[Area] Ai tempi del Covid 19

Claudio Castelli claudio.castelli a giustizia.it
Ven 24 Apr 2020 12:00:53 CEST


Diversi colleghi hanno posto un problema reale: se  non cogliamo oggi le
possibilità che ci sono date per la celebrazione delle udienze da remoto,
perdiamo una grande occasione.

Questa, a mio avviso, è solo una parte di un problema molto più grande e
drammatico. Dopo l’emergenza sanitaria avremo un’emergenza economica e
sociale, con milioni di disoccupati e inevitabili conflitti. Si pone per
tutti, anche per noi, un problema di ricostruzione del paese. Dobbiamo
decidere se essere parte della soluzione o essere parte del problema. 

Se cercare di svolgere quel ruolo di (parte della) classe dirigente che fa
parte della nostra professione, o avere un atteggiamento difensivo che cerca
di evitare responsabilità e illuderci di rimanere estranei ai cambiamenti
che subisce il contesto generale.

O avremo la capacità di ripensare alla giustizia facendo un salto di qualità
o saremo travolti. E, piaccia o no, le tecnologie sono uno dei pochi
strumenti che possono farci fare questo salto di qualità. Il problema non è
di affidarsi alle tecnologie in modo fideistico, ma di cogliere quello che
possono darci e di farle rispondere alle nostre esigenze. Dobbiamo decidere
se governarle o subirle. E solo governandole (ed allora dovremo sporcarci le
mani) avremo risultati ed un prodotto fruibile e disponibile. 

Le discussioni sull’udienza telematica sono in questo quadro davvero poca
cosa, anche perché credo che alcuni non colgano che l’udienza da remoto è
un’opportunità in più che viene data, non necessariamente sostitutiva, ma
aggiuntiva, che addirittura in non pochi casi può consentire di arricchire
un contraddittorio altrimenti inesistente o puramente formale (penso
all’interrogatorio di garanzia del GIP titolare quando la persona sottoposta
a misura cautelare venga arrestato in altro territorio o alla lontananza di
imputato e/o difensore, che altrimenti rinuncerebbero a comparire o si
farebbero sostituire).

Ma queste discussioni sono anche sintomo di una forte arretratezza culturale
che tutti ci portiamo dietro. È facile oggi accusare il Ministero per
indubbi ritardi che ci sono stati e ci sono. Ma non possiamo far finta di
ignorare che noi per primi (non tutti, ma la grande maggioranza) non abbiamo
mai coltivato l’innovazione ed anzi spesso abbiamo vissuto con fastidio o
abbiamo osteggiato nuove idee e nuovi programmi.

L’arretratezza tecnologica esistente è anche figlia di questa arretratezza
culturale e vedo con piacere che quest’emergenza può darci piena
consapevolezza di ciò e farci mutare orientamento.

È il momento di pensare in grande, di rivedere vecchi concetti e gabbie in
cui un po’ tutti ci rintaniamo, disegnando la giustizia del futuro. Questa
esperienza drammatica può diventare un prezioso volano di innovazione.

Sfruttiamola appieno e non illudiamoci che la fase 3 sia un semplice ritorno
alla vita pre epidemia. 

Sarà radicalmente diversa, e può essere anche migliore.

 
Claudio Castelli

 

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