[Area] Mariarosaria Guglielmi - Quel "rito" al quale non possiamo facilmente rinunciare

Gianfranco Gilardi gianfrancogilardi a gmail.com
Dom 26 Apr 2020 12:08:29 CEST


Come non essere d'accordo con Mariarosaria Guglielmi?
Gianfranco Gilardi

Il Dom 26 Apr 2020, 11:25 <giovanni.palombarini a libero.it> ha scritto:

> Segnalo, per chi non l’avesse visto, un articolo a pagina 7 del Manifesto
> di Cristina Ornano sulla necessità di un’ampia regolarizzazione. Giovanni
> Palombarini
>
>
>
> Inviato da Libero Mail per iOS
>
>
> domenica 26 aprile 2020, 11:01 +0200 da Magistratura democratica <
> md a magistraturademocratica.it>:
>
>
>
> *Quel “rito” al quale non possiamo facilmente rinunciare**
>
>
>
> (*di* *Mariarosaria Guglielmi* – *Segretaria generale di Magistratura
> democratica*)ssità
>
>
>
> Sommario - 1. Una necessaria premessa. 2. Principi irrinunciabili e
> compromessi accettabili. 3. La proposta delle udienze penali da remoto.
> Rinunciare ai luoghi del processo? 4. *Smaterializzare le carte, non le
> persone*.
>
>
>
> *1. Una necessaria premessa.*
>
> *La democrazia corre il più grande pericolo a volersi pensare come un
> sistema di istituzioni che, in qualche modo, è a nostra disposizione, o nel
> rifiutare di prendere in considerazione l’idea che deve farsi carico di un
> interminabile “interrogarsi”*.
>
> Partendo dalle parole di Claude Lefort, potremmo dire che il più grande
> rischio per il processo penale nasce oggi dal pensare che sia un istituto a *nostra
> disposizione*, strumento da modellare in vista del raggiungimento del
> risultato finale – a seconda delle contingenze o in ragione delle nuove
> opportunità – senza farsi carico degli *interminabili* interrogativi che
> devono accompagnare ogni sua evoluzione, specie quando diventa
> inevitabilmente parte di grandi cambiamenti1.
>
> Il processo è un fatto sociale e un evento collettivo
>
> Come tutti i fatti sociali e collettivi non uscirà indenne da questi mesi
> né resterà estraneo alle tensioni cui è sottoposta la giurisdizione.
>
> I riflessi di una crisi che in breve tempo ha disegnato un nuovo ordine
> mondiale e destrutturato i rapporti sociali ed economici, faranno presto
> ingresso – in forma di nuovi conflitti – nelle aule di giustizia.
>
> L’*individuale* e il *collettivo* dovranno adattarsi ad una dimensione
> finora sconosciuta, con nuove forme di interazione e di limitazione
> reciproca: diritti e libertà dei singoli dovranno ancora confrontarsi con
> forme inedite di restrizione e sarà necessario farsi carico degli aspetti
> di maggiore vulnerabilità della sfera individuale, oggi da tutti percepita
> meno “intangibile” in nome del bene primario della salute pubblica.
>
> L’identità stessa della nostra comunità – espropriata di tutti i momenti
> di più forte e riconoscibile strutturazione simbolica – dovrà trovare nuove
> modalità espressive per ricostruire una coesione intorno ai valori che, in
> questa difficile prova per il paese, ne hanno garantito la tenuta.
>
> Il processo, come luogo di composizione di conflitti e di ricomposizione
> dei valori di convivenza civile, non resterà fuori dal cambiamento globale,
> e nelle aule di Giustizia vedremo materializzarsi tutta la complessità
> della nuova era che ci attende.
>
> La giurisdizione dovrà fare la sua parte, ma rischia di arrivare a questo
> appuntamento ancora più provata dall’aggravamento del suo cronico stato di
> sofferenza prodotto dalla sospensione di questi mesi.
>
> Nessuno può chiamarsi fuori dalla necessità di individuare le soluzioni
> necessarie perché la Giustizia riprenda a funzionare e di confrontarsi
> sulle imminenti prospettive di una difficile ripresa.
>
> Oggi, al nostro *interminabile interrogarci* sulle cause
> dell’inefficienza del sistema penale e sull’effetto moltiplicatore delle
> diseguaglianze che la sua macchina inceppata produce, si aggiungono nuove
> domande sui rischi e sulle opportunità che la svolta tecnologica può
> portare nelle aule di giustizia.
