[Area] Vigilia

mario ardigo marioardigo a yahoo.com
Dom 24 Dic 2017 08:01:59 CET


Vigilia


 
 Nella grande Cina comunistadi oggi si festeggia il natale, ma non è un giorno festivo per la legge civile.Gli innamorati si scambiano doni e comprano i regali in negozi e centricommerciali addobbati come in Occidente, con l’Albero di natale, i Babbi natalee tutto il resto. Molto vicino a casa mia, qui a Roma, ha aperto un negoziogestito da una coppia cinese, con un bimbo, in cui vendono tutto quello cheserve nella vita quotidiana. Ieri lì ho comprato un piccolo trolley per miamadre. “Di che colore lo vuole?”, mi ha chiesto l’uomo. Volevo che sidistinguesse dalle altre valigie degli ospiti del pensionato dove mia madrevive e ho scelto il rosso. “Rosso…Natale!”, ha detto lui. Non ci avevo propriopensato… A me il rosso evoca altre cose, altre esperienze: anticamente, a Roma,era il colore delle vesti dei potenti ed è per questo che poi si è tramandatoin quelle dei più potenti del clero cattolico. Ma è anche, dall’Ottocento, ilcolore della lotta del popolo: rosse erano le divise dei garibaldini, rosse lebandiere del socialismo. Il rosso natalizio è stato inventato nel Novecentodalla The Coca Cola Corporation, chel’ha usato nel costume del suo pupazzo SantaClaus - Babbo natale, il quale nella tradizione vestiva di verde,probabilmente perché metamorfosi di una primordiale divinità silvana. In quelmomento ho pensato: come spiegherei a questi signori il nostro  Natale? Ma in chesenso  nostro? Perché, più o meno, il natale chec’è in giro  è uguale a loro, dei cinesi.E’ l’indizio di una colonizzazione culturale dei cinesi da parte degli europeiche non  è mai veramente riuscita allaloro religione principale, nelle sue varie denominazioni. Più difficile parlaredel Natale dei cristiani, anche per me che ho vissuto tanto a lungo tra loroche forse non mi si riesce più a distinguere bene da loro.  Da dove cominciare? Da questo: in Cina e danoi c’è un natale innocuo, tanto che gli oligarchi cinesi di oggi non locombattono più, e anche da noi è in genere così: questo segnala che non sitratta del Natale cristiano. Perché il Natale cristiano  è strettamente collegato all’idea un radicalecambiamento sociale a partire da una conversione interiore e individuale perpoi farsi sociale, è una forza critica, temuta da sempre da ogni potente. 

  Per provare a capireil Natale cristiano, bisogna cancellarne in noi  tutte le immagini correnti, compresa quelladel presepe, comprese quelle diffuse in religione. Cancellate tutto, tutto(potrete riprenderlo poi, dopo esservi convinti però che non c’è in esso nulladi essenziale). Cancellate. Anche la festa della famiglia, il bambinello, ipastori, i Magi, la Stella ecc. Rinunciate ad ogni immagine. Che rimane?

  Quando ti inizianoalla fede ti spiegano che è questo che si deve fare. 

   Ignazio di Lojola,mistico del Cinquecento, ci scrisse sopra una specie di manuale, gli Esercizi. 

   E’come quando si sbuccia una cipolla, togli strato dopo strato, quello che rimaneè l’essenziale, Ma, ripeto, che rimane?

  La fede è statadescritta come l’inoltrarsi, ascendendo, in una notte oscura, o anche come ilgettarsi in un precipizio al buio. Ma è pure spiegata come illuminazione.“Ciascuno dalla sua notte va verso la luce” cantò Victor Hugo, nella poesia Lescontempations

  Puis vous m’avez perdu de vue ;un vent qui souffle
Disperse nos destins, nos jours, notre raison,
Nos cœurs, aux quatre coins du livide horizon ;
Chaque homme dans sa nuit s’en va vers sa lumière.

 Nella concezione cristiana, la luce non è in noi, e nemmenoandiamo verso di essa prima che si manifesti: essa  viene a noi. L’attendiamo, come la sentinellaattende l’aurora, nella sua veglia, ripetendoci l’un l’altro le parole delsalmo: Sentinella, a che punto è la notte?..Si manifesta, andiamo e l’adoriamo.  Questo è il Natale per i cristiani. E’ lamanifestazione della luce: Natale, Capodanno, Epifania: un’unica festa, sicelebra la stessa cosa. 

