[Area] FOCUS SU RIFORMA CRISI D'IMPRESA

Rachele Monfredi rachele.monfredi a giustizia.it
Ven 25 Gen 2019 07:16:25 CET


Non ho ancora letto l’allegato (per la cui trasmissione ringrazio)  . Concordo in pieno sull’importanza  di un approccio unitario e sul fatto che mai come in questo settore diritto penale e civile sono inscindibilmente collegati.
Per questo sarebbero auspicabili (dal mio punto di vista) anche sinergie tra le sezioni fallimentari dei tribunali e i dipartimenti delle procure che si occupano di criminalità economica.
Credo tuttavia che un altro punto dolente - dal quale non si può prescindere - sia quello del rispetto delle regole nell’erogazione del credito bancario!
Buona giornata a tutti
Rachele Monfredi
(sezione impresa Palermo)

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Il giorno 25 gen 2019, alle ore 01:15, Sergio Rossetti <sergio.rossetti a giustizia.it<mailto:sergio.rossetti a giustizia.it>> ha scritto:

Felice, per fortuna non è come dici.
Una delle disposizioni della legge delega prevedeva espressamente l’obiettivo della riduzione dei costi delle procedure ccdd minori e di tanto si trova ampia traccia nel codice della crisi. Poi possiamo ragionare della sufficienza e adeguatezza di queste norme, ma un considerevole passo avanti, anche in termini di chiarezza, nel codice della crisi si trova.
Quanto alla maggiore convenienza nel commettere reati fallimentari, anziché comportarti come un imprenditore onesto “perché ormai chi fallisce non ha paura nemmeno della sanzione penale”, hai centrato il punto.
Il punto, però, si contrasta avendo bene in mente che il sistema fallimentare è un sistema complesso in cui il diritto civile non può fare a meno del diritto penale.
Se funzionasse il sistema penale di repressione dei reati di bancarotta, gli imprenditori non riterrebbero affatto conveniente porre in essere condotte distrattive o di ritardo nella dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che, intervenuto il fallimento, i creditori potrebbero trovare ancora attivi da liquidare, attivi che nella prospettiva della legge fallimentare (e del nuovo codice) sono imprese funzionanti e non cadaveri.
Se il sistema penale non funziona, i fallimenti, invece, venderanno sempre quattro sedie e due computer, perché, statisticamente sarebbe sempre più conveniente per l’imprenditore disonesto tentare la strada della bancarotta, anziché quella dell’emersione tempestiva dell’insolvenza.
Allora si tratta di capire quali prassi adottare perché le sezioni fallimentari dei Tribunali parlino sempre di più e meglio con le procure istituite presso quei Tribunali.
Senza farci prendere da facili disfattismi o, al contrario, da ingenui entusiasmi, a Milano ci stiamo provando con un protocollo sulla relazione 33 (che sarà relazione 130 del nuovo codice) che ha proprio il fine di consentire una più spedita repressione dei reati fallimentari per dare il segno che non è affatto conveniente fare bancarotta.
È stato creato  in Procura un dipartimento specificamente dedicato alla crisi d’impresa con i cui magistrati, nel rispetto assoluto delle reciproche funzioni, si dialoga costantemente.
Ovviamente si tratta solo di una delle tante esperienze che su questa linea si muovono sul territorio (penso ai protocolli siglati tra Tribunale e Procura in Tribunali come quello di Bergamo o di Catania, per citarne due, almeno geograficamente, assai distanti tra loro).
Insomma, Felice, in un triste periodo in cui sulla base di luoghi comuni per bieche ragioni si è disposti a stracciare vite umane, non mi pare davvero il caso di ridurre le discussioni a cliché senza tenere conto del fatto che le cose potrebbero cambiare se provassimo ad esercitare fino in fondo i poteri (e i doveri) che ci sono stati assegnati.
Sergio Rossetti (GD, Milano)

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Il giorno 24 gen 2019, alle ore 22:43, thorgiov <thorgiov a libero.it<mailto:thorgiov a libero.it>> ha scritto:


