[Area] AreaDG sulle sfide della nuova crisi globale - parte seconda (Le udienze penali da remoto dinnanzi alla Corte di cassazione)

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Mer 22 Apr 2020 10:37:39 CEST


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*AreaDG sulle sfide della nuova crisi globale*



*L’emergenza epidemiologica, la crisi globale e le nuove sfide – 3*



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*Le udienze penali da remoto dinnanzi alla Corte di cassazione: un rimedio
eccezionale ma necessario*.

Per il giudizio penale di legittimità l’emergenza sanitaria ha fatto
emergere difetti di innovazione telematica noti da tempo, e che non sono
stati risolti nel tempo per il semplice fatto che i modelli organizzativi
tradizionali non creavano disservizi e nulla imponeva l’aggiornamento
tecnologico, la cui mancanza ora ha colto la Corte di cassazione
impreparata.

Il riferimento è alla mancata implementazione del processo penale
telematico; i giudizi penali di cassazione sono ancora gestiti con
materiale cartaceo, con depositi cartacei degli atti e sono quindi segnati
da una totale assenza di fascicoli telematici.

Ciò rende molto disagevole l’avvio della nuova esperienza dell’udienza da
remoto anche in quegli ambiti in cui, secondo l’ordinaria disciplina, i
processi sono trattati senza la partecipazione in udienza del procuratore
generale e dei difensori delle parti.

Si tratta della categoria di processi che più delle altre si prestano ad
una trattazione *remotizzata*, appunto perché la procedura non prevede
l’intervento di soggetti diversi dai componenti del collegio e, ovviamente,
dal cancelliere, preposto alla redazione del verbale – in cui si dà atto
dell’ora di inizio e di conclusione dell’udienza e dei procedimenti ivi
trattati e decisi –.

In assenza di fascicolo telematico – è ovvio – ci si deve affidare
all’invio per posta dei cd. fascicoletti ai consiglieri e al presidente,
ove questi siano impediti dal raggiungere fisicamente l’ufficio, oppure, ma
è questa soluzione forse più onerosa per le poche risorse umane di cui per
ora si dispone, impiegare personale alla scannerizzazione dei fascicoletti
per il loro successivo invio telematico.

L’invio per posta, è appena il caso di osservare, espone al rischio che il
materiale cartaceo non arrivi per tempo e che l’udienza non possa essere
tenuta.

Resta in ogni caso ferma e non adeguatamente fronteggiabile l’eventualità
che il collegio, riunito telematicamente, abbia necessità di consultazione
dell’intero fascicolo processuale: i cd. fascicoletti, che sono posti nella
disponibilità del consigliere relatore e del presidente, si compongono
delle copie di pochi atti del fascicolo: dell’atto di ricorso, degli
eventuali motivi aggiunti e memorie, del provvedimento impugnato, della
requisitoria scritta del procuratore generale.

Non sempre però la decisione può essere adottata senza consultare altro,
contenuto ovviamente nel fascicolo presente in cancelleria.

Occorrerebbe, allora, per evitare che i ricorsi non siano decidibili in
remoto, informatizzare l’intero fascicolo, in modo che il collegio lo possa
compulsare ove necessario; non può essere sufficiente limitarsi a che la
consultazione sia fatta dal solo componente relatore e/o dal solo
presidente, sempre che costoro siano nelle condizioni di essere presenti
fisicamente in ufficio nel giorno dell’udienza o nei giorni precedenti.

Quel che, pertanto, l’emergenza di questi giorni ci consegna in eredità è
un forte impulso all’estensione del processo telematico al giudizio penale
di cassazione, in modo che si possa disporre sempre e pienamente
dell’intero fascicolo processuale anche da remoto, anche solo per la
preparazione dell’udienza o per la redazione della motivazione della
sentenza, senza necessità di trasportare nelle residenze private dei
magistrati plichi più o meno corposi di carte e senza dover impegnare il
personale di cancelleria, quando non i singoli magistrati, all’estrazione
di copie cartacee.

Altro capitolo che l’emergenza sanitaria ha dischiuso anche per la Corte di
cassazione è lo svolgimento da remoto dei processi.

Nulla di espresso ha sul punto ancora detto il legislatore dell’emergenza.

Il decreto legge n. 18 del 2020 ha regolato il giudizio civile da remoto, e
quindi anche quello di cassazione, rimettendo al provvedimento
organizzativo del dirigente dell’ufficio giudiziario l’adozione di misure
tali che consentano lo svolgimento delle udienze civili con questa
innovativa modalità.

