[Area] Mariarosaria Guglielmi - Quel "rito" al quale non possiamo facilmente rinunciare

giovanni.palombarini a libero.it giovanni.palombarini a libero.it
Dom 26 Apr 2020 11:25:18 CEST


Segnalo, per chi non l’avesse visto, un articolo a pagina 7 del Manifesto di Cristina Ornano sulla necessità di un’ampia regolarizzazione. Giovanni Palombarini



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domenica 26 aprile 2020, 11:01 +0200 da Magistratura democratica  <md a magistraturademocratica.it>:
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>Quel “rito” al quale non possiamo facilmente rinunciare*
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>( di Mariarosaria Guglielmi –  Segretaria generale di Magistratura democratica )ssità 
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>Sommario - 1. Una necessaria premessa. 2. Principi irrinunciabili e compromessi accettabili. 3. La proposta delle udienze penali da remoto. Rinunciare ai luoghi del processo? 4.  Smaterializzare le carte, non le persone .
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>1. Una necessaria premessa.
>La democrazia corre il più grande pericolo a volersi pensare come un sistema di istituzioni che, in qualche modo, è a nostra disposizione, o nel rifiutare di prendere in considerazione l’idea che deve farsi carico di un interminabile “interrogarsi” .
>Partendo dalle parole di Claude Lefort, potremmo dire che il più grande rischio per il processo penale nasce oggi dal pensare che sia un istituto a  nostra disposizione , strumento da modellare in vista del raggiungimento del risultato finale – a seconda delle contingenze o in ragione delle nuove opportunità – senza farsi carico degli  interminabili interrogativi che devono accompagnare ogni sua evoluzione, specie quando diventa inevitabilmente parte di grandi cambiamenti 1 .
>Il processo è un fatto sociale e un evento collettivo
>Come tutti i fatti sociali e collettivi non uscirà indenne da questi mesi né resterà estraneo alle tensioni cui è sottoposta la giurisdizione.
>I riflessi di una crisi che in breve tempo ha disegnato un nuovo ordine mondiale e destrutturato i rapporti sociali ed economici, faranno presto ingresso – in forma di nuovi conflitti – nelle aule di giustizia.
>L’ individuale e il  collettivo dovranno adattarsi ad una dimensione finora sconosciuta, con nuove forme di interazione e di limitazione reciproca: diritti e libertà dei singoli dovranno ancora confrontarsi con forme inedite di restrizione e sarà necessario farsi carico degli aspetti di maggiore vulnerabilità della sfera individuale, oggi da tutti percepita meno “intangibile” in nome del bene primario della salute pubblica.
>L’identità stessa della nostra comunità – espropriata di tutti i momenti di più forte e riconoscibile strutturazione simbolica – dovrà trovare nuove modalità espressive per ricostruire una coesione intorno ai valori che, in questa difficile prova per il paese, ne hanno garantito la tenuta.
>Il processo, come luogo di composizione di conflitti e di ricomposizione dei valori di convivenza civile, non resterà fuori dal cambiamento globale, e nelle aule di Giustizia vedremo materializzarsi tutta la complessità della nuova era che ci attende.
>La giurisdizione dovrà fare la sua parte, ma rischia di arrivare a questo appuntamento ancora più provata dall’aggravamento del suo cronico stato di sofferenza prodotto dalla sospensione di questi mesi.
>Nessuno può chiamarsi fuori dalla necessità di individuare le soluzioni necessarie perché la Giustizia riprenda a funzionare e di confrontarsi sulle imminenti prospettive di una difficile ripresa.
>Oggi, al nostro  interminabile interrogarci sulle cause dell’inefficienza del sistema penale e sull’effetto moltiplicatore delle diseguaglianze che la sua macchina inceppata produce, si aggiungono nuove domande sui rischi e sulle opportunità che la svolta tecnologica può portare nelle aule di giustizia.
