[Area] 23 maggio 1992: In quella voragine è finita anche una parte dello Stato

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Gio 23 Maggio 2019 09:22:12 CEST


IN QUELLA VORAGINE È FINITA ANCHE UNA PARTE DELLO STATO 

_ __IL MANIFESTO_, 23 MAGGIO 2019 

 Ventisette anni fa, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo,
sapevano di rischiare molto, ma rappresentavano lo Stato e dovevano
garantire la sicurezza dei magistrati che li precedevano nella carovana
di autovetture che percorreva l'autostrada in direzione Palermo. Davanti
a loro Francesca Morvillo e Giovanni Falcone; quest'ultimo era appena
rientrato da Roma dove era stato chiamato dal Ministro della giustizia
alla direzione degli Affari penali di quel Dicastero. Per ucciderli fu
fatta esplodere una tonnellata di tritolo. 

Non è stato facile interpretare l'operato di Giovani Falcone, quando era
in vita. Ci furono molti fraintendimenti inspirati da altrettanti
pregiudizi. Neanche Magistratura democratica ne fu esente, perché non
seppe cogliere la specialità e la complessità in cui Falcone agiva. 

Ma la complessità dell'uomo continua ad offrirci attuali spunti di
riflessione. 

Giovanni Falcone per diversi anni fu giudice civile e quell'esperienza
fu decisiva per innovare la modalità di coordinamento delle indagini da
giudice istruttore prima e da pubblico ministero, poi; la possibilità di
svolgere ruoli giudicanti e requirenti - che già oggi sono fortemente
ostacolati e che si vorrebbe definitivamente inibire - gli consentì una
fruttuosa commistione di saperi e di esperienze che egli fu capace di
sintetizzare nella sua attività inquirente. 

Questa sua capacità di progettare l'investigazione, da una prospettiva
diversa dagli schemi sin lì praticati, fu gravida di felici intuizioni:
il lavoro di gruppo, il costante scambio di informazioni nell'ufficio e
tra uffici, la specializzazione che affina le conoscenze; ma anche un
esercizio prudente ed attento dell'azione cautelare e di quella penale,
al punto da essere accusato di proteggere livelli superiori, la cui
esistenza era, spesso, frutto di teorie complottistiche, prive di
riscontri processuali. 

Elogiare Giovanni Falcone impone di fare i conti con il suo stile
professionale che mal si concilia con gli _slogan_ del populismo penale,
con le teorie cospirative, con la paura della complessità ed i tanti
cavalieri bianchi privi di dubbi e carichi di certezze con cui
addomesticare i diffusi timori sociali, sapientemente alimentati da chi
ne trae profitto. Mille chili di tritolo hanno aperto un voragine e
quella voragine ci ha privato di uomini di valore. 

Ma in quella voragine è finita anche una parte dello Stato che quegli
uomini e quella donna rappresentavano, singolarmente e nella dimensione
collettiva di quel tragico momento. 

La nostra strada di magistrati è ancora piena di quelle metaforiche
voragini, perché c'è sempre il rischio che una parte dello Stato che
rappresentiamo possa restarvi intrappolata tra tentazioni
carrieristiche, timori reverenziali, atteggiamenti burocratici ed
individualismi esasperati. 

Speriamo che il gusto per la complessità, l'arte del discernimento, il
senso profondo della giustizia, che animarono l'operato di Falcone,
insieme allo spirito di sacrificio di Schifani, Montinaro, Dicillo ed
all'amore profondo di Francesca Morvillo, possano essere la bussola per
le nostre scelte ed i nostri comportamenti. 

Allora potremo dire davvero che non sono morti invano. 

_Stefano Musolino,_ 

_sostituto procuratore della Repubblica presso la Dda di Reggio Calabria
e componente dell'Esecutivo di Magistratura democratica_ 

-- 
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