dato rinvenire nelle odierne questioni, alla luce della stessa 
>> motivazione sulla rilevanza fornita dai giudici a quibus in relazione 
>> all’attuale sistema normativo sulla responsabilità civile del giudice.
>>
>> 3.7.– In conclusione sul punto, devono pertanto essere dichiarate 
>> inammissibili, perché irrilevanti, tutte le questioni sollevate con 
>> le ordinanze dei Tribunali ordinari di Verona (r.o. n. 198 del 2015), 
>> di Treviso (r.o. n. 218 del 2015), di Catania (r.o. n. 113 del 2016) 
>> e di Enna (r.o. n. 126 del 2016).
>>
>> 4.– I profili di inammissibilità dianzi evidenziati non coinvolgono, 
>> invece, l’ordinanza di rimessione del Tribunale ordinario di Genova 
>> (r.o. n. 130 del 2016), unica, fra quelle in esame, emessa 
>> nell’àmbito di un giudizio risarcitorio promosso nei confronti dello 
>> Stato ai sensi della legge n. 117 del 1988.
>>
>> 4.1.– Con riguardo alle questioni sollevate da detta ordinanza, 
>> l’Avvocatura generale dello Stato ha formulato una diversa eccezione 
>> di inammissibilità.
>>
>> In base al previgente art. 5 della legge n. 117 del 1988 – abrogato 
>> dall’impugnato art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015 – il 
>> giudice istruttore della causa volta ad ottenere il ristoro dei danni 
>> conseguenti all’esercizio delle funzioni giudiziarie doveva rimettere 
>> le parti davanti al collegio alla prima udienza, ai fini della 
>> preliminare verifica della sussistenza dei presupposti dell’azione, 
>> della sua tempestività in rapporto al previsto termine biennale di 
>> proposizione e della sua non manifesta infondatezza (cosiddetto 
>> “filtro di ammissibilità”).
>>
>> Nel caso di specie, il giudice istruttore ha provveduto nel modo ora 
>> indicato, sul presupposto che, in assenza di una disciplina 
>> transitoria, il meccanismo di “filtro” dovesse ritenersi ancora 
>> applicabile in rapporto alle domande risarcitorie proposte dopo 
>> l’entrata in vigore della legge di riforma, ma per illeciti anteriori 
>> ad essa, quale quella di cui si discute nel giudizio principale.
>>
>> Il collegio rimettente reputa, tuttavia, di dover aderire alle 
>> opposte indicazioni della giurisprudenza di legittimità (e, in 
>> particolare, della sentenza della Corte di cassazione, sezione terza 
>> civile, 15 dicembre 2015, n. 25216), secondo le quali l’abolizione 
>> del “filtro” – in ragione della sua valenza processuale e non 
>> sostanziale – opera per tutti i giudizi introdotti dopo l’entrata in 
>> vigore della legge n. 18 del 2015 (ancorché relativi ad illeciti 
>> pregressi): circostanza che imporrebbe al collegio stesso di 
>> restituire gli atti al giudice istruttore per la prosecuzione del 
>> giudizio nelle forme ordinarie. Di qui la ritenuta rilevanza delle 
>> questioni sollevate, intese a censurare proprio e soltanto l’avvenuta 
>> soppressione del “filtro”.
>>
>> Obietta il Presidente del Consiglio dei ministri che il collegio 
>> rimettente, essendo stato investito della decisione dal giudice 
>> istruttore ai sensi dell’art. 189 cod. proc. civ., avrebbe potuto 
>> definire in ogni caso la controversia, a prescindere dal previo esame 
>> della domanda in sede di filtro. Nella stessa ordinanza di rimessione 
>> si dà atto, d’altro canto, di come alcune fra le plurime eccezioni di 
>> inammissibilità della domanda risarcitoria, formulate dalla parte 
>> convenuta nel giudizio a quo, potrebbero rivelarsi fondate. A parere 
>> dell’Avvocatura generale dello Stato, pertanto, il collegio avrebbe 
>> dovuto verificare preventivamente se la causa potesse essere decisa, 
>> esaminando le questioni preliminari pur di fronte all’erronea 
>> rimessione della causa da parte del giudice istruttore sulla base 
>> della disciplina previgente.
