[Area] GUGLIELMI-QUEL-“RITO”-AL-QUALE-NON-POSSIAMO-FACILMENTE-RINUNCIARE.pdf

mario ardigo marioardigo a yahoo.com
Gio 23 Apr 2020 13:42:29 CEST


   La collega Maria Rosaria Guglielmi  ha accennato, nell'affrontare la questione del processo telematico da remoto in epoca di pandemia, al tema  molto serio dei riflessi che la normativa emergenziale presenta in tema di democrazia. Effettivamente, anche se ci si è adattati per ora di buon grado, è stato limitato l'esercizio di importanti diritti di libertà, in particolare quello di riunione e manifestazione in pubblico.  Queste regole ricordano quelle di coprifuoco che vennero emanate in periodi bellici e quelle di repressione dei dissenzienti che ricorrono in regimi autocratici per vessare il dissenso. E che dire dei processi celebrati sistematicamente a porte chiuse (perché, in fondo,  in questo potrebbero risolversi le udienze telematiche, ma già così si fanno le udienze non telematiche in quest'epoca emergenziale, almeno fino al prossimo 11 maggio)? Qualche giorno fa un drappello di polizia ha fatto irruzione in una chiesa durante la celebrazione della messa pretendendola di interromperla perché c'era troppa gente, poi, per come ho letto, soprassedendo (in effetti una cosa simile non è consentita dal Concordato vigente e nemmeno era prevista nella normativa emergenziale. Il divieto assoluto di liturgie pubbliche è stato impartito infatti dall'autorità ecclesiastica, quella civile ha prescritto solo un distanziamento minimo interpersonale).  Fin da ragazzo ho dovuto fare i conti con i concetti di mistero  e sacralità, usati dalla collega per definire l'importantissima funzione simbolica  del processo giudiziario, in particolare di quello penale, e, devo dire, preferirei  che fossero confinati  nelle liturgie religiose, dove già mi causano tanti problemi. C'è indubbiamente questo: in democrazia la giustizia viene amministrata in nome del popolo, vale a dire, innanzi tutto, al cospetto  del popolo. Questo connotato è veramente molto antico,  e risale a ben prima dell'affermazione dei processi democratici. In particolare una delle funzioni della basilica fu quella di essere sede di amministrazione della giustizia da parte del monarca. Anche nel Medioevo europeo proseguì questo orientamento, che riguardò anche le esecuzioni capitali, che, appunto si facevano al cospetto del popolo, dopo aver letto pubblicamente il dispositivo di condanna. Una tradizione, quest'ultima, che fu platealmente mantenuta nella Francia rivoluzionaria. Questo costume significava che l'amministrazione della giustizia veniva considerata una delle massime manifestazioni del potere politico. Potere su chi? Non tanto sulla persona giudicata, che era già caduta nelle mani di quel potere, ma sul resto del popolo. Si giustizia anche per ammaestramento dei sudditi. Ogni crimine contiene infatti anche un certo grado di lesa maestà. Affermandosi i processi democratici il popolo si è fatto avanti e non assiste più passivo, ma giudica insieme la persona processata e il potere che la giudica. Non è più presente per essere ammaestrato con la sferza e la mannaia della legge, ma essenzialmente per giudicare collettivamente dell'umanità  e razionalità della procedura, perché, in democrazia disumanità e irrazionalità sono arbitrio, abuso, sopruso. Sono incompatibili con la democrazie i processi segreti e quelli in cui addirittura la persona giudicata si trasforma in condannata senza aver parte nella procedura, così come i processi il cui esito è già scritto,  o sono pura formalità,  come quelli che si celebrarono nei tribunali speciali fascisti e nazisti contro gli oppositori di quei regimi. E in quelli politici celebrati nei regimi comunisti dell'Europa orientale, dove era il popolo nel cui nome si dichiarava di amministrare la giustizia? Già solo in base a come si amministrava la giustizia, tanto simile al modo in uso tra i sovrani assoluti del Medioevo, si capisce che si trattava di sistemi politici che erano la contraffazione del socialismo che proclamavano, che è innanzi tutto critica del potere politico e, se non è quello, è altra cosa.  Da processi simili si esce come cani bastonati, sia se si è  nella gabbia del condannato, sia che si sia ammessi come pubblico, o che si sappia tutto a cose fatte. L'arbitrio della procedura è parte del terrore pubblico a cui essa è finalizzata. In certi regimi autoritari, infine, l'esecuzione capitale è condotta come una sorta di procedura sanitaria, in modo segreto e silenzioso, senza nemmeno più la ritualità del plotone di esecuzione: entra uno e ti spara in testa. Non solo per il giustiziato non c'è salvezza,ricorso, pietà, ma neanche memoria: egli si dissolve.Quella dissoluzione è parte del terrore pubblico che si vuole incutere. A due passi dal mio ufficio giustiziarono in pubblico un pastore valdese, strangolandolo, ne bruciarono il corpo e ne dispersero le ceneri nel Tevere.  Conservano una sorta di tragica ritualità popolare le esecuzioni che si fanno negli Stati Uniti d'America, in cui i parenti delle vittime, giornalisti e funzionari vari sono ammessi ad assistere alla procedure e chi vi è sottoposto è ammesso a pronunciare qualche parola. Qualche volta, quando non si ha la forza di organizzare un'esecuzione pubblica, per timore di rivolte, si cerca comunque di lasciare una traccia documentaria dell'accaduto, come  è accaduto nel caso di Saddam Hussein, dei cui ultimi momenti di vita, con il cappio al collo, rimane traccia fotografica e video. Insomma, in un modo o nell'altro, le procedure segrete sembrano ripugnare anche ai tiranni.  C'è il rischio che il processo telematico da remoto degeneri in qualcosa di simile? C'è, se non  è organizzato in modo da prevenire questo rischio. A questo servono le regole di procedura, a contenere il potere sulle persone, in modo da mantenerne l'umanità e la ragionevolezza. Non è così difficile l'arbitrio, a volte solo colposo,  per sfinimento, come accade nella sanità, come ogni volta che ci sono tempi stretti.  Allora il giudizio si fa sommario, quindi pregiudizio, e si va alle conclusioni senza tante storie. E' allora che si fa più alto il rischio dell'errore giudiziario, come di quello sanitario. Ma, tutto sommato, la modalità telematica potrebbe addirittura prevenire certe degenerazioni, con la distanziazione che impone.  
 Certo, quando una persona cade in mani altrui, come accade in tutti i casi di detenzione, e la sua cattura deve passare al vaglio giudiziario, nel quale ciò che il catturato dice è importante, anzi essenziale, se quella persona viene interrogata mentre si trova ancora negli ambienti dell'organizzazione di polizia che l'ha in mano propria, sotto gli occhi di agenti di quella polizia la cui responsabilità potrebbe essere implicata nel raccontare gli eventi, il sospetto che la sua libertà possa venire coartata è forte. La collega ha ricordato che si sono dati casi di abusi i quali,  giunta la vittima di persona dinanzi al suo giudice, non sono emersi, ma certamente il rischio è maggiore quando la persona venga  mostrata solo in televisione, e mostrata secondo ciò che gli operanti che l'hanno in mani loro hanno predisposto. Ma si possono pensare correttivi.  Innanzi tutto, ad esempio,  che la persona detenuta sia trasferita per l'udienza nelle mani della Polizia penitenziaria, o comunque, di altra forza di polizia, diversa da quella che ha eseguito la cattura. E poi che quella persona, durante l'esame, possa avere vicino o il difensore o persona da quest'ultimo designata. E prevedere che, all'esito dell'udienza il giudicante debba necessariamente deliberare sulle modalità e luogo di custodia della persona che gli è stata presentata telematicamente, per scongiurare eventuali ritorsioni. Dando eventuali disposizioni specifiche, come un esame obiettivo sanitario nei giorni successivi, per scoraggiare violenze.  