[Area] AreaDG sulle sfide della nuova crisi globale - V (Modelli di organizzazione nell'era della rete - Il processo penale telematico)

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Lun 27 Apr 2020 11:04:29 CEST


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*AreaDG sulle sfide della nuova crisi globale*



*L’emergenza epidemiologica, la crisi globale e le nuove sfide – 5*



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*Modelli di organizzazione, formazione, informatizzazione e sicurezza della
rete alla prova dell’emergenza sanitaria*.

Poche settimane di lockdown sono bastate a mettere in chiaro che il settore
giustizia era ed è impreparato per il lavoro agile indicato dal D.l.
18/2020 come modalità ordinaria di svolgimento del servizio  da parte del
personale giudiziario nel periodo dell’emergenza sanitaria. Altrettanto
evidenti sono stati i limiti degli attuali modelli di organizzazione del
lavoro  e  della formazione del personale giudiziario,  l’insufficienza dei
processi di  informatizzazione, specialmente nel settore penale.

Al di là di alcuni settori nei quali l’attività giudiziaria è sia pur
parzialmente  proseguita, occorre riconoscere che questo periodo ha segnato
una sostanziale stasi del lavoro giudiziario, non solo d’udienza, ma degli
stessi adempimenti legati ai depositi e alle comunicazioni e notificazioni
dei rinvii d’ufficio, con la conseguente formazione di una grossa mole di
arretrato che rischia di iscrivere  una pesante ipoteca sulla ormai
prossima fase 2 e sul futuro del nostro lavoro.

I processi di informatizzazione avviati finora, salvo una parte del lavoro
nel settore civile e l’udienza da remoto recentemente  introdotta per
alcuni casi con il D.l. 18/2020, presuppongono un accesso da ufficio,
mentre consentono di fare poco da remoto.

Tra gli emendamenti alla legge di conversione del D.l. 18/2020  in
discussione v’è la previsione dell’udienza “ in remoto ”, ossia la
possibilità di svolgere in  tutto o in parte nella fase 2 udienze mediante
l’utilizzo dell’applicativo teams. Qualcosa, certo, ma troppo poco.

Di fatto, i  magistrati hanno potuto svolgere in forma agile solo ciò che
già prima dell’emergenza potevano  fare da casa, ossia smaltire
l’arretrato, mentre per accedere ai registri informatici e per la stessa
riorganizzazione del lavoro per la fase 2 e la successiva fase della
ripartenza hanno dovuto operare dall’interno degli uffici giudiziari.

L’abbattimento dell’arretrato costituisce in  sè  un fatto positivo, perché
esso dovrebbe consentire di lavorare nel prossimo futuro più rapidamente;
ma nella situazione data la mole dei depositi rischia di complicare la non
facile ripresa, perché se nel tempo ordinario la capacità di lavoro del
magistrato deve fare i conti con l’insufficienza delle risorse nei servizi,
delle aule e del personale che deve fare l’assistenza e sbrigare gli
adempimenti di cancelleria, nella ripartenza si dovranno fronteggiare oltre
ai consueti problemi, quelli legati allo smaltimento dei moltissimi
adempimenti, (dai depositi, agli avvisi , alle notifiche dei rinvii etc )
non espletati dal personale nel periodo dell’emergenza.

Lo smart working, infatti, se ha funzionato poco per i magistrati, ha
funzionato ancor meno per il personale amministrativo, che non ha potuto
accedere ai registri informatici connessi alla rete giustizia, non ha
potuto accedere all’SNT, per la maggior parte non dispone della  Pec e
mancano le credenziali digitali.

Le cause di questa insufficienza sono ascrivibili certo allo scarso
sviluppo dei processi informatici, ma ancor prima sono da ricercare nella
formazione del personale, nella sua scarsa flessibilità e mobilità.

In occasione del recente tavolo tecnico Ministero – CSM del 7.4.2020, il
Capo DOG ha spiegato gli sforzi che sono stati messi in campo
nell’emergenza per  l’utilizzo da casa di  tutti gli applicativi per il
protocollo e le spese di giustizia ( Scripta, Calliope., Sicoge e Siamm) e
come siano state attivate  le piattaforme  e-learning al fine di favorire
l’apprendimento sui registri e l’utilizzo dell’applicativo Teams per smart
working e udienze.