>
> Se le soluzioni sperimentate nell’emergenza hanno consentito di
> salvaguardare la giurisdizione, evitando una intollerabile sospensione
> degli interventi più urgenti a tutela dei diritti e delle libertà, e se in
> poco tempo sono state superate resistenze ataviche anche fra i magistrati
> rispetto all’utilizzo di irrinunciabili strumenti di lavoro messi a
> disposizione dalla tecnologia, nella fase che ora si apre spetta anzitutto
> a noi giuristi ragionare sul senso dei cambiamenti inevitabili, di quelli
> necessari e di quelli auspicabili.
>
> Senza cadere nell’errore di pensare che il processo sia solo uno *strumento
> a nostra disposizione*. Presto avvertiremo l’importanza di interrogarci e
> di confrontarci sulla complessa funzione che anche il processo – come
> evento e luogo che dà rappresentazione alla Giustizia – dovrà svolgere
> rispetto alla coesione e alla tenuta della comunità democratica.
>
>
>
> *2. Principi irrinunciabili e compromessi accettabili.*
>
> Abbiamo per la prima volta sperimentato in questi mesi la celebrazione da
> remoto delle udienze per le convalide di arresti e fermi.
>
> Una soluzione che ha garantito presenza ed effettività della giurisdizione
> rispetto ad uno snodo fondamentale, momento di massima espressione della
> sua funzione di garanzia costituzionale: sia pure in forma mediata e
> virtuale, abbiamo celebrato i processi di convalida osservando la ritualità
> che prevede la comparizione dinanzi al giudice della persona privata della
> libertà personale.
>
> La capacità di accettare “compromessi” e la tolleranza rispetto alle
> deroghe, temporanee e condivise, alla pienezza delle sue conquiste, fanno
> parte della resilienza della democrazia.
>
> Laddove la democrazia non è invece abbastanza forte da accettare i
> “compromessi”, l’emergenza si governa con lo stato d’eccezione e, in nome
> di esigenze superiori, la democrazia viene espropriata delle sue
> prerogative.
>
> È accaduto anche dentro i confini europei, nei paesi come l’Ungheria dove
> la pandemia è servita ad accelerare il processo di regressione democratica,
> portando di fatto alla sospensione dello stato di diritto.
>
> Una democrazia salda, che accetta i compromessi, riesce a trovare in sé
> gli strumenti, anche imperfetti, per riaffermare la forza dei valori e dei
> principi che ritiene irrinunciabili.
>
> E non va per questo sottovalutata la valenza di scelte di mediazione
> funzionali alla tenuta dello stato di diritto e delle garanzie per la
> libertà personale, di cui fa parte la possibilità della persona arrestata
> di essere condotta dinanzi a un giudice e di svolgere la sua difesa.
>
> Qui torna l’importanza della premessa da cui siamo partiti: il processo,
> con le sue regole, non è uno strumento a disposizione di un risultato e non
> possiamo sottrarci alle domande sulle ricadute dei cambiamenti strutturali
> delle sue regole rispetto ai valori che deve tutelare.
>
> Le norme processuali che disciplinano lo svolgimento dell’udienza di
> convalida non sono neutre e sono esse stesse regole di garanzia.
>
> Nella udienza che vede la *presentazione* della persona privata della
> libertà personale in un’aula di Tribunale, l’incontro e l’instaurarsi di
> una relazione diretta con il suo giudice e con il suo difensore,
> l’interruzione del *legame* con chi ha operato l’arresto e l’esposizione
> nella dialettica delle parti delle ragioni della difesa, prende forma
> l’esercizio della giurisdizione, con la ritualità delle regole processuali
> di garanzia che legittima il giudizio finale sull’atto restrittivo della
> libertà personale.
>
> Le stesse ragioni che hanno reso accettabile il “compromesso” e la
> sperimentazione di una udienza virtuale – salvaguardare il principio della
> comparizione dinanzi al giudice – impongono dunque il ritorno, ad emergenza
> cessata, alla regola della celebrazione dell’udienza *reale*.
>
> Non occorre ricordare che della storia del nostro paese fanno parte
> vicende giudiziarie nelle quali non è bastato all’arrestato comparire in
> udienza per ottenere uno sguardo attento agli abusi subiti.
>
> E molti in questi giorni lo hanno ribadito.
>
> È certo vero che l’udienza in sé e la *relazione* che si instaura fra i
> presenti non sono sempre garanzia di maggiore attenzione e di capacità di
> “prendere in affidamento” chi si trova, da persona non libera, dinanzi all’
> *autorità* che dovrà giudicarla.
>
> Ma se oggi abbiamo il dovere e la responsabilità di interrogarci e di
> chiederci come sia possibile che ciò accada, domani - dietro allo schermo -
> insieme alle persone potrebbero scomparire, in dissolvenza, anche le nostre
> domande.
>
>
>
> *3. La proposta delle udienze penali da remoto. Rinunciare ai luoghi del
> processo?*
>
> È ragionevole attendersi che, ampliati i casi di celebrazione delle
> udienze penali da remoto e realizzata l’effettiva messa a punto, tecnica e
> giuridica, del necessario sistema di supporto, il nuovo modello di processo
> rappresenterà di fatto e sarà vissuto come una “svolta epocale”, un punto
> di non ritorno.
>
> La proposta contenuta nell’emendamento governativo mette sul tavolo una
> prospettiva, per la prima volta in maniera così concreta, di un vero e
> proprio mutamento di paradigma del nostro processo penale.
>
> Per questo, a prescindere dall’esito che avrà l’iter parlamentare, il
> dibattito sulla *smaterializzazione* delle udienze penali, di suoi
> singoli frammenti ma anche dei suoi momenti di maggiore *solennità*
> (quale può essere la lettura del dispositivo), di forte simbolismo o
> *sacralità* (il giuramento pubblico di un testimone, la decisione nel
> *segreto* nella camera di consiglio) è l’occasione per riaffermare la
> centralità dei principi fondamentali del nostro modello di processo:
> occorre tracciare una linea di confine, a salvaguardia dei suoi valori
> essenziali; al di là e al di fuori di questo ambito da presidiare, si potrà
> e si dovrà invece discutere di possibili riforme per un *non ritorno* a
> un passato fatto di prassi, di moduli e assetti organizzativi che
> rappresentano una grave ipoteca sull’efficienza del nostro processo.
>
> Un confronto sul modello di processo penale e di giurisdizione da
> salvaguardare appare tanto più necessario ed urgente perché, proprio dalla
> crisi dell’emergenza sanitaria, la tendenza globale verso la rivoluzione
> digitale in tutti i settori pubblici riceverà una ulteriore accelerazione.
>
> Sarà sempre più forte la spinta verso cambiamenti strutturali, prodotti
> dall’innesto di soluzioni tecnologiche, che dobbiamo essere in grado di
> governare e di orientare verso un’organizzazione efficiente del processo
> penale conforme ai valori della giurisdizione.
>
> Esperienze a noi vicine, come quella della Francia, dimostrano che le
> opportunità della rivoluzione digitale possono diventare la base per una
> riconfigurazione complessiva di tutto il sistema giudiziario verso un
> circuito alternativo a quello giurisdizionale (le proposte del ddl «di
> programmazione 2018-2022 e di riforma per la giustizia» per una
> trasformazione digitale sono state accompagnate dall’esplicito sostegno del
> Ministero della Giustizia allo sviluppo di piattaforme di risoluzione
> online delle controversie) e da molte voci critiche del dibattito che si è
> sviluppato sull’investimento nel digitale per la giustizia è venuto un
> forte richiamo alla necessità di introdurre misure di salvaguardia come “il
> diritto a un’udienza fisica” (il cd. “principio di presenza”)2.
>
> E, guardando al contesto nazionale, è bene ricordare che, in nome della
> semplificazione e della riduzione dei costi, abbiamo da poco approvato la
> riforma per il taglio del numero dei parlamentari, fortemente voluta dalla
> forza politica di governo che sostiene la rottamazione della democrazia
> rappresentativa, promuove il modello della “democrazia diretta” (via web) e
> ha sperimentato un “vincolo di mandato parlamentare” sulla base dell’esito
> delle consultazioni della piattaforma Rousseau. Non appare certamente
> remota la possibilità che in questo contesto storico maturino le condizioni
> politiche per una radicale svolta digitale, anche in ambito giudiziario.
>
> Non occorre spendere molti argomenti per sostenere le ragioni di chi ha
> già ricordato in questi giorni che, nel modello accusatorio del nostro
> processo, i principi di oralità e di immediatezza governano la formazione
> della prova e determinano la sua qualità, e che la remotizzazione
> dell’istruttoria dibattimentale altera i meccanismi processuali che devono
> garantire pienezza del contraddittorio e della sua portata garantista: non
> si tratta di accessori ma dei principi che strutturano le regole per
> l’acquisizione della conoscenza processuale e per l’effettivo esercizio del
> contraddittorio3.