>>
>> 4.2.– L’eccezione della difesa dell’interveniente non è fondata.
>>
>> Ove pure fosse immediatamente riscontrabile una ragione di 
>> inammissibilità della domanda, le questioni inciderebbero, comunque 
>> sia, sulle modalità procedurali della relativa verifica, che 
>> l’abrogato art. 5 regolava con disciplina ad hoc, allo stato non più 
>> applicabile e che il rimettente mira per l’appunto a ripristinare, 
>> tramite la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma 
>> meramente abrogatrice.
>>
>> In base alla disposizione abrogata, infatti, il tribunale doveva 
>> deliberare entro 40 giorni in camera di consiglio, anziché nelle 
>> forme ordinarie del giudizio di cognizione (che prevedono la 
>> possibile discussione in udienza pubblica, ai sensi dell’art. 275 
>> cod. proc. civ.), dichiarando l’inammissibilità della domanda con 
>> decreto motivato (e non già con sentenza), impugnabile non nei modi 
>> ordinari, ma in quelli previsti dall’art. 739 cod. proc. civ. per i 
>> provvedimenti in camera di consiglio.
>>
>> Se la domanda era ritenuta ammissibile, d’altro canto, il tribunale 
>> doveva disporre la prosecuzione del processo e la trasmissione degli 
>> atti ai titolari dell’azione disciplinare (previsione anche questa 
>> venuta meno).
>>
>> La rilevanza delle questioni è, pertanto, indubbia.
>>
>> 5.– Ancorché ammissibili, le questioni prospettate dall’ordinanza di 
>> rimessione del Tribunale ordinario di Genova (r.o. n. 130 del 2016) 
>> sono tuttavia infondate.
>>
>> 5.1.– Il giudice a quo prospetta plurimi dubbi di legittimità 
>> costituzionale del solo art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, 
>> il quale, come già detto, abrogando l’art. 5 della legge n. 117 del 
>> 1988, ha eliminato il “filtro di ammissibilità” della domanda 
>> risarcitoria proposta nei confronti dello Stato.
>>
>> Il Tribunale ordinario di Genova reputa, preliminarmente, che la 
>> soppressione del meccanismo dianzi descritto non possa trovare 
>> «pertinente» giustificazione nel richiamo alle pronunce «della Corte 
>> di Strasburgo» o di quelle della Corte di giustizia dell’Unione 
>> europea, il cui fondamento non riposerebbe sulla «responsabilità del 
>> singolo magistrato, ma (su) quella dello Stato», con la conseguenza 
>> che tali decisioni «non imponevano alcuna modifica della legge n. 
>> 117/1988 dal punto di vista processuale».
>>
>> Ciò premesso, il rimettente ritiene che la disposizione denunciata 
>> violerebbe, anzitutto, l’art. 111 Cost., per contrasto con il 
>> principio di ragionevole durata del processo. Il meccanismo di 
>> “filtro” risponderebbe, infatti, al comune interesse tanto del 
>> cittadino, che si ritenga leso, quanto dello Stato, potenziale 
>> responsabile, a che l’eventuale inammissibilità della domanda 
>> risarcitoria sia dichiarata al più presto e con procedura snella. In 
>> assenza di tale meccanismo, i tempi per la pronuncia sono invece 
>> quelli del processo ordinario, di «lunghezza eccessiva ed 
>> irragionevole».
>>
>> La norma censurata violerebbe, inoltre, l’art. 3 Cost., sotto il 
>> duplice profilo della disparità di trattamento e della 
>> irragionevolezza. L’abolizione del “filtro”, da essa disposta, 
>> contrasterebbe, infatti, con il sempre più diffuso ricorso del 
>> legislatore a meccanismi di questo tipo e, in particolare, con 
>> l’avvenuta introduzione di «pronunce semplificate di inammissibilità» 
>> in rapporto alle impugnazioni ordinarie: istituti, questi ultimi, 
>> comparabili all’azione prevista dalla legge n. 117 del 1988, 
>> atteggiandosi essa, spesso, come un «processo sul processo» (il 
>> riferimento del rimettente è alle previsioni degli artt. 348-bis e 
>> 348-ter cod. proc. civ., quanto all’appello, e degli artt. 360-bis e 
>> 375, primo comma, numeri 1 e 5, cod. proc. civ., quanto al ricorso 
>> per cassazione).