Debbo correggere un refuso. Ovviamente intendevo dire che l'impresa che non paga deve semplicemente chiudere subito, per NON creare altri danni. La mia esperienza di giudice fallimentare è stata tutto sommato breve, però ne ho tratto una convinzione. In realtà le procedure concorsuali hanno un senso solo quando ad essere insolventi sono grosse imprese. Negli altri casi esistono già le procedure esecutive individuali. Sostanzialmente il fallimento, in sè per sè, non serve a nulla, perchè nella stragrande maggioranza dei casi si chiude senza nemmeno un soldo. Di fatto la procedura concorsuale serve solo a far guadagnare qualcosina ai professionisti, perchè tanto c'è sempre il patrocinio a spese dello Stato. Anzi, la procedura stessa diventa una vera e propria vacca da mungere fino allo sfinimento, grazie a incarichi di consulenza ed a liti intentate a suo nome. Il legislatore, anzichè contrastare questi fenomeni deleteri, li agevola, fino a rasentare il grottesco quando considera definita la procedura anche quando sono ancora pendenti i giudizi iniziati da o contro il fallimento, perchè l'importante è ingannare l'Europa fingendo che l'Italia è in grado di garantire la rapida definizione dei processi, quando tutti sanno che si tratta di una finzione. Per l'appunto, di una finzione grottesca. Vero è che la dichiarazione di fallimento è il presupposto per far emergere condotte distrattive che poi costituiscono reato, per es. di bancarotta, e quindi in teoria il sistema serve a sanzionare i responsabili della insolvenza almeno sotto il profilo penale. Ora, il sistema, anche sotto questo aspetto, non funziona, perchè ormai chi fallisce non ha paura nemmeno della sanzione penale.  In realtà molti imprenditori diventano insolventi perchè si sopravvalutano, fanno sempre il passo più lungo della gamba, credono che possono indebitarsi a piacimento, anche con gli usurai, perchè sono convinti che poi guadagneranno talmente tanto che usciranno dalla crisi. Il sistema di allerta rischia di agevolare queste prassi, perchè la sua finalità, come quella dei tanti istituti che nel corso degli ultimi anni sono entrati in vigore, è quella di salvare a tutti i costi un cadavere che cammina. Ma un cadavere che cammina non serve a niente, se non a fare esplodere una epidemia, perchè l'insolvenza questo è : una catena viziosa, in cui un anello fa saltare l'altro.

FELICE  PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )

Il 24/01/2019 18:34, Sergio Rossetti ha scritto:
Veramente, Felice, il sistema prova a distinguere, seriamente, tra crisi e insolvenza e a creare una serie di strumenti perché anche le PMI siano in grado di affrontare la crisi prendendone contezza in tempo e approntando le relative misure per salvare - perché no? - l’impresa e il reddito dei lavoratori.
 Trovi tutto nei primi 25 articoli del nuovo codice.
Molti colleghi ripongono notevole fiducia nel nuovo sistema di allerta, pure consapevoli dell’esistenza di alcuni limiti del meccanismo, della possibilità di migliorarlo anche immaginando (ma la questione non riguarda prevalentemente le misure di allerta) delle buone prassi (e sì, Felice, non smetteremo mai di pensare a prassi virtuose ...) da condividere nei diversi uffici.
Questo atteggiamento disfattista prima ancora che il nuovo sistema entri in vigore, sinceramente, non lo comprendo.
Mi pare che questo sia il tempo dello studio approfondito e della seria riflessione per sfruttare al meglio le potenzialità del nuovo codice.
Ringrazio, quindi,  Fabio per la cortese segnalazione, apprezzando nel suo intervento, in particolare, il corretto inquadramento del tema, perché ogni ragionamento sulla crisi d’impresa non può prescindere da una riflessione sui comportamenti criminali nell’economia apparentemente legale.

Sergio Rossetti
(Giudice Delegato, Milano)

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Il giorno 24 gen 2019, alle ore 17:21, thorgiov <thorgiov a libero.it<mailto:thorgiov a libero.it>> ha scritto:


C'è un errore di fondo nella impostazione della ennesima riforma : il sistema di allerta dovrebbe tendere a prevenire l'insolvenza conclamata. Ma intanto il debitore continuerà a non pagare, ed avrà anche uno scudo di nove mesi per proteggersi dalle azioni esecutive individuali. Sappiamo tutti benissimo che il fallimento è il modo migliore per non pagare i debiti o per pagarli solo in parte, magari con l'istituto della esdebitazione o con gli accordi di ristrutturazione. L'idea è che bisogna salvare l'impresa ad ogni costo. Questo è sbagliato. L'impresa che non paga deve semplicemente chiudere subito, per creare altri danni.

FELICE  PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )

Il 24/01/2019 10:35, Fabio REGOLO ha scritto:
Ricordo che qualche giorno fa su queste liste ci siamo confrontati sul tema - a mio avviso molto importante e sul quale in termini di “politica giudiziaria” si potrebbe/dovrebbe investire molto di più di quanto non si faccia - degli effetti negativi della criminalità economica e più in generale dei cosiddetti reati dei colletti bianchi sulla crescita del nostro paese. Abbiamo quindi ricordato come l’illegalità economica e le conseguenti esternalità negative di fatto, se ragioniamo con una ottica di sistema, impediscono la realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale.

Credo utile a tal proposito girare un inserto comparso ieri su “Il Sole 24 Ore” dedicato alla importantissima riforma della legge fallimentare appena varata. Il contributo, sia pure con una illustrazione di alcune parti ovviamente molto sintetica, è a mio avviso prezioso per farsi una prima idea in quanto realizzato con il contributo di molti colleghi (la maggior parte dei quali vicini a “quelli di San Servolo”) che hanno fattivamente contribuito alla nascita di una serie di nuovi istituti o che comunque hanno animato il percorso di riforma.

Buona lettura a tutti,

Fabio Regolo




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