>
> Ma il cambiamento del paradigma processale prodotto dalla
> smaterializzazione del dibattimento ha effetti di sistema anche più
> generali: produce il venir meno del *quadro simbolico* dell’udienza, *necessario
> perché la realtà prenda un nuovo significato, d’ordine collettivo*4.
>
> Un quadro simbolico che si compone di quelle che Luigi Ferrajoli ha
> definito le *garanzie di garanzie*, o *garanzie di secondo grado*5: la
> *pubblicità* e l’oralità del giudizio, la legalità o ritualità delle
> procedure sulle quali si fonda la relativa certezza che siano state
> soddisfatte le *garanzie primarie*, *più intrinsecamente epistemologiche*,
> del processo accusatorio.
>
> La ritualità del processo, come l’insieme delle regole e degli elementi
> che ne fanno una *rappresentazione collettiva*, non ha funzione meramente
> ordinatoria delle attività che vi si svolgono o del comportamento dei suoi
> attori protagonisti: essa conforma l’esercizio della giurisdizione ai suoi
> valori e, attraverso la rappresentazione processuale - pubblica e
> partecipata - concorre al riconoscimento della sua legittimazione
> democratica (*Justice must not only be done; it must also be seen to be
> done*), e del valore di *autorità* al *giudizio* che dispone dei diritti
> e delle libertà
>
> L’udienza virtuale non solo interrompe l’interazione fra gli attori del
> processo, prodotta dalla loro compresenza fisica in una contestualità di
> tempo e di luogo, ma tende a relegare in secondo piano, se non a far uscire
> del tutto di scena, l’altro protagonista essenziale: il pubblico.
>
> Pur salvaguardando il principio della pubblicità che connota
> ontologicamente il dibattimento, destrutturata la ritualità dell’udienza e
> delle sue componenti essenziali (unità di luogo, di tempo e di persone),
> avremo al più frammenti di una rappresentazione processuale pubblica e la
> perdita del valore simbolico di evento collettivo che il processo
> acquisisce attraverso la presenza del pubblico in aula.
>
> Non è solo un problema di trasparenza.
>
> Nel venir meno di questa dimensione rituale e fisica del processo,
> smaterializzata persino nei suoi momenti di intangibile segretezza, come la
> celebrazione della camera di consiglio, si intravede un cambiamento che
> toglie al processo la *sacralità* e lo rende riconoscibile come luogo
> dove si celebra un *mistero*.
>
> Il mistero che, come ha scritto Salvatore Satta, è forse il più grande
> alla base della nostra vita sociale: quello per cui una persona, un uomo,
> può giudicare di un altro uomo6.
>
> Se perdiamo i luoghi reali del processo, perdiamo i luoghi dove la
> Giustizia è riconoscibile per tutti e dove chi la amministra rappresenta
> l’istituzione. Perdiamo il ruolo sociale del giudice e muta il suo compito:
> non rispondere alle aspettative di Giustizia facendosi carico della
> complessità delle vicende umane che fanno ingresso nelle aule di tribunale,
> ma chiudere un fascicolo, e farlo nel più breve tempo possibile.
>
>
>
> *4. Smaterializzare le carte, non le persone.*
>
> La rivoluzione digitale è un “fatto sociale totale”. Incide su tutti i
> settori dell’esistenza collettiva e l’impatto che può avere sulla giustizia
> non si ferma al solo aspetto giuridico e istituzionale, offrendo un nuovo
> quadro simbolico rispetto a quello del rituale proprio dei luoghi dove la
> Giustizia si amministra: è un fatto che nel complesso ne riorganizza i
> valori7.
>
> La sfida, per la Giustizia, come per tutte le istituzioni della
> democrazia, sarà allora impadronirsi degli strumenti tecnici, governarli
> anziché esserne governati; resistere all’effetto conformativo che una
> rivoluzione digitale globale può produrre sulla giurisdizione, privandola
> della sua dimensione istituzionale e antropologica, dei suoi luoghi, del
> suo rituale e dei suoi tempi e riducendola, in ultima analisi, ad un
> servizio che deve assicurare risultati.
>
> L’emergenza sanitaria ha soltanto accelerato per noi i tempi di una
> riflessione e di scelte che non si possono rinviare.
