[Area] Riccardo De Vito su Sezioni unite e coltivazione domestica

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Mar 31 Dic 2019 12:53:38 CET


COLTIVAZIONE DOMESTICA, IL RIPENSAMENTO DELLA CASSAZIONE 

_(il manifesto - Fuoriluogo - 31 dicembre 2018)_ 

 Il 7 febbraio 2018 Luigi Saraceni, nel commentare per questa rubrica
una sentenza della Corte di Cassazione penale, che riteneva non punibile
penalmente la coltivazione di sei piantine di cannabis destinate ad uso
personale, auspicava che questa soluzione «in assenza di un intervento
risolutivo del legislatore potesse diventare patrimonio unanime della
giurisprudenza». Parole profetiche. 

A distanza di poco meno di due anni possiamo dire che, mentre la
politica si contorce in un dibattito asfittico e moraleggiante, la
giurisprudenza di legittimità torna sulla controversa materia della
coltivazione di piante di cannabis. 

Sappiamo perché sia tema spinoso: una distonia tra le formulazioni del
comma 1 e del comma 1-bis dell'art. 73 Dpr 309/90 impedisce in astratto
di configurare la non punibilità della coltivazione in caso di
destinazione all'uso personale, a differenza di quanto accade per la
detenzione dei derivati (marijuana e hashish). 

Di qui un problema serio per il principio di uguaglianza, al quale le
Sezioni Unite penali ora offrono una risposta ragionevole e chiara per
l'interprete. Siamo in attesa delle motivazioni della decisione presa
all'udienza del 19 dicembre 2019 e la cautela è d'obbligo. 

L'anticipazione tuttavia parla chiaro. Dopo aver ripetuto, conformemente
al dato normativo, che per integrare il reato di coltivazione è
sufficiente la conformità al tipo botanico della pianta e l'attitudine
di questa a maturare e produrre sostanza stupefacente, le Sezioni Unite
precisano che «devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili
all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di
coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le
rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il
modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di
ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli
stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del
coltivatore». 

Possiamo dire di trovarci di fronte alla reintroduzione della
provvidenziale nozione di coltivazione «domestica» ritenuta, a
differenza della coltivazione «imprenditoriale», non penalmente
rilevante. 

L'inversione di rotta rispetto all'orientamento consolidato nelle
sentenze gemelle delle Sezioni Unite penali di nove anni fa (28605/2008
Di Salvia e 28606/2008 Valletta) è lampante. 

Nel fare piazza pulita della distinzione tra tipologie di coltivazione,
quelle sentenze specificavano che «costituisce condotta penalmente
rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante
dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia
realizzata per la destinazione del prodotto a uso esclusivamente
personale». Si trattava di un approccio che esaltava il rigore della
legge, appena temperato dalla dichiarata irrilevanza di condotte non
offensive in concreto. In cosa consistesse questa inoffensività,
tuttavia, non era dato sapere, mantenendosi la Cassazione sullo stesso
livello di genericità della sentenza 360/1995 della Corte
costituzionale. 

Di qui le interpretazioni contrastanti dei giudici di merito e il
diffondersi di un orientamento rigorista che vedeva soltanto nel reato
impossibile (totale assenza di efficacia psicotropa) la via d'uscita dal
penale. 

Inutile rimarcare le dannose conseguenze sul processo e sul carcere di
questo orientamento. 

C'è da augurarsi che il ripristino di criteri limpidi di distinzione tra
condotte penalmente rilevanti e condotte sanzionate soltanto in via
amministrativa produca alcuni effetti sperati: allontanare il
consumatore occasionale e personale dalle vie dello spaccio e della
criminalità; far riflettere la politica sulla pluralità delle tipologie
di consumo e sulla necessità di affrontare questa diversità con
politiche sociali non repressive. 

                                                                        
                     Riccardo De Vito 

                                                                        
   Presidente di Magistratura democratica

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