Tuttavia, pur nella consapevolezza della situazione straordinaria nella
quale il Ministero si è trovato ad operare, l’impegno profuso non ha inciso
significativamente sulla capacità del personale di svolgere il lavoro agile
anche laddove sarebbe stato possibile, perché da un lato l’apprendimento di
un servizio giudiziario richiede una formazione anche pratica ed un
tutoraggio che in questo periodo non era disponibile, dall’altra il lavoro
agile avrebbe richiesto una capacità di rotazione del personale sui servizi
che, invece, i modelli di organizzazione del lavoro  finora praticati non
hanno favorito; si tratta, infatti, di modelli di organizzazione piuttosto
rigidi e poco flessibili, che tendenzialmente impongono al personale di
svolgere per lunghi periodi e in modo standardizzato esclusivamente un
certo tipo di servizio, senza alcuna rotazione.

Tale situazione trova la sua causa in scelte passate, che hanno visto il
Ministero della Giustizia subire per vent’anni tagli lineari di risorse e
di  personale,  con una inversione di tendenza che si è registrata solo in
tempi recenti  grazie all’impegno straordinario  del Dog e della sua
attuale dirigenza.

La prolungata penuria di personale ha indotto la dirigenza a irrigidire i
modelli di organizzazione nel tentativo di un recupero di produttività. Una
scelta le cui ragioni sono dunque complesse, ma che nei fatti ha anche
prodotto poca formazione sul campo, scarsa flessibilità e poca rotazione
nei servizi, ha impoverito la formazione e la motivazione del nostro
personale, costituendo perciò un fattore disfunzionale che tale è non solo
nella crisi, ma lo sarà nella fase 2 quando il personale sarà gradualmente
richiamato al lavoro da ufficio e si troverà non a rotare nei servizi, ma a
fare per alcuni giorni della settimana ciò che prima faceva per l’intera
settimana lavorativa.

Ma è un fattore disfunzionale che la crisi sanitaria ha messo in evidenza e
che, se non emendato, rischia di continuare ad essere un elemento di crisi
del sistema anche per il futuro.

L’altro fattore che non ha favorito l’accesso al lavoro agile è quello
dell’informatizzazione, rispetto alla quale la crisi ha ancor più
evidenziato come siamo di fronte ad una vera e propria incompiuta. Abbiamo,
di necessità, affrontato questo tema in relazione ai vari settori
esaminati, da ultimo con il documento pubblicato nei giorni scorsi lo
abbiamo trattato in relazione al processo e al settore civile.

Nel richiamare, quindi, tutti gli interventi sul punto, ci limiteremo  ad
affrontare alcune questioni di carattere generale, per appuntare
l’attenzione sul tema della sicurezza della rete e del  penale.

Un tema di carattere generale è certamente quello della dematerializzazione
perché riguarda tutti i settori e perché nessun discorso di
informatizzazione, specie in ambito giudiziario, può seriamente farsi se
non accompagnando ad esso un vasto programma di dematerializzazione degli
atti.

Eppure questo processo è in tutti i settori  ancora ben lontano dall’essere
sviluppato, esso è affidato a progetti estemporanei, come quello del TIAP,
che funzionano su finanziamenti a singhiozzo e con una diffusione
disomogenea sul territorio nazionale.

Nel periodo dell’emergenza per consentire al personale amministrativo di
svolgere il lavoro agile sarebbe stato necessario

-       Nel civile consentire l’accesso da remoto a tutti i registri i
registri SICID e SIECIC

-       Nel penale l’acceso  alla PEC dell’ufficio e/o a SNT per effettuare
per via telematica le notifiche e consentire l’accesso da remoto ai
magistrati degli uffici GIP e della Procura al TIAP, così da consentire
l’espletamento del lavoro dalle postazioni di casa ed evitare inutili
accessi in ufficio.

In occasione del tavolo tecnico più sopra richiamato, il Capo Dog ha
spiegato che la scelta di non consentire la lavorazione da remoto sui
registri di cancelleria  in rete  è stata una scelta necessitata  dalle
politiche della sicurezza del Governo che prevedono in questo periodo un
rafforzamento delle reti di protezione e nel caso che ci interessa la RUG,
in relazione alla quale consentire “l’uscita” comporterebbe l’esposizione a
rischio.