>>
>> L’intervento abrogativo censurato pregiudicherebbe, inoltre, 
>> l’attuazione del giusto processo – così integrando un ulteriore 
>> vulnus all’art. 111 Cost. − anche nel giudizio nel quale si assume 
>> essersi verificato il fatto dannoso. Imbrigliando immediatamente le 
>> azioni di responsabilità inammissibili o palesemente infondate, il 
>> meccanismo processuale soppresso svolgerebbe, infatti, una essenziale 
>> funzione di tutela della serenità di giudizio del giudice, 
>> scongiurando il pericolo della cosiddetta «giurisprudenza 
>> “difensiva”», ossia che il giudice abdichi alla propria posizione di 
>> terzietà e imparzialità in favore delle decisioni che appaiono per 
>> lui meno “rischiose”.
>>
>> Risulterebbero altresì violati i principi di soggezione del giudice 
>> solo alla legge (art. 101 Cost.) e di autonomia e indipendenza della 
>> magistratura (art. 104 Cost.), alla luce delle affermazioni della 
>> giurisprudenza costituzionale secondo cui la presenza di un “filtro”, 
>> che ponga il giudice al riparo da domande temerarie o intimidatorie, 
>> dovrebbe ritenersi indispensabile per la salvaguardia dei 
>> corrispondenti valori (sono citate le sentenze n. 468 del 1990, n. 18 
>> del 1989 e n. 2 del 1968).
>>
>> La norma censurata si porrebbe, infine, in contrasto con il principio 
>> del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.). In 
>> mancanza del meccanismo del “filtro”, infatti, il magistrato sarebbe 
>> incentivato ad esercitare la facoltà di intervento nel giudizio 
>> risarcitorio prevista dall’art. 6 della legge n. 117 del 1988, non 
>> essendo più nettamente distinto l’esame dei profili di ammissibilità 
>> della domanda da quello del merito: ciò che, rendendolo parte di quel 
>> giudizio, farebbe scattare l’obbligo di astensione nel processo 
>> originario ai sensi dell’art. 51, primo comma, numero 3), cod. proc. 
>> civ. In ogni caso, il giudice potrebbe ravvisare i presupposti per 
>> un’astensione facoltativa. In conseguenza, la proposizione 
>> dell’azione di responsabilità potrebbe costituire indiretto strumento 
>> per distogliere la causa dal suo giudice naturale.
>>
>> 5.2.– Movendo dal preliminare riferimento del giudice a quo alle 
>> decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, va rammentato 
>> come un forte stimolo alla riforma operata dalla legge n. 18 del 2015 
>> sia venuto proprio dai principi affermati dalla Corte di Lussemburgo, 
>> riguardo all’obbligo degli Stati membri di riparare i danni causati 
>> ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario (ora, dell’Unione 
>> europea) commesse da organi giurisdizionali nazionali (anche di 
>> ultimo grado): principi con i quali alcune delle limitazioni previste 
>> dalla legge n. 117 del 1988 sono state ritenute incompatibili (Corte 
>> di giustizia, grande sezione, sentenza 13 giugno 2006, in causa 
>> C-173/03, Traghetti del Mediterraneo spa), tanto da dar luogo 
>> all’apertura di una procedura di infrazione, decisa in senso 
>> sfavorevole per il nostro Paese (Corte di giustizia, sentenza 24 
>> novembre 2011, in causa C-379/10, Commissione europea contro 
>> Repubblica italiana).
>>
>> Nel contesto di tali principi, assumono qui rilievo, in particolare, 
>> quelli relativi alla “giustiziabilità” della pretesa risarcitoria del 
>> danneggiato.
