[Area] Notti bianche e non solo...

Francesco Messina frate.adso1962 a gmail.com
Dom 13 Gen 2019 11:34:26 CET


Nei mesi scorsi ho rappresentato ai colleghi le iniziative marchigiane di AREA per stabilire un dialogo costante, e non occasionale, con le scuole.

La scelta è stata quella di un’azione convergente nei contenuti (almeno per quanto è possibile) da sviluppare o da approfondire all’interno dei programmi di studio dei docenti.

E così venerdì sera, sino a tarda ora, ho partecipato all'iniziativa organizzata dall'Istituto "Nolfi" di Fano per la "notte bianca" dei licei classici.
Sono state ore piene di sentimento e di ragione, grazie a un programma davvero splendido organizzato da professori e studenti.
Ho percepito la loro passione, il loro impegno, il loro credere in ciò che facevano.
Li ringrazio per la vitalità che hanno generato in tutti e in me in particolare.
Ho dato il mio contributo, trattando il tema “Socrate. problema o risorsa civile? Il processo come luogo della riflessione critica” .
Ho ascoltato ottime relazioni tenute dai docenti. Gli studenti hanno offerto spunti di grande interesse.

Insomma, mi sono arricchito non poco.

Da tutto ciò ho tratto qualche considerazione.

Ho tratto spunto anche dallo straordinario riscontro di pubblico avuto da Roberto Scarpinato, il 30 novembre scorso, sempre a Fano, nell’ambito di una iniziativa patrocinata dall’ANM delle Marche.

L’incontro con Roberto Scarpinato non ha dato solo la possibilità (davvero unica) a chi era presente di fissare e mettere in logica, ordinata sequenza alcuni tasselli decisivi per la storia italiana.

E’ stata anche l’occasione per comprendere che ci sono precise esigenze nella comunità, più o meno pensante, di cui siamo parte. 
Esiste, ed è forte nella sua cogenza, il desiderio di approfondire temi che riguardano la verità, il diritto, la giustizia.
E non solo con la consapevolezza dei meccanismi giuridici, ma anche della storia processuale italiana, intesa come parte decisiva per una vera memoria collettiva.
Certo, si tratta di essere disponibili e duttili sul piano comunicativo, ma lo spazio d'interlocuzione e di condivisione è ancora ampio, purché lo si voglia vedere e praticare.
Come cittadini e come magistrati non ci possiamo sottrarre, a patto, però, che la tutta nostra storia – compresa quella dei colleghi che, in solitudine, si sono posti come elemento di contraddizione positiva rispetto a persone, prassi, sistemi di potere, e come tali spesso dimenticati o resi “insipidi” nel loro ricordo, vale a dire senza il significato urticante dei loro pensieri e delle loro azioni – sia compresa, sia “saputa” da chi entra – ora - in magistratura.

Nell’ansiogena ricerca di ciò che è “moderno”, di ciò che è “attuale”, si dimentica che esso, per definizione, è transeunte, non è stabile, sarà trascinato via dal passare del tempo.
E allora forse è davvero il caso di recuperare ciò che noi siamo in senso “classico”. Di fare della nostra memoria storico-professionale una categoria non statica, ma dinamica, attiva.

Si è “classici” quando si sopravvive al “moderno”, quando si “resiste” al “qui e ora” nel senso più furbesco e semplificante dell’espressione. Senza capacità critica, senza confronto, senza il giusto distacco rispetto a ciò che rischia di far diventare asserviti al (o servi del) momento.


Se si tratta, allora, di “resistere”, di selezionare il meglio che supera il tempo contingente, il semplicemente “moderno”, la scuola rappresenta l'ultimo territorio non ancora definitivamente espugnato dall'idiozia di massa.
La diseducazione al ragionamento, scopo principale del sistema mediatico e di precisi interessi negli ultimi decenni, ha abbassato il senso critico complessivo.
Ma c'è, ancora, un luogo collettivo e culturale da presidiare.
C'è, ancora, una trincea etica da difendere.
Ed è, appunto, la scuola. Il luogo in cui, anche etimologicamente, s’insegna a non essere “al servizio” di nulla. A essere autenticamente liberi di pensare secondo i principi che aiutano a “stare” nella Storia, elaborando, cioè, un giudizio critico rispetto al momento, e non a soccombere a esso.
Lo si può fare non solo dando il nostro contributo conoscitivo, ma stando anche vicini agli insegnati della scuola secondaria.
Condividendo le difficoltà del loro lavoro, le loro problematiche organizzative, le loro istanze economiche.
Contribuendo a ristabilire l'autorevolezza sociale della loro professione.

Contrastando il disegno impiegatizio che il contesto (in)culturale si vuole attuare – e in parte non minima è stato realizzato - proprio per insegnanti e magistrati.

C’è uno spazio in cui misurare il nostro compito professionale e intellettuale.

Ma ben sapendo che non c'è compito più difficile e appassionante che educare un giovane a essere libero nella mente e nel cuore, in modo autentico e responsabile.

Francesco Messina, Tribunale Pesaro
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