>
> E il dibattito acceso che si è aperto nella magistratura e nell’avvocatura
> sull’udienza da remoto deve diventare l’occasione per rimettere al centro
> del confronto le misure necessarie per restituire centralità ed efficienza
> al modello di “giusto” processo.
>
> Partendo dalle scelte di organizzazione, innovazione e informatizzazione
> che diano impulso alla realizzazione degli strumenti del cd. processo
> penale telematico diretti a *smaterializzare le carte e non le persone*,
> come è stato efficacemente detto.
>
> Un percorso che, da questa crisi, deve ripartire in fretta e con obiettivi
> chiari: *ogni intervento – normativo, di organizzazione e tecnico – in
> materia penale deve avere quale inevitabile riferimento primario il modello
> del giusto processo richiesto dal sistema costituzionale nel suo complesso
> e con specifico riferimento all’art. 111 e 112 della Cost. in termini di
> ragionevole durata, trasparenza, possibilità di accesso alla giustizia,
> obbligatorietà dell’azione e parità fra accusa e difesa dinanzi al giudice
> terzo e imparziale*.
>
> *L’informatizzazione deve inserirsi in questo percorso, nella
> consapevolezza che è la tecnica a dover seguire il modello costituzionale e
> normativo del processo in vigore – con i doverosi adattamenti – e non
> viceversa* (CSM delibera del 14 ottobre 2015, Verifica dello stato di
> informatizzazione del processo penale).
>
>
>
>   *Note*
>
> 1 Salvatore Satta nel suo *Il mistero del processo* ricordava come sia
> «altamente significativo che le grandi rivoluzioni che si sono condotte in
> nome della libertà, nel nome della libertà abbiano subito sentito il
> bisogno di provvedere alla riforma del processo. La legge del 3 brumaio
> anno II vi provvide, come è noto, eliminando dal processo gli avvocati, il
> che è come dire mettendo nel nulla il principio del contraddittorio». V. *Il
> mistero del processo*, Milano, Adelphi edizioni, 1994, p. 77.
>
> 2 Emmanuel Jeuland sottolinea l’insufficienza di un approccio
> amministrativo e la necessità di una valutazione complessivamente più
> critica rispetto alla giustizia digitale, che passa per un “interumanesimo”
> (*interhumanisme*) e un approccio *relazionista* al diritto, che
> consideri non solo gli interessi individuali delle parti ma anche la loro
> relazione concepita nella sua complessità razionale ed emotiva. Da qui la
> necessità di *un principio di presenza* che dia diritto a ogni parte di
> ottenere udienza. V. E.Jeuland*, Justice numérique, justice inique*?, in *Les
> Cahiers de la Justice*, n. 2 /2029 , pp. 194-195.
>
> Va ricordato che il Consiglio Costituzionale francese, con una decisione
> del 21.3.2019, ha riconosciuto implicitamente questo principio censurando
> la proposta di legge di programmazione 2018- 2022 nella parte in cui
> imponeva la videoconferenza in vista della proroga della *garde à vue*,
> senza l’accordo dell’interessato.
>
> 3 Per Antoine Garapon e Jean Lassègue «Il processo è il risultato di una
> connessione fra spazio e tempo, fra un atto passato e un avvenimento del
> presente, fra percezioni soggettive e una realtà oggettiva. […] Dalla
> capacità di inserire l’argomento giusto, nel momento e nel luogo giusti,
> quando *l’effimero gruppo sociale* riunito dal processo è pronto ad
> ascoltarlo, dipende, ad esempio, il successo di una difesa. I meriti di ciò
> sono da attribuirsi sia a una efficacia processuale che a una saggezza
> pratica che ha saputo approfittare della finestra di opportunità, del
> kairos. Il buon processo è quello che sa creare una sinergia fra questi tre
> tipi di efficacia processuale, simbolica e sociale». V.
> A.Garapon-J.Lassègue, *Justice digitale. Révolution graphique et rupture
> anthropologique*, Paris, Press Universitaires de France, 2018, pp.
> 168-169 (traduzione nostra).
>
> 4 A.Garapon-J.Lassègue, cit., p. 191.
>
> 5 Luigi Ferrajoli, *Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale*,
> Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 632.
>
> 6 S. Satta, cit., p. 65.
>
> 7 Su questi aspetti in generale v. sempre A.Garapon-J.Lassègue, cit.
>
>
>
> ****articolo pubblicato il 22 aprile 2020*
>
> *nella Rivista “Diritto di Difesa”*
>
> *www.dirittodidifesa.eu* <http://www.dirittodidifesa.eu>
>
>
>
> --
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