>>
>> La Corte di Giustizia, a partire dalla nota pronuncia Köbler 
>> (sentenza 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Gerhard Köbler), ebbe 
>> infatti a statuire che «[…] è nell’ambito delle norme del diritto 
>> nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a 
>> riparare le conseguenze del danno provocato, fermo restando che le 
>> condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di 
>> risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle 
>> che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono 
>> essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o 
>> eccessivamente difficile ottenere il risarcimento».
>>
>> In tale affermazione – ribadita dai costanti arresti successivi (ex 
>> multis, Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, 
>> sentenza 13 marzo 2007, in causa C-524/04, Test Claimants in the Thin 
>> Cap Group Litigation; Corte di giustizia dell’Unione europea, 
>> sentenza 25 novembre 2010, in causa C-429/09, Günter Fuß; Corte di 
>> giustizia dell’Unione europea, sentenza 9 settembre 2015, in causa 
>> C-160/14, João Filipe Ferreira da Silva e Brito e altri) – risultano 
>> compendiati tanto il «principio di equivalenza» quanto il «principio 
>> di effettività», i quali così assurgono a cardini necessari di ogni 
>> diritto nazionale in tema di responsabilità dello Stato per le 
>> conseguenze del danno provocato da provvedimenti giurisdizionali 
>> adottati in violazione del diritto europeo.
>>
>> Il «principio di equivalenza» − secondo denominazione propria ed 
>> originale della Corte di giustizia – postula che le condizioni 
>> stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei 
>> danni nei confronti dello Stato, per la responsabilità civile in 
>> esito alla violazione del diritto europeo per mezzo di provvedimento 
>> giurisdizionale, non possono essere «meno favorevoli» di quelle 
>> riguardanti analoghi reclami di natura interna, vale a dire delle 
>> altre “normali” azioni risarcitorie esercitabili dai cittadini nei 
>> confronti dello Stato in altre e diverse materie.
>>
>> Il «principio di effettività» esige, poi, che i meccanismi 
>> procedurali del diritto nazionale non siano congegnati in modo da 
>> rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere 
>> il risarcimento.
>>
>> 5.3.– L’affermazione di tali principi − pur se non immediatamente e 
>> specificamente pretensivi dell’abolizione del cosiddetto “filtro di 
>> ammissibilità” contemplato dall’art. 5 della legge n. 117 del 1988 – 
>> ha rappresentato un considerevole mutamento del quadro normativo di 
>> riferimento in tema di responsabilità civile dello Stato e del 
>> giudice, finendo inevitabilmente per ispirare e permeare l’intervento 
>> riformatore, sul punto, della legge n. 18 del 2015. Al riguardo, il 
>> legislatore ha ritenuto che, per un verso, l’azione di responsabilità 
>> nei confronti dello Stato per i danni conseguenti ad un provvedimento 
>> giudiziario non si collocasse in una condizione di equivalenza 
>> rispetto alle azioni risarcitorie nei confronti dello Stato in altre 
>> materie che non prevedono un simile “filtro” e, per altro verso, che 
>> l’esperienza applicativa della legge n. 117 del 1988, arrestando le 
>> azioni di danno contro lo Stato in larghissima misura nella fase 
>> della delibazione preliminare, non avesse garantito l’effettività del 
>> risarcimento per il cittadino danneggiato. È appena il caso di 
>> sottolineare, al proposito, che l’intervento riformatore non era 
>> evidentemente limitabile alle sole violazioni del diritto europeo, se 
>> non al prezzo di determinare una irragionevole disparità di 
>> trattamento rispetto alle violazioni delle norme del diritto 
>> nazionale che fossero all’origine, anch’esse, di danno per il cittadino.
>>
>> Come più volte affermato da questa Corte, nella materia in esame 
>> occorre perseguire il delicato bilanciamento tra due interessi 
>> contrapposti: da un lato, il diritto del soggetto ingiustamente 
>> danneggiato da un provvedimento giudiziario ad ottenere il ristoro 
>> del pregiudizio patito, posto che «una legge che negasse al cittadino 
>> danneggiato dal giudice qualunque pretesa verso l’amministrazione 
>> statale sarebbe contraria a giustizia» (sentenza n. 2 del 1968); 
>> dall’altro, la salvaguardia delle funzioni giudiziarie da possibili 
>> condizionamenti, a tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità della 
>> magistratura, «in quanto la peculiarità delle funzioni giudiziarie e 
>> la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono condizioni e limiti 
>> alla responsabilità dei magistrati, specie in considerazione dei 
>> disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura 
>> (artt. 101 e 113), a tutela della sua indipendenza e dell’autonomia 
>> delle sue funzioni» (sentenza n. 26 del 1987).
>>
>> Tale bilanciamento è stato operato anche dalla legge di riforma n. 18 
>> del 2015, fondamentalmente tramite una più netta divaricazione tra la 
>> responsabilità civile dello Stato nei confronti del danneggiato − che 
>> le istituzioni europee chiedevano con forza di espandere − e la 
>> responsabilità civile del singolo magistrato. Il legislatore della 
>> riforma ha cioè mirato a superare la piena coincidenza oggettiva e 
>> soggettiva degli àmbiti di responsabilità dello Stato e del 
>> magistrato e, in tale prospettiva, ha ritenuto di ampliare il 
>> perimetro della prima a prescindere dai confini, più ristretti, della 
>> seconda, così stemperando il meccanico ed automatico effetto 
>> dell’accertamento della responsabilità dello Stato sul magistrato nel 
>> giudizio di rivalsa.
>>
>> In tale cornice di rinnovato bilanciamento normativo − i cui termini 
>> sono rimessi alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della 
>> ragionevolezza − si colloca la scelta legislativa di abolizione del 
>> cosiddetto “filtro di ammissibilità”, ritenuta funzionale al nuovo 
>> impianto normativo, specie se riguardata alla luce dei già ricordati 
>> principi affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Non 
>> è costituzionalmente necessario, infatti, che, per bilanciare i 
>> contrapposti interessi di cui si è detto, sia prevista una 
>> delibazione preliminare dell’ammissibilità della domanda contro lo 
>> Stato, quale strumento indefettibile di protezione dell’autonomia e 
>> dell’indipendenza della magistratura. Tale esigenza può essere 
>> infatti soddisfatta dal legislatore per altra via: ciò è quanto 
>> accaduto con la legge n. 18 del 2015, per un verso mediante il 
>> mantenimento del divieto dell’azione diretta contro il magistrato e 
>> con la netta separazione dei due àmbiti di responsabilità, dello 
>> Stato e del giudice; per un altro, con la previsione di presupposti 
>> autonomi e più restrittivi per la responsabilità del singolo 
>> magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo se e dopo che lo 
>> Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di danno; per un altro 
>> ancora, tramite il mantenimento di un limite della misura della 
>> rivalsa. Tanto vale a stornare il paventato pericolo che l’abolizione 
>> del meccanismo processuale in esame determini un pregiudizio alla 
>> «serenità del giudice» come pure la temuta deriva verso una 
>> «giurisprudenza difensiva», ipotesi, questa, che evidentemente 
>> oblitera l’elevato magistero proprio di ogni funzione 
>> giurisdizionale. Che tutto ciò valga ad escludere il rischio – 
>> secondo una direttrice opposta a quanto riscontrato nel precedente 
>> assetto circa la sostanziale “irresponsabilità” dei magistrati – di 
>> un eventuale abuso dell’azione risarcitoria è questione, poi, che 
>> solo l’attuazione nel tempo della nuova disciplina potrà chiarire.
>>
>> 5.4.– Né le conclusioni sopra assunte palesano disarmonia o, 
>> tantomeno, contrasto con le pregresse affermazioni sul punto di 
>> questa Corte, richiamate dal Tribunale rimettente.
>>
>> Il giudice a quo evoca taluni contenuti argomentativi delle sentenze 
>> n. 2 del 1968 e, soprattutto, n. 18 del 1989 e n. 468 del 1990.