Il problema,  quindi,  non è di carattere tecnico, in quanto è possibile
garantire l’accesso ai registri in sicurezza approntando adeguate misure,
ma con le difficoltà  anche operative che l’emergenza  sanitaria ha
determinato.

Problema  dunque  risolvibile   attraverso l’organizzazione e l’
investimento di risorse.

La crisi sanitaria ha messo in luce problemi, ritardi e carenze, molti dei
quali potrebbero essere superate con provvedimenti organizzativi e con atti
normativi di razionalizzazione e messa a sistema che non richiederebbero
particolari impegni di risorse o l’impegno di ricorse, come per i progetti
di Giustizia digitale finanziati con fondi europei, già  disponibili e che
si rischia di perdere ove non utilizzate.

Quello che manca, e che occorre che da subito il  Ministero della Giustizia
metta in campo e sviluppi nei prossimi mesi almeno cinque azioni:

1)     Metta a sistema un programma di dematerializzazione degli atti con
carattere di comprensità, coerenza e continuità

2)     Appronti quelle misure che garantiscano la messa in sicurezza della
rete in modo da consentire l’accesso ai registri da remoto

3)     Avvii un processo di revisione dei modelli di organizzazione e della
formazione del personale giudiziario

4)     Completi  la “filiera” del pct

5)     Progetti e realizzi il processo penale telematico

E’ quest’ultimo un terzo  fattore  che nella crisi sanitaria  ha sfavorito
il lavoro agile e che costituisce un fattore di  disfunzionalità anche nel
tempo ordinario: la assenza di un vero processo penale telematico .



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*Il processo penale dopo l’emergenza: realizzare il processo penale
telematico*.



L’informatizzazione del settore penale sconta un ritardo che, rispetto al
civile, si può misurare ormai in termini di lustri, non di anni: oggi il
penale è come era il civile nel 2006 quando partiva la sperimentazione del
decreto ingiuntivo. Anzi è più indietro: perché almeno a quell’epoca nel
civile esisteva già un progetto complessivo.

Spaventa oggi l’assenza di un disegno generale e complessivo: dal 2006 ad
oggi vi è stata una semplificazione dei registri (con l’adozione di un
unico sistema informativo per il settore della cognizione e di un unico
sistema informativo per il settore dell’esecuzione, quest’ultimo realizzato
tra il 2001 e il 2004).

A ciò si è accompagnata l’introduzione di SNT per le notifiche agli
avvocati degli atti processuali tramite pec: notifiche su cui la recente
legislazione emergenziale ha inciso permettendo la notifica all’imputato
tramite notifica al difensore di fiducia.

In molti uffici, ma non in tutti e non in modo generalizzato, è stato
introdotto Tiap che peraltro si basa sulla scansione manuale degli atti:
quindi di fatto trasferisce l’attività di fotocopiatura su un sistema
informatico determinando risparmi solo su ampia scala (tipicamente nei
grandi uffici e per l’attività connessa al 415 bis cpp. o per la
trasmissione atti al Tribunale del Riesame) e richiede un forte
investimento in termini di risorse umane.

Infine, in alcuni uffici si sta diffondendo l’uso del portale delle notizie
di reato: ma senza un obbligo normativo per le forze di polizia e senza una
regolamentazione precisa.

Di fatto sia SNT, che TIAP che il Portale delle Notizie di reato
presuppongono la tecnologia della carta e di quella non riescono a fare a
meno: intervengono solo per operare una parziale dematerializzazione e
trasmissione di atti di cui, da qualche parte, esiste un originale cartaceo
che comunque deve essere conservato nel fascicolo cartaceo che resta l’alfa
e l’omega dell’intero processo.

Si pensi ad esempio come vengono gestite le notifiche telematiche:

a) l'atto originale da notificare viene emesso in cartaceo con firma
autografa (il computer, qui, serve solo come strumento evoluto di
videoscrittura) e viene inserito e conservato nel fascicolo;

b) quello che viene inviato è una copia informatica (per
immagine/scansione) che viene dichiarata conforme dal cancelliere che ha
proceduto alla scansione;

c) l'avvocato riceve una copia informatica dell'originale cartaceo: la pec
assicura che proviene dal tribunale, la conformità del cancelliere assicura
che quella immagine è identica all'originale che viene conservato nel
fascicolo;

d) la prova dell’avvenuta notifica deve essere stampata e inserita nel
fascicolo (pinzandola all’originale altrimenti i due documenti non si
incontrano più)

Il cancelliere vicino di scrivania, che si occupa del civile, per
notificare un atto del giudice prima lo accetta sul sistema (perché l’atto
è digitale, firmato con firma digitale e depositato in via telematica dal
giudice) e poi dispone da sistema l’invio al destinatario ricevendo pochi
secondi dopo la ricevuta di avvenuta consegna che viene automaticamente
conservata nel fascicolo digitale (e che il giudice può controllare ogni
momento). Insomma: un abisso tra i due mondi per cui diventa sinceramente
difficile parlare di “processo penale telematico”.

Ma anche l’organizzazione giudiziaria, come la fisica, non tollera il
vuoto: per cui pur con strumenti limitati negli uffici giudiziari
prolificano le iniziative.

Così mentre nel civile le migliori energie vengono spese a cercare di
sfruttare tutte le funzionalità del pct (e a chiedere il completamento
delle tante funzioni che ancora mancano e l’estensione ai settori che ne
sono privi) nel penale è una rincorsa a sfruttare il poco che c’è anche in
modo non ortodosso ma necessario al funzionamento dell’ufficio.

A parte il proliferare di iniziative autonome su base locale si pensi, per
tutti, all’uso indiscriminato della Pec: già prima dell’emergenza, ma ancor
di più in questo periodo, viene accettato, anzi sollecitato, il deposito da
parte degli avvocati di  impugnazioni, istanze, liste testi. Di fatto la
pec è diventato uno strumento di comunicazione che introduce atti nel
processo penale senza alcuna copertura normativa come avviene nel civile
dove, oltre le norme del Cad,, trovano applicazione le specifiche   del DM
44/2011 e le specifiche tecniche emanate da Dgsia in forza di tale DM.

E l’uso della pec riproduce il problema già evidenziato: la mail va
stampata e alla fine il contenuto va trasformato in analogico-cartaceo per
essere conservato nel fascicolo cartaceo.

Il sistema penale richiede un progetto vero e in tempi rapidi. Occorre
digitalizzare l’intera filiera del sistema partendo dall’inizio ossia dalla
notizia di reato.

E’ necessario quindi:

a)     Introdurre il documento digitale come regola e non eccezione
(maltollerata) del sistema;

b)     Rendere quindi normativamente obbligatoria la trasmissione delle
notizie di reato in modalità esclusivamente telematica (sempre con firma
digitale) da parte della polizia giudiziaria;

c)     Predisporre un sistema di ricezione delle notizie di reato (tramite
servizi/portale o tramite pec) integrato con il sistema dei registri e
appoggiato su una piattaforma documentale che provvede all’archiviazione di
atti del processo;

d)     Fornire ai Pubblici Ministeri e ai Giudici un sistema di
consultazione degli atti digitali e di elaborazione dei provvedimenti
introducendo la firma digitale e il deposito dell’atto in formato digitale
sempre previa annotazione dell’avvenuto deposito sul registro informatico

e)     Innestare su tale sistema un sistema di comunicazione telematica da
e verso il mondo esterno agli uffici giudiziari: avvocati, polizia
giudiziaria, pubbliche amministrazioni etc

f)      Prevedere la comunicazione telematica come unica forma di deposito
degli atti processuali sia da parte di tutti gli attori del processo

g)     Integrare tutti i sistemi del penale in modo che informazioni e
documenti che le contengono siano disponibili, secondo le regole
processuali, in ogni fase del processo, compresa la fase del giudizio di
legittimità e la fase esecutiva.

Solo così,  potremo  trasformare la crisi  in una opportunità per il futuro.

* (5 - continua …)*


*N.B.: tutto il materiale si trova sul sito www.areadg.it
<http://www.areadg.it> (*
http://www.areadg.it/speciali/emergenza-e-nuove-prospettive/)
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