[Area] R: Che vi ho fatto?

Ottavio Sferlazza ottavio.sferlazza a giustizia.it
Gio 21 Set 2017 11:18:34 CEST


Nel ringraziare Bruno Giordano per avere ieri ricordato la nobile figura di
Rosario Livatino e le sue ultime parole rivolte ai killers che lo
inseguirono nella scarpata in cui  aveva cercato un disperato tentativo di
fuga, anche io desidero ricordarlo nel giorno del 27° anniversario del suo
sacrificio.

In quella scarpata, quel giorno, quale sostituto in servizio presso la
procura di Caltanissetta, dovetti scendere e sollevare il lenzuolo che
pietosamente copriva il volto di Rosario.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo e di essergli amico, essendo entrambi
della stessa provincia, io di Agrigento lui di Canicattì.

Ho diretto le indagini e sostenuto l’accusa nel giudizio di primo di grado;
per questo  voglio qui ricordare e ringraziare anche Pietro Nava, il
testimone che, dimostrando altissimo senso civico e coraggio,  si recò
subito alla Questura di Agrigento a riferire ciò che aveva visto poco prima
sulla SS 640 attraverso lo specchietto retrovisore, riconoscendo in un album
fotografico  il Killer Pace Domenico  mentre scavalcava il guard- rail con
la pistola in pugno, inseguendo un uomo con la camicia bianca. Pietro Nava ,
grazie alla sua testimonianza ed al riconoscimento reiterato in sede di
formale ricognizione di persona, ha consentito la condanna degli esecutori
materiali, ed oggi è costretto a vivere con altre generalità all’estero con
tutta la sua famiglia.              

 Di Rosario, magistrato integerrimo, raffinato giurista ed uomo di profonda
fede, voglio oggi ricordare una sua bellissima riflessione :  

“Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti ,
ma credibili” 

Ottavio Sferlazza

Procura palmi  

.

 

Da: Area [mailto:area-bounces a areaperta.it] Per conto di Giordano Bruno
Inviato: mercoledì 20 settembre 2017 17:30
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Oggetto: [Area] Che vi ho fatto?

 

 

"Che vi ho fatto ?"

 

Queste le ultime parole pronunciate da Rosario Livatino il 21 settembre 1990
sulla strada da Canicattì ad Agrigento, guardando in faccia quattro giovani
armati dalla Stidda per eliminare un giudice che faceva semplicemente il suo
dovere, senza protagonismo alcuno. Del delitto fu casualmente testimone
oculare Pietro Nava, un commerciante del nord Italia le cui dichiarazioni
furono fondamentali per individuare gli assassini.

Rosario Livatino si era occupato della Tangentopoli siciliana e aveva emesso
numerosi provvedimenti per la confisca dei beni. Alla Procura di Agrigento
aveva condotto le indagini sugli interessi economici della mafia, sulla
guerra di mafia a Palma di Montechiaro, sull'intreccio tra mafia e affari,
delineando il "sistema della corruzione", che con la mafia condivide
arroganza e vessazione.

Otto mesi dopo il
<https://it.wikipedia.org/wiki/Presidente_della_Repubblica_Italiana>
Presidente  <https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Cossiga> Francesco
Cossiga definì «giudici ragazzini» una serie di magistrati di prima nomina
impegnati nella lotta alla mafia:


« Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino
che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l'azione penale a
diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a
nessuno...? Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha
fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini
complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un'autentica
sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno
l'amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a
un piano con una sola finestra, che è anche la porta. »

Nacque così la definizione di giudici ragazzini.

Una parte dello Stato che doveva essere solidale con i magistrati
indipendenti e coraggiosi come Livatino invece denigrava, umiliava,
mortificava.

Ecco allora un passo di un discorso pronunciato da Rosario Livatino il 7
aprile 1984: "La magistratura, per restare ancora fedele al dovere
costituzionale di fedeltà alla legge, altro non cerca, anche per evitare
ondeggiamenti, incertezze ed ulteriori ingiusti rimproveri, che di poter
disporre di dettati normativi coerenti, chiari, sicuramente intelligibili,
nonché di testi negoziali nei quali la posizione di diritto e di obbligo
delle parti non sia offuscata da una trama tormentata di sottili e
complicate espressioni verbali, che nascondono premesse politiche tutt'altro
che chiare anziché una precisa volontà che sostenga il precetto. Fin quando
tutto questo non sarà assicurato dal nostro legislatore e dalle parti
sociali in sede di contrattazione, sarà ineliminabile che il giudice di
Pordenone ed il giudice di Ragusa, con gli abissi di cultura e dei substrati
territoriali, sociali ed economici nei quali si trovano ad operare, cerchino
di districarsi nella perigliosa giungla di queste regolamentazioni
adoperando dei machete interpretativi tra loro dissimili o addirittura
contraddittori."

Forse qualcuno ha dimenticato troppo presto queste parole.

 

Bruno Giordano

 

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