>>
>> È agevole tuttavia rilevare che la più remota di tali pronunce si è 
>> limitata ad affermare in termini generali, come già ricordato, 
>> l’esigenza di prevedere «condizioni e limiti» alla responsabilità del 
>> magistrato, avuto riguardo alla situazione normativa dell’epoca (che 
>> prevedeva una responsabilità civile diretta del magistrato limitata 
>> ai casi di dolo, frode, concussione e denegata giustizia, 
>> condizionando la domanda risarcitoria all’autorizzazione del Ministro 
>> di grazia e giustizia: originari artt. 55, 56 e 74 cod. proc. civ.). 
>> Affermazione, questa, di imprescindibile ed immutabile valenza, ma 
>> che risulta, al più, neutra rispetto all’odierno thema decidendum.
>>
>> Le affermazioni sul preteso «rilievo costituzionale» del filtro sono 
>> piuttosto contenute nella già citata sentenza n. 18 del 1989 e, 
>> soprattutto, nella n. 468 del 1990. Nella prima di tali pronunce, 
>> questa Corte ebbe ad affermare che «la previsione del giudizio di 
>> ammissibilità della domanda (art. 5, l. cit.) garantisce 
>> adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni “manifestamente 
>> infondate”, che possano turbarne la serenità, impedendo, al tempo 
>> stesso, di creare con malizia i presupposti per l’astensione e la 
>> ricusazione». Nella sentenza n. 468 del 1990, si enunciò poi 
>> l’assunto della «indispensabilità di un “filtro” a garanzia della 
>> indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale».
>>
>> Se doverosamente riguardate nella cornice storica e normativa, oltre 
>> che nella specifica occasio che ebbe a determinarle, queste 
>> affermazioni risultano tuttavia di valore assai meno dirimente 
>> rispetto a quello loro attribuito dalle argomentazioni del tribunale 
>> rimettente.
>>
>> L’affermazione – contenuta nella sentenza n. 18 del 1989 − relativa 
>> alla “garanzia adeguata” derivante dal preventivo giudizio di 
>> ammissibilità rispetto alla proposizione di azioni manifestamente 
>> infondate o temerarie non individua di certo, in tale rimedio, la 
>> soluzione unica e costituzionalmente obbligata affinché un sistema di 
>> responsabilità civile non risulti strutturalmente lesivo 
>> dell’autonomia ed indipendenza della magistratura, incidendo sul 
>> “perturbamento della serenità” del giudice. Già si è osservato che, 
>> in un mutato quadro storico e normativo, il legislatore ha praticato, 
>> in forme diverse e non censurabili per irragionevolezza, quel 
>> bilanciamento di valori contrapposti che, vigente la legge n. 117 del 
>> 1988, risultava svolto dal meccanismo procedurale in esame, oggi 
>> abrogato dalla norma censurata. Ciò è tanto più vero considerando, 
>> inoltre, che, anche a mezzo della citata argomentazione, questa 
>> Corte, con la sentenza n. 18 del 1989, ebbe a ritenere non fondato il 
>> dubbio di costituzionalità inerente all’«intera l. 13 aprile 1988, n. 
>> 117»: dubbio allora prospettato per «la previsione, in sé, di tale 
>> responsabilità», reputando, il giudice rimettente dell’epoca, che la 
>> stessa introduzione di una disciplina della responsabilità civile dei 
>> giudici per colpa grave compromettesse «l’imparzialità della 
>> magistratura, con l’attribuire alle parti uno strumento di pressione 
>> idoneo ad influenzarne le decisioni». Da qui la precisa valenza che 
>> il riferimento alla “garanzia adeguata” del filtro assumeva in quella 
>> decisione.
>>
>> Parimente, anche l’indicata affermazione della sentenza n. 468 del 
>> 1990 – circa la «indispensabilità di un “filtro” a garanzia della 
>> indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale» − assume 
>> una connotazione diversa rispetto a quella propugnata dal tribunale 
>> rimettente di soluzione costituzionalmente imposta. Mette conto, 
>> infatti, di rammentare l’assoluta peculiarità della prospettiva da 
>> cui tale affermazione trasse origine: quella, cioè, dell’estensione 
>> del meccanismo del filtro alle azioni di danno promosse per fatti 
>> anteriori alla sua entrata in vigore; azioni che – se pure fortemente 
>> limitate nei presupposti, in base all’abrogato art. 55 cod. proc. 