Lo dico con ilgreco antico delle scritture sacre dei cristiani: E zoè en to fos ton antropòn, kai to fos en te skotia fàinai - lavita  era luce per gli uomini e la lucesplende nelle tenebre. I colleghi che lavorano dalle parti di piazza Cavourlo potranno leggere nell’iscrizione sopra la porta del bel tempio valdese chec’è là: lux lucet in tenebris. El’annuncio del Natale dei cristiani.

 Teònudèis eòraken pòpote, lo confessiamo, non l’abbiamo mai visto, nessuno l’ha mai visto,  il Creatore, il Fondamento,  ma ekèinosexegèsato, ci è stato rivelato. OTeòs agàpe estìn: è null’altro che agàpe,l’Eterno, l’Atteso. Ecco il senso di tutto: ciò che ci è stato rivelato. Questaè l’illuminazione, la luce dell’agàpe. Non l’abbiamo capito  da noi stessi, scoperto, ci si è manifestato e ancoraci si manifesta e l’attendiamo alla fine dei tempi. E l’invocazione del Nataleè èrku! Vieni!.

 Null’altro conta, null’altro vale, perché  nunìde menèi pìstis, elpìs, agàpe, ta tria tàuta: mèizon de tuton e agàpe.Rimangono  la fede, la speranza el’agàpe, proprio queste cose, ma la più grande è l’agàpe. Non è lontana da noi,s’è fatta come noi, è accanto a noi, prende dimora in noi, è luce per le nostrevite, speranza in cui confidiamo nelle nostre tenebre, in ogni nostra angosciae nell’ultima ora. Nulla le è pari, a tutto siamo disposti a rinunciare se faombra alla sua luce, essa è la guida nella nostra conversione. Vegliamo, pernon esserne distolti. E’ il senso della Veglia di questa notte, ma di ogniVeglia di ogni liturgia cristiana. 

 L’agàpe dunque è allanostra portata e richiama l’idea di un convito in cui ce n’è per tutti enessuno è escluso. Se ne ha l’immagine anche come di una città che ci è donatae scende dall’Alto. E dòxa tu Teùefòtisen atèn - lo splendore stesso della santità dell’Eterno la illumina. Inessa nux gar uk èstai ekèi  - là non vi sarà più notte. Eppure: chevediamo intorno a noi e anche in noi? Siamo esseri viventi al pari di quellinon umani e in noi sentiamo ancora l’istinto di belva. Il rovello dellateologia cristiana, fin dalle origini, sta tutto qui. In fondo la storia deicristiani è stata tutta un progettare e costruire città nuove, civiltà nuove,interi mondi  nuovi, tra nostalgia di ciò che non è maistato, ma si vorrebbe che fosse stato, e attesa di ciò che potrebbe ancoraessere. Nel distacco da tutto ciò che c’è,vissuto come imperfetto, ancora bisognevole di agàpe, ma tuttavia costruendo suciò che c’è, convinti che in esso visia il germe del nuovo. Non costruiamo su fantasie. Ciò che c’è ci è dato come un bimbo, bisognevoledi cura. Lo si può avere tra le mani. Crescerà? Siamo convinti che cresceràbene. Ma non dipende solo da noi. Dipendesse solo da noi, non sarebberagionevole la speranza. Da chi allora? E anche su  questo che ci si interroga nel tempo diNatale. Si rammenta la teologia della storia: il senso della storia umana. E’possibile congiungere Cielo e Terra, ciò che è umano e ciò che è eterno? Lanostra evidenza di belve, alla quale sempre si tende a ritornare, dalla quale ècosì difficile, ma anche così bello, elevarsi, è l’ultima parola su di noi? E’su questo che i cristiani hanno sviluppato, nell’arco dei primi secoli, lateologia del Natale. Costruita intorno alla persona del primo Maestro, coluiche ha rivelato, la nostra luce. Così, si dà un Nome alla nostra speranza. Ognigenerazione poi  ha aggiunto qualcosa ocorretto qualcosa: il cristianesimo è un’opera collettiva. I secoli non sonopassati invano. Ma si cerca di non dimenticare nulla. E così è stato anche peril Natale. Ma è un lavoro che non ancora compiuto. Il nuovo ci sorprende e, delresto, è proprio questo che si attende, che ci sorprenda. L’attesa vigile è alcentro della spiritualità del Natale cristiano. Kai to pneuma kai nùmfe lègusin: èrkou - E lo spirito e la sposadicono: «Vieni!»

Mario Ardigò  - Roma

  



 

  

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