Il primo presidente ha però previsto anche per le udienze penali cd. non
partecipate, quelle che si avvalgono soltanto di un previo contraddittorio
cartolare, la possibilità, nel secondo periodo dell’emergenza, che ora va
dall’11 maggio al 30 giugno 2020, di trattazione da remoto, facendo leva
sull’ampia previsione del decreto legge che attribuisce ai dirigenti degli
uffici giudiziari “l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e
la trattazione delle udienze” – art. 83, comma 7, lett. d) –.

Nel corso dei lavori di conversione del menzionato decreto legge,
emendamenti governativi e parlamentari hanno esteso la possibilità di
svolgimento da remoto anche per le udienze pubbliche – dibattimenti di
cassazione – e per le udienze camerali cd. partecipate di cassazione, che
sono regolate dalla disposizione generale sul procedimento in camera di
consiglio di cui all’art. 127 cod. proc. pen.

Si tratta, come detto, di una mera possibilità, perché quel che il disegno
di legge di conversione allo stato prevede è soltanto la trasformazione del
rito, seppur condizionata all’assenza di una espressa richiesta della parte
ricorrente di trattazione secondo le ordinarie regole che prevedono una
discussione orale del ricorso; non anche che, trasformato il rito nelle
forme del cd. rito non partecipato, e quindi con contraddittorio soltanto
cartolare, la Corte di cassazione proceda poi alla decisione con camera da
consiglio da remoto.

Siamo di fronte a misure eccezionali, che già il legislatore mostra di
voler utilizzare con particolare cautela, come dimostra la scelta, fatta
con l’appena di poco successivo decreto legge n. 23, di contrarre lo spazio
del secondo periodo dell’emergenza, quello in cui possono valere le linee
guida vincolanti dei dirigenti degli uffici giudiziari, facendolo iniziare
non più il 16 aprile ma il 12 maggio, invariato il termine finale, come
originariamente fissato al 30 giugno.

All’interrogativo se e cosa di questo pacchetto normativo di emergenza
dovrà sopravvivere e collocarsi stabilmente nell’ordinamento processuale,
una volta che si sarà tornati alla tanto auspicata normalità, la risposta
deve essere meditata con quella stessa cautela che sembra orientare
l’impegno legislativo.

Ferma l’esigenza, già prima segnalata, di una piena estensione del processo
telematico al giudizio penale di cassazione, sul lavoro da remoto della
Corte occorre riflettere, e non soltanto perché sono ancora presenti
difficoltà d’ordine tecnico – che spetta alle strutture informatiche
dell’amministrazione risolvere, in modo da assicurare sempre efficacia dei
collegamenti e soprattutto segretezza dell’ambiente virtuale identificato
normativamente come camera di consiglio –.

La tentazione che potrebbe farsi strada è di stabilizzare, almeno per
alcuni settori del lavoro della Corte di cassazione, lo svolgimento da
remoto, anche in considerazione del fatto che molti consiglieri provengono
dalle più svariate parti d’Italia e che sarebbe pertanto un risparmio di
energie e di tempo se alcune udienze potessero tenersi senza la traduzione
fisica presso i locali della Corte; e ciò proprio esaltando una peculiarità
di un settore quantitativamente consistente dei processi di cassazione,
dell’essere a contraddittorio meramente cartolare e senza udienze con
partecipazione delle parti.

Del resto, potrebbe aggiungersi, anche quando l’udienza è pubblica, quando
cioè si procede al dibattimento di cassazione, le parti non hanno mai
diritto di partecipazione, comparendo sempre e soltanto per mezzo dei loro
difensori.

E allora, se al giudizio di cassazione, pur quando partecipato, prendono
parte soltanto i componenti della Corte e i difensori, oltre che il
personale di cancelleria, potrebbe prevalere l’idea che dell’udienza
tradizionale si possa fare a meno, almeno in certa misura, aprendo le porte
del Palazzaccio alla modernità e agli strumenti della tecnica, finora
troppo e troppo a lungo marginalizzati.

Le ragioni della necessità di un’attenta riflessione, cauta e ponderata, si
rinvengono nel senso dell’udienza, anche e in specie di quella dinnanzi
alla Corte suprema.

