[Area] SUGLI ATTACCHI STRUMENTALI ALLA COLLEGA CARPANINI

Antonella Marrone antonella.marrone a giustizia.it
Ven 15 Mar 2019 17:43:52 CET


a dire il vero non mi sembra di aver letto nessuno, prima di te, che abbia espresso l'opinione secondo cui è preferibile che sia lo stesso estensore della sentenza a parlare.

quindi prendo atto della "novità" del convincimento che esprimi.

in quest'epoca storica (triste, di piena decadenza) ci teniamo molto, con ogni nostro atto, a dichiarare che siamo persone e cittadini oltre  che magistrati, e dunque che abbiamo il diritto di parlare, esprimerci, farci fotografare, adesso anche farci intervistare...

personalmente, credo che non sarebbe malvagio un sano ritorno al passato perchè un magistrato, nella società, è prima un magistrato e poi se stesso. per forza di cose.

oneri e onori.

ma se avessi torto e non fosse cosi, se dovessi parlare dei fatti di un processo prima con la sentenza e poi con la gente, forse mi premurerei quanto meno di non provvedere ad una traduzione dei miei atti in termini di "pena" o "compassione" perchè questa commistione tra la mia penna in nome del popolo italiano ed i miei sentimenti non giunga, con la volontà di spiegarmi, ad annichilire il senso di ciò che ho fatto non in mio nome.

AM


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Da: Area <area-bounces a areaperta.it> per conto di thorgiov <thorgiov a libero.it>
Inviato: venerdì 15 marzo 2019 16:47
A: area a areaperta.it
Oggetto: Re: [Area] SUGLI ATTACCHI STRUMENTALI ALLA COLLEGA CARPANINI


Sono d'accordo con te, nel senso che anche io sono del parere che sarebbe preferibile che a rispondere ai pubblici attacchi contro la collega fosse quest'ultima con una intervista. In fin dei conti a che cosa serve il solito comunicato dell'ANM ? A nulla ! Il sindacato non può fare altro che limitarsi a difendere l'operato del singolo magistrato richiamandosi al principio che le sentenze, prima di essere criticate, dovrebbero almeno essere lette, e che non è corretto estrapolare un singolo passo della decisione per giungere a conclusioni che in realtà seguono il sentito dire. Beninteso, il principio in sè è giusto, ma l'opinione pubblica, come efficacemente ricordava il Berlusca ai suoi adepti quando fondò un proprio partito, non è fatta di professori universitari. Non ha senso usare il solito linguaggio degli addetti ai lavori, perchè si tratta di un linguaggio incomprensibile per la maggior parte dei cittadini. Inoltre il sindacato a sua volta esprime delle opinioni su una sentenza senza conoscere nulla degli atti, al pari dei giornalisti e dei politici. L'unica persona che veramente li conosce è l'estensore della sentenza, e solo lui potrebbe almeno tentare di far capire al popolino qual è il senso della sua decisione. Purtroppo vedo che i magistrati sono rimasti ai codici di comunicazione tipici dell'Ottocento, fermi all'idea che il riserbo è la regola cui deve attenersi il Giudice e che quest'ultimo parla solo con i suoi atti. Il problema è che sono passati secoli da quell'epoca, e non si può fare sempre finta che nulla sia cambiato, perchè alla fine il cambiamento ti arriva addosso e ti travolge.

FELICE   PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )


Il 15/03/2019 12:18, Antonella Marrone ha scritto:

Concordo su tutto quanto esposto dal collega Basilico.

Quindi colgo l'occasione per domandare se, effettivamente, nella operazione complessa e tecnica di lettura della sentenza e sua eventuale impugnazione da parte dei soggetti legittimati ed interessati a farlo possa correttamente inserirsi una intervista rilasciata agli organi di informazione dallo stesso estensore della sentenza, a "chiarimento" della stessa ed a difesa personale dai pubblici attacchi.

Sono sinceramente interessata alle risposte che voi colleghi vorrete fornirmi in merito, certa del fatto che siamo tutti consapevoli della circostanza per cui in condizioni di stabile delegittimazione ed attacco occorre difendersi con modalità meditate ed adeguate e che qualsiasi errore o "sbavatura" non esplica i suoi effetti solo ai danni del singolo magistrato ma si riverbera sulla intera categoria.

Cosa occorre spiegare dunque personalmente alla stampa, ed in quali tempi e condizioni?

Manifesto una perplessità che gradirei venga dissipata, in modo da chiarire una volta per tutte a quali principi è bene che ci si attenga al fine di tutelare il prestigio e l'immagine della magistratura nel suo complesso.

Saluti

Antonella Marrone

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Da: Area <area-bounces a areaperta.it><mailto:area-bounces a areaperta.it> per conto di Marcello Basilico <marcello.basilico a giustizia.it><mailto:marcello.basilico a giustizia.it>
Inviato: venerdì 15 marzo 2019 08:05
A: 'AREA Mailing List'
Oggetto: [Area] SUGLI ATTACCHI STRUMENTALI ALLA COLLEGA CARPANINI


In una democrazia le sentenze sono soggette a critica così come le leggi e gli atti di governo: fa parte del controllo della pubblica opinione a cui ogni istituzione è soggetta. E noi magistrati sappiamo benissimo che pronunciando sentenze in nome del popolo italiano abbiamo il dovere di spiegare le ragioni per cui si prendono le decisioni.
E noi spieghiamo le ragioni delle nostre decisioni attraverso le motivazioni, che però vanno lette tutte e per intero anche quando sono complesse e articolate senza estrapolare dal contesto singole frasi o parole, con il solo fine strumentale di aizzare l'opinione pubblica contro l'esercizio della giurisdizione attraverso letture scandalistiche e parziali.
Soprattutto chi ha responsabilità istituzionali e di governo sa, o dovrebbe sapere, che prima di esprimere giudizi semplificati le questioni vanno approfondite leggendo la sentenza del Tribunale di Genova (depositata tre mesi fa...), e poi si possono muovere con cognizione di causa le critiche, anche le più dure.
Come magistrati siamo ormai abituati da molti anni ad essere attaccati per le decisioni che prendiamo: e ciò nonostante continueremo a fare il nostro lavoro con la dignità e l'indipendenza che ha dimostrato proprio la nostra collega Silvia Carpanini, a cui va la nostra incondizionata solidarietà per essere diventata un altro bersaglio, utile per una campagna di manipolazione dell'opinione pubblica.

Al giudice spetta giudicare il fatto e la persona che gli sta davanti senza pressioni esterne: è per questo che i processi non si fanno al bar o nei salotti televisivi ma in un luogo neutro dove, nel contraddittorio, si presta attenzione a ciascuna delle parti in causa.

Al legislatore spetta valutare se i meccanismi previsti dalla legge sono adeguati: ma non si può chiedere ad un giudice di non applicare le attenuanti se sono previste dalla legge.
Per correggere le sentenze esiste l'appello: peccato, però, che da anni il legislatore ha abolito la possibilità del Pubblico Ministero di impugnare le sentenze in questi casi proprio per limitarne il ruolo.

Ma parlare di "delitto d'onore" o usare altre forme semplificate di comunicazione serve solo ad alimentare la sfiducia nei confronti dell'autorità giudiziaria: e ciò non fa bene al Paese e alla società democratica.




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