Analogamente si potrebbe progettare per realizzare comunque un livello minimo di pubblicità dell'udienza, nel caso che non si proceda in camera di consiglio (in questa ipotesi già ora l'udienza non è pubblica). L'importante è che, dove è prescritta ordinariamente la pubblicità ed essa non sia possibile nelle forme ordinarie perché si procede da remoto, essa abbia una sorta di equivalente, perché l'udienza non si tenga segretamente.  Il problema, in temi di pandemia, è che gli assembramenti di persone sono pericolosi, e continueranno ad esserlo a lungo. Forse, addirittura, non si uscirà mai da questa condizione. SARS-CoV-2 potrebbe diventare endemico e la distanziazione, la deconcentrazione sociale e, in tempi di recrudescenza e nei luoghi sede di focolaio, il confinamento sociale potrebbero diventare non l'eccezione, ma la normalità, come è accaduto per i fior di latte, che un tempo venivano in genere  venduti sfusi e offerti al pubblico immersi in una soluzione lattiginosa, e poi, preso atto dell'elevato rischio di contaminazione e delle conseguenti tossinfezioni, ora sono per legge venduti in confezioni sigillate, e indietro non si torna. Fu proprio la giurisprudenza in materia di salute pubblica, nella quale si distinse un eccellente avvocato di Teramo che conobbi, nel suo ruolo di magistrato onorario assegnato alla Pretura di Campli, che aprì la strada.   Può considerarsi celebrata al cospetto del popolo  la giustizia da remoto? Può esserlo con le adeguate procedure. Il processo vive di formalità che hanno sempre dietro una sostanza, non sono mero rito. Dunque con le formalità giuste certi rischi possono essere corretti. Si potrebbero introdurre, ad esempio, dei poteri di reclamo ad un giudice collegiale diverso da quello che ha proceduto, nel caso la difesa deduca  scorrettezze formali o sostanziali nelle procedure telematiche. E prevedere che, se il reclamo venisse accolto, la prova si dovrebbe ripetere in un'aula fisica, in pubblica udienza. Io credo però che nella maggior parte dei casi, in particolare per udienze che già si celebrano in camera di consiglio, o meramente interlocutorie, o in cui si non si debbano raccogliere prove dichiarative, ci sarebbe il consenso dei difensori alla modalità telematica, che quindi non creerebbe problemi per la persona giudicata e per le altre parti. L'udienza telematica può essere registrata e la registrazione potrebbe  essere tenuta a disposizione di chi vi abbia interesse, ad esempio dei giornalisti. Potrebbe equivalere alla pubblicità di un dibattimento?   La materia è nuova. Ci si pensava, certo, ma, ora ci si è trovati nel mezzo del  grave pericolo causato dalla pandemia, i tempi stringono, ci si pone il problema di passare all'attuazione, dove prima ci si pensava ancora molto sulle generali. Il pericolo da pandemia c'è ed è serio. Questa malattia  Covid-19 è infatti molto contagiosa e ha un elevato tasso di letalità, che aumenta molto considerando gli ultracinquantenni. Le aule di giustizia e le chiese, come gli ospedali, possono divenirne veicolo di contagio. Mario Ardigò   
    Il giovedì 23 aprile 2020, 10:32:19 CEST, Valeria Piccone <vapiccone a gmail.com> ha scritto:  
 
 
La nuova dimensione dell’individuale e del collettivo: i principi irrinunciabili e i compromessi accettabili in quello che Satta ha definito il più grande mistero della nostra vita sociale, quello per cui ‘una persona, un uomo, può giudicare di un altro uomo’.

Contributo di Maria Rosaria Guglielmi da non perdere.
VP


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