>> civ. – avevano, però, come destinatario diretto il magistrato. Come 
>> dire che il riferimento all’«indispensabilità di un “filtro”» quale 
>> garanzia dell’indipendenza ed autonomia del giudice risultava 
>> riferito ad un sistema così congegnato, del tutto diverso da quello 
>> odierno che non prevede forme di responsabilità diretta del magistrato.
>>
>> Alla luce di quanto precede, le questioni sollevate dal Tribunale 
>> ordinario di Genova in riferimento ai principi di indipendenza e 
>> autonomia della magistratura e di terzietà e imparzialità del 
>> giudice, di cui agli artt. 101, 104 e 111 Cost., debbono ritenersi 
>> quindi non fondate.
>>
>> 5.5.– Infondato è, altresì, il dubbio di costituzionalità avanzato 
>> dal giudice a quo in relazione all’art. 3 Cost., sulla base della 
>> ritenuta irragionevolezza intrinseca della soppressione del filtro di 
>> ammissibilità e della violazione del principio di eguaglianza 
>> rispetto alle «pronunce semplificate di inammissibilità» introdotte 
>> dal legislatore in rapporto alle impugnazioni ordinarie.
>>
>> Invero, l’àmbito del tutto eterogeneo in cui si muove il raffronto 
>> prospettato dal rimettente – e rappresentato dagli artt. 348-bis e 
>> 348-ter cod. proc. civ., in relazione all’appello, e dagli artt. 
>> 360-bis e 375, primo comma, numeri 1) e 5), cod. proc. civ., riguardo 
>> al ricorso per cassazione – rende la censura priva di fondamento. La 
>> mera «comunanza logica» evocata dal giudice a quo non vale 
>> evidentemente ad accomunare normativamente – e, dunque, a rendere 
>> comparabili − strumenti deflattivi e semplificativi innestati dal 
>> legislatore nel regime delle impugnazioni civili con l’abrogato 
>> meccanismo del “filtro di ammissibilità”, il quale riguardava il 
>> giudizio di primo grado, la cui disciplina generale non contempla 
>> analoghi meccanismi. E ciò anche a prescindere dalla diversità di 
>> scopi degli istituti nonché dalla discrezionalità di cui gode il 
>> legislatore nelle scelte in materia processuale, il cui limite della 
>> manifesta irragionevolezza, ad ogni modo, non risulta, nel caso in 
>> esame, travalicato né in senso assoluto, né “per comparazione”.
>>
>> 5.6.– È altresì infondata la censura dell’art. 3, comma 2, della 
>> legge n. 18 del 2015 per violazione del principio del giudice 
>> naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.), che si 
>> verificherebbe, secondo il giudice rimettente, perché la 
>> contemporanea pendenza del giudizio contro lo Stato e di quello 
>> principale – agevolata dall’eliminazione del “filtro di 
>> ammissibilità” – indurrebbe il giudice del secondo giudizio ad 
>> astenersi o all’astensione addirittura lo obbligherebbe, nel caso in 
>> cui intervenisse nel giudizio intentato nei confronti dello Stato.
>>
>> A prescindere dalla considerazione che l’identica situazione oggi 
>> paventata dal rimettente ben poteva verificarsi anche in vigenza del 
>> meccanismo abrogato, è sufficiente osservare che, secondo la 
>> giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezioni unite 
>> civili, sentenza 22 luglio 2014, n. 16627), la pendenza della causa 
>> di danno contro lo Stato non costituisce motivo di astensione o 
>> ricusazione del giudice autore del provvedimento. E ciò – come 
>> recentemente affermato dalla Corte di cassazione, sezioni unite 
>> civili, sentenza 23 giugno 2015, n. 13018 – neppure nel caso di 
>> intervento del magistrato in detta causa: non vi è, infatti, un 
>> rapporto diretto parte-magistrato, che valga a qualificare il secondo 
>> come debitore – anche solo potenziale – della prima.