>Se le soluzioni sperimentate nell’emergenza hanno consentito di salvaguardare la giurisdizione, evitando una intollerabile sospensione degli interventi più urgenti a tutela dei diritti e delle libertà, e se in poco tempo sono state superate resistenze ataviche anche fra i magistrati rispetto all’utilizzo di irrinunciabili strumenti di lavoro messi a disposizione dalla tecnologia, nella fase che ora si apre spetta anzitutto a noi giuristi ragionare sul senso dei cambiamenti inevitabili, di quelli necessari e di quelli auspicabili.
>Senza cadere nell’errore di pensare che il processo sia solo uno  strumento a nostra disposizione . Presto avvertiremo l’importanza di interrogarci e di confrontarci sulla complessa funzione che anche il processo – come evento e luogo che dà rappresentazione alla Giustizia – dovrà svolgere rispetto alla coesione e alla tenuta della comunità democratica.
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>2. Principi irrinunciabili e compromessi accettabili.
>Abbiamo per la prima volta sperimentato in questi mesi la celebrazione da remoto delle udienze per le convalide di arresti e fermi.
>Una soluzione che ha garantito presenza ed effettività della giurisdizione rispetto ad uno snodo fondamentale, momento di massima espressione della sua funzione di garanzia costituzionale: sia pure in forma mediata e virtuale, abbiamo celebrato i processi di convalida osservando la ritualità che prevede la comparizione dinanzi al giudice della persona privata della libertà personale.
>La capacità di accettare “compromessi” e la tolleranza rispetto alle deroghe, temporanee e condivise, alla pienezza delle sue conquiste, fanno parte della resilienza della democrazia.
>Laddove la democrazia non è invece abbastanza forte da accettare i “compromessi”, l’emergenza si governa con lo stato d’eccezione e, in nome di esigenze superiori, la democrazia viene espropriata delle sue prerogative.
>È accaduto anche dentro i confini europei, nei paesi come l’Ungheria dove la pandemia è servita ad accelerare il processo di regressione democratica, portando di fatto alla sospensione dello stato di diritto.
>Una democrazia salda, che accetta i compromessi, riesce a trovare in sé gli strumenti, anche imperfetti, per riaffermare la forza dei valori e dei principi che ritiene irrinunciabili.
>E non va per questo sottovalutata la valenza di scelte di mediazione funzionali alla tenuta dello stato di diritto e delle garanzie per la libertà personale, di cui fa parte la possibilità della persona arrestata di essere condotta dinanzi a un giudice e di svolgere la sua difesa.
>Qui torna l’importanza della premessa da cui siamo partiti: il processo, con le sue regole, non è uno strumento a disposizione di un risultato e non possiamo sottrarci alle domande sulle ricadute dei cambiamenti strutturali delle sue regole rispetto ai valori che deve tutelare.
>Le norme processuali che disciplinano lo svolgimento dell’udienza di convalida non sono neutre e sono esse stesse regole di garanzia.
>Nella udienza che vede la  presentazione della persona privata della libertà personale in un’aula di Tribunale, l’incontro e l’instaurarsi di una relazione diretta con il suo giudice e con il suo difensore, l’interruzione del  legame con chi ha operato l’arresto e l’esposizione nella dialettica delle parti delle ragioni della difesa, prende forma l’esercizio della giurisdizione, con la ritualità delle regole processuali di garanzia che legittima il giudizio finale sull’atto restrittivo della libertà personale.
>Le stesse ragioni che hanno reso accettabile il “compromesso” e la sperimentazione di una udienza virtuale – salvaguardare il principio della comparizione dinanzi al giudice – impongono dunque il ritorno, ad emergenza cessata, alla regola della celebrazione dell’udienza  reale .
>Non occorre ricordare che della storia del nostro paese fanno parte vicende giudiziarie nelle quali non è bastato all’arrestato comparire in udienza per ottenere uno sguardo attento agli abusi subiti.
>E molti in questi giorni lo hanno ribadito.
>È certo vero che l’udienza in sé e la  relazione che si instaura fra i presenti non sono sempre garanzia di maggiore attenzione e di capacità di “prendere in affidamento” chi si trova, da persona non libera, dinanzi all’ autorità che dovrà giudicarla.
>Ma se oggi abbiamo il dovere e la responsabilità di interrogarci e di chiederci come sia possibile che ciò accada, domani - dietro allo schermo - insieme alle persone potrebbero scomparire, in dissolvenza, anche le nostre domande.
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>3. La proposta delle udienze penali da remoto. Rinunciare ai luoghi del processo?
>È ragionevole attendersi che, ampliati i casi di celebrazione delle udienze penali da remoto e realizzata l’effettiva messa a punto, tecnica e giuridica, del necessario sistema di supporto, il nuovo modello di processo rappresenterà di fatto e sarà vissuto come una “svolta epocale”, un punto di non ritorno.
>La proposta contenuta nell’emendamento governativo mette sul tavolo una prospettiva, per la prima volta in maniera così concreta, di un vero e proprio mutamento di paradigma del nostro processo penale.
>Per questo, a prescindere dall’esito che avrà l’iter parlamentare, il dibattito sulla  smaterializzazione delle udienze penali, di suoi singoli frammenti ma anche dei suoi momenti di maggiore  solennità (quale può essere la lettura del dispositivo), di forte simbolismo o  sacralità (il giuramento pubblico di un testimone, la decisione nel  segreto nella camera di consiglio) è l’occasione per riaffermare la centralità dei principi fondamentali del nostro modello di processo: occorre tracciare una linea di confine, a salvaguardia dei suoi valori essenziali; al di là e al di fuori di questo ambito da presidiare, si potrà e si dovrà invece discutere di possibili riforme per un  non ritorno a un passato fatto di prassi, di moduli e assetti organizzativi che rappresentano una grave ipoteca sull’efficienza del nostro processo.
>Un confronto sul modello di processo penale e di giurisdizione da salvaguardare appare tanto più necessario ed urgente perché, proprio dalla crisi dell’emergenza sanitaria, la tendenza globale verso la rivoluzione digitale in tutti i settori pubblici riceverà una ulteriore accelerazione.
>Sarà sempre più forte la spinta verso cambiamenti strutturali, prodotti dall’innesto di soluzioni tecnologiche, che dobbiamo essere in grado di governare e di orientare verso un’organizzazione efficiente del processo penale conforme ai valori della giurisdizione.
>Esperienze a noi vicine, come quella della Francia, dimostrano che le opportunità della rivoluzione digitale possono diventare la base per una riconfigurazione complessiva di tutto il sistema giudiziario verso un circuito alternativo a quello giurisdizionale (le proposte del ddl «di programmazione 2018-2022 e di riforma per la giustizia» per una trasformazione digitale sono state accompagnate dall’esplicito sostegno del Ministero della Giustizia allo sviluppo di piattaforme di risoluzione online delle controversie) e da molte voci critiche del dibattito che si è sviluppato sull’investimento nel digitale per la giustizia è venuto un forte richiamo alla necessità di introdurre misure di salvaguardia come “il diritto a un’udienza fisica” (il cd. “principio di presenza”) 2 .
>E, guardando al contesto nazionale, è bene ricordare che, in nome della semplificazione e della riduzione dei costi, abbiamo da poco approvato la riforma per il taglio del numero dei parlamentari, fortemente voluta dalla forza politica di governo che sostiene la rottamazione della democrazia rappresentativa, promuove il modello della “democrazia diretta” (via web) e ha sperimentato un “vincolo di mandato parlamentare” sulla base dell’esito delle consultazioni della piattaforma Rousseau. Non appare certamente remota la possibilità che in questo contesto storico maturino le condizioni politiche per una radicale svolta digitale, anche in ambito giudiziario.
>Non occorre spendere molti argomenti per sostenere le ragioni di chi ha già ricordato in questi giorni che, nel modello accusatorio del nostro processo, i principi di oralità e di immediatezza governano la formazione della prova e determinano la sua qualità, e che la remotizzazione dell’istruttoria dibattimentale altera i meccanismi processuali che devono garantire pienezza del contraddittorio e della sua portata garantista: non si tratta di accessori ma dei principi che strutturano le regole per l’acquisizione della conoscenza processuale e per l’effettivo esercizio del contraddittorio 3 .