Non è peregrino o eccentrico chiedersi, con rinnovato interesse, perché
storicamente i luoghi di udienza siano stati pensati con importante ricorso
alle strutture simboliche, dalle toghe, agli ampi spazi, alle geometrie
nella collocazione fisica del collegio, del procuratore generale e dei
difensori, alla generale solennità degli ambienti.

Dalle regole di architettura giudiziaria a quelle che presiedono allo
svolgimento dell’udienza si trae la costante accentuazione delle forme e
del rito, nella prospettiva di un largo e sapiente uso dei simboli, in un
evidente sforzo di evitare cadute di tensione drammatica.

Vi è poi il diritto delle parti di comparire innanzi alla Corte suprema,
alla Corte che decide in ultima istanza e il cui giudizio è garanzia
costituzionale di esame della legittimità di tutte le sentenze e di tutti i
provvedimenti che incidono sulla libertà personale. Per quanto mediato dal
difensore, il diritto di comparire fisicamente dinnanzi alla Corte suprema
è sì comprimibile in situazioni eccezionali ma non eliminabile come la
stessa legislazione dell’emergenza mostra di ritenere collocando la
discussione del ricorso dinnanzi alla Corte tra i diritti potestativi della
parte ricorrente.

Resta infine da considerare il carattere della pubblicità delle udienze,
che un uso generalizzato della modalità di svolgimento da remoto potrebbe
comprimere oltre misura e in termini non compatibili né con la Costituzione
né con le previsioni convenzionali sulla pubblicità dei processi.

Il complesso dei caratteri e delle esigenze che l’udienza esprime e tutela
nelle forme e nei modi in cui essa è stata tradizionalmente costruita,
almeno nella giustizia penale, sembrano legare l’esperienza informatica a
eventi di eccezionale necessità, perché l’ambiente virtuale, per quanto
tecnicamente affinato ed affidabile, non sembra in grado di riprodurli e
soddisfarle con la stessa intensità.

L’innovazione tecnologica deve interessare il processo di legittimità per
rendere meno faticosa e disagevole l’attività di preparazione e per
eliminare adempimenti materiali più o meno gravosi, senza alcuna
distinzione tra tempi dell’emergenza e tempo della normalità.

Altro discorso va invece impostato per la dislocazione dell’udienza al di
fuori dell’ordinario spazio fisico: essa è la doverosa risposta a
situazioni eccezionali, perché l’amministrazione della giustizia non debba
patire stasi ancor più pericolose degli inconvenienti che molti intravedono
nel ricorso allo strumento informatico.

Fuori dell’eccezionalità del momento, fatica a trovare valide ragioni che
la possano inserire tra gli ordinari moduli di amministrazione della
giustizia, senza che ciò possa e debba apparire un inutile tributo a
desuete logiche di organizzazione del lavoro giudiziario.

Infine, un pensiero va dedicato al lavoro del magistrato di cassazione. Si
sa, ed è uno degli aspetti meno apprezzabili, che il consigliere di
cassazione non dispone di un ufficio, non può usare dei locali di ufficio
per preparare gli impegni di udienza o per redigere le sentenze, ancora
meno per svolgere ricerche o per impegni di studio. Dispone di scomodi e
insufficienti locali comuni, i cd. cameroni, con poche postazioni
informatiche, con poche scrivanie e con ancora minori dotazioni di
materiale di cancelleria. Il suo ufficio sta nella sua abitazione, i locali
della Corte di cassazione è costretto a frequentarli poco e per poco tempo.

Il sistema si è assestato così: i consiglieri non hanno ufficio ma lavorano
a casa, assicurano la loro presenza in ufficio per il tempo strettamente
necessario, sfruttano molto di già lo strumento informatico anche per
discutere questioni interpretative di interesse; in compenso, godono di una
grande libertà di autoorganizzazione e possono conservare la loro
residenza, quale che sia la lontananza da Roma, perché l’impegno di
presenza fisica è giocoforza ridotto.

Non è un fuor d’opera ipotizzare allora che l’esperienza delle udienze da
remoto, ove mai fosse consolidata, renderebbe ancor di più la Corte di
cassazione un ufficio giudiziario anomalo, non vivificato, se non in misura
ridottissima, della normale vita di ufficio, fatta di incontri tra i
magistrati e tra costoro e il personale di cancelleria, che servono a
cementare il senso dell’appartenenza ad una istituzione, e che quindi non
sono aspetti di poco conto, tasselli di un vissuto che possa essere
facilmente e a cuor leggero abbandonato.

*(3- continua …)*
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