>>
>> 5.7.– È infine non fondata la questione in riferimento all’art. 111 
>> Cost., sotto il profilo del contrasto con il principio della 
>> ragionevole durata del processo.
>>
>> Il giudice a quo – motivando tale dubbio di legittimità 
>> costituzionale sulla base dell’assunto che, abolito il filtro 
>> preliminare, i tempi per pervenire ad una pronuncia 
>> sull’ammissibilità sono invece quelli del processo ordinario, di 
>> «lunghezza eccessiva ed irragionevole» − non considera che detto 
>> dubbio dovrebbe per ciò stesso inerire a tutti i giudizi civili 
>> ordinari se non preceduti da meccanismi di preliminare delibazione 
>> della domanda simili a quello contemplato dall’abrogato art. 5 della 
>> legge n. 117 del 1988. Ciò che rende di evidente precarietà logica la 
>> premessa argomentativa del rimettente e, dunque, non fondata la 
>> questione che da essa si sviluppa.
>>
>> 5.8.– In conclusione, tutte le questioni di legittimità 
>> costituzionale, aventi per oggetto l’art. 3, comma 2, della legge n. 
>> 18 del 2015, prospettate dal Tribunale ordinario di Genova, debbono 
>> essere dichiarate non fondate.
>>
>> per questi motivi
>>
>> LA CORTE COSTITUZIONALE
>>
>> riuniti i giudizi,
>>
>> 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale 
>> degli artt. 2, comma 1, lettere a), b) e c), 3, comma 2, e 4 della 
>> legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilità civile 
>> dei magistrati), e dell’art. 9, comma 1, della legge 13 aprile 1988, 
>> n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle 
>> funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), come 
>> modificato dall’art. 6 della legge n. 18 del 2015, sollevate, in 
>> riferimento agli artt. 3, 24, 25, primo comma, 81, terzo comma, 101, 
>> secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal 
>> Tribunale ordinario di Verona, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale 
>> degli artt. «4 e/o 7», 7 e 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, 
>> come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del 2015, e dell’art. 
>> 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, sollevate, in riferimento 
>> agli artt. 3, 25, 101, «101 e seguenti», 104 e 113 Cost., dal 
>> Tribunale ordinario di Treviso, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale 
>> degli artt. 4, comma 3, 7, 8, comma 3, e 9, comma 1, della legge n. 
>> 117 del 1988, come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del 
>> 2015, e dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, sollevate, 
>> in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 101, 111 e «101-113» Cost., dal 
>> Tribunale ordinario di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale 
>> dell’art. 2, commi 2 e 3, della legge n. 117 del 1988, come 
>> sostituito dall’art. 2, comma 1, lettere b) e c), della legge n. 18 
>> del 2015, sollevate, in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 
>> 104, primo comma, 107, terzo comma, e 134 Cost., dal Tribunale 
>> ordinario di Enna, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
>>
>> 5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale 
>> dell’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015, sollevate, in 
>> riferimento agli artt. 3, 25, 101, 104 e 111 Cost., dal Tribunale 
>> ordinario di Genova con l’ordinanza indicata in epigrafe.
>>
>> Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo 
>> della Consulta, il 3 aprile 2017.
>>
>> F.to:
>>
>> Paolo GROSSI, Presidente
>>
>> Franco MODUGNO, Redattore
>>
>> Roberto MILANA, Cancelliere
>>
>> Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2017.
>>
>> Il Direttore della Cancelleria
>>
>> F.to: Roberto MILANA
>>
>> _______________________________________________
>> Area mailing list
>> Area a areaperta.it <mailto:Area a areaperta.it>
>> http://mail.areaperta.it/mailman/listinfo/area_areaperta.it
>
>
> _______________________________________________
> Area mailing list
> Area a areaperta.it
> http://mail.areaperta.it/mailman/listinfo/area_areaperta.it

-------------- parte successiva --------------
Un allegato HTML è stato rimosso...
URL: <http://mail.areaperta.it/mailman/private/area_areaperta.it/attachments/20170712/ec5f083f/attachment.html>


Maggiori informazioni sulla lista Area