>Ma il cambiamento del paradigma processale prodotto dalla smaterializzazione del dibattimento ha effetti di sistema anche più generali: produce il venir meno del  quadro simbolico dell’udienza,  necessario perché la realtà prenda un nuovo significato, d’ordine collettivo 4 .
>Un quadro simbolico che si compone di quelle che Luigi Ferrajoli ha definito le  garanzie di garanzie , o  garanzie di secondo grado 5 : la  pubblicità e l’oralità del giudizio, la legalità o ritualità delle procedure sulle quali si fonda la relativa certezza che siano state soddisfatte le  garanzie primarie ,  più intrinsecamente epistemologiche , del processo accusatorio.
>La ritualità del processo, come l’insieme delle regole e degli elementi che ne fanno una  rappresentazione collettiva , non ha funzione meramente ordinatoria delle attività che vi si svolgono o del comportamento dei suoi attori protagonisti: essa conforma l’esercizio della giurisdizione ai suoi valori e, attraverso la rappresentazione processuale - pubblica e partecipata - concorre al riconoscimento della sua legittimazione democratica ( Justice must not only be done; it must also be seen to be done ), e del valore di  autorità al  giudizio che dispone dei diritti e delle libertà
>L’udienza virtuale non solo interrompe l’interazione fra gli attori del processo, prodotta dalla loro compresenza fisica in una contestualità di tempo e di luogo, ma tende a relegare in secondo piano, se non a far uscire del tutto di scena, l’altro protagonista essenziale: il pubblico.
>Pur salvaguardando il principio della pubblicità che connota ontologicamente il dibattimento, destrutturata la ritualità dell’udienza e delle sue componenti essenziali (unità di luogo, di tempo e di persone), avremo al più frammenti di una rappresentazione processuale pubblica e la perdita del valore simbolico di evento collettivo che il processo acquisisce attraverso la presenza del pubblico in aula.
>Non è solo un problema di trasparenza.
>Nel venir meno di questa dimensione rituale e fisica del processo, smaterializzata persino nei suoi momenti di intangibile segretezza, come la celebrazione della camera di consiglio, si intravede un cambiamento che toglie al processo la  sacralità e lo rende riconoscibile come luogo dove si celebra un  mistero .
>Il mistero che, come ha scritto Salvatore Satta, è forse il più grande alla base della nostra vita sociale: quello per cui una persona, un uomo, può giudicare di un altro uomo 6 .
>Se perdiamo i luoghi reali del processo, perdiamo i luoghi dove la Giustizia è riconoscibile per tutti e dove chi la amministra rappresenta l’istituzione. Perdiamo il ruolo sociale del giudice e muta il suo compito: non rispondere alle aspettative di Giustizia facendosi carico della complessità delle vicende umane che fanno ingresso nelle aule di tribunale, ma chiudere un fascicolo, e farlo nel più breve tempo possibile.
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>4 . Smaterializzare le carte, non le persone .
>La rivoluzione digitale è un “fatto sociale totale”. Incide su tutti i settori dell’esistenza collettiva e l’impatto che può avere sulla giustizia non si ferma al solo aspetto giuridico e istituzionale, offrendo un nuovo quadro simbolico rispetto a quello del rituale proprio dei luoghi dove la Giustizia si amministra: è un fatto che nel complesso ne riorganizza i valori 7 .
>La sfida, per la Giustizia, come per tutte le istituzioni della democrazia, sarà allora impadronirsi degli strumenti tecnici, governarli anziché esserne governati; resistere all’effetto conformativo che una rivoluzione digitale globale può produrre sulla giurisdizione, privandola della sua dimensione istituzionale e antropologica, dei suoi luoghi, del suo rituale e dei suoi tempi e riducendola, in ultima analisi, ad un servizio che deve assicurare risultati.
>L’emergenza sanitaria ha soltanto accelerato per noi i tempi di una riflessione e di scelte che non si possono rinviare.
>E il dibattito acceso che si è aperto nella magistratura e nell’avvocatura sull’udienza da remoto deve diventare l’occasione per rimettere al centro del confronto le misure necessarie per restituire centralità ed efficienza al modello di “giusto” processo.
>Partendo dalle scelte di organizzazione, innovazione e informatizzazione che diano impulso alla realizzazione degli strumenti del cd. processo penale telematico diretti a  smaterializzare le carte e non le persone , come è stato efficacemente detto.
>Un percorso che, da questa crisi, deve ripartire in fretta e con obiettivi chiari:  ogni intervento – normativo, di organizzazione e tecnico – in materia penale deve avere quale inevitabile riferimento primario il modello del giusto processo richiesto dal sistema costituzionale nel suo complesso e con specifico riferimento all’art. 111 e 112 della Cost. in termini di ragionevole durata, trasparenza, possibilità di accesso alla giustizia, obbligatorietà dell’azione e parità fra accusa e difesa dinanzi al giudice terzo e imparziale .
>L’informatizzazione deve inserirsi in questo percorso, nella consapevolezza che è la tecnica a dover seguire il modello costituzionale e normativo del processo in vigore – con i doverosi adattamenti – e non viceversa (CSM delibera del 14 ottobre 2015, Verifica dello stato di informatizzazione del processo penale).
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>   Note
>1 Salvatore Satta nel suo  Il mistero del processo ricordava come sia «altamente significativo che le grandi rivoluzioni che si sono condotte in nome della libertà, nel nome della libertà abbiano subito sentito il bisogno di provvedere alla riforma del processo. La legge del 3 brumaio anno II vi provvide, come è noto, eliminando dal processo gli avvocati, il che è come dire mettendo nel nulla il principio del contraddittorio». V.  Il mistero del processo , Milano, Adelphi edizioni, 1994, p. 77.
>2 Emmanuel Jeuland sottolinea l’insufficienza di un approccio amministrativo e la necessità di una valutazione complessivamente più critica rispetto alla giustizia digitale, che passa per un “interumanesimo” ( interhumanisme ) e un approccio  relazionista al diritto, che consideri non solo gli interessi individuali delle parti ma anche la loro relazione concepita nella sua complessità razionale ed emotiva. Da qui la necessità di  un principio di presenza che dia diritto a ogni parte di ottenere udienza. V. E.Jeuland , Justice numérique, justice inique ?, in  Les Cahiers de la Justice , n. 2 /2029 , pp. 194-195.
>Va ricordato che il Consiglio Costituzionale francese, con una decisione del 21.3.2019, ha riconosciuto implicitamente questo principio censurando la proposta di legge di programmazione 2018- 2022 nella parte in cui imponeva la videoconferenza in vista della proroga della  garde à vue , senza l’accordo dell’interessato.
>3 Per Antoine Garapon e Jean Lassègue «Il processo è il risultato di una connessione fra spazio e tempo, fra un atto passato e un avvenimento del presente, fra percezioni soggettive e una realtà oggettiva. […] Dalla capacità di inserire l’argomento giusto, nel momento e nel luogo giusti, quando  l’effimero gruppo sociale riunito dal processo è pronto ad ascoltarlo, dipende, ad esempio, il successo di una difesa. I meriti di ciò sono da attribuirsi sia a una efficacia processuale che a una saggezza pratica che ha saputo approfittare della finestra di opportunità, del kairos. Il buon processo è quello che sa creare una sinergia fra questi tre tipi di efficacia processuale, simbolica e sociale». V. A.Garapon-J.Lassègue,  Justice digitale. Révolution graphique et rupture anthropologique , Paris, Press Universitaires de France, 2018, pp. 168-169 (traduzione nostra).
>4 A.Garapon-J.Lassègue, cit., p. 191.
>5 Luigi Ferrajoli,  Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale , Roma-Bari, Laterza, 1990, p. 632 .
>6 S. Satta, cit., p. 65.
>7 Su questi aspetti in generale v. sempre A.Garapon-J.Lassègue, cit.
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>* articolo pubblicato il 22 aprile 2020
>nella Rivista “Diritto di Difesa”
>www.dirittodidifesa.eu
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