[Area] udienza da remoto e processo penale

MOROSINI PIERGIORGIO piergiorgio.morosini a giustizia.it
Mar 5 Maggio 2020 13:54:36 CEST


Per chi fosse interessato, invio il pezzo pubblicato oggi sul Fatto
Quotidiano sul tema delle udienze da remoto. Un saluto a tutti. Piergiorgio


QUANDO SI RIVELANO UTILI LE TELE-UDIENZE
Di Piergiorgio Morosini (Giudice delle indagini preliminari presso il
tribunale Palermo)

Il lockdown non ha del tutto sospeso la giustizia. Anche in giornate cariche
di bollettini medici e ansie per i mercati, le sue urgenze sono rimaste
sotto riflettori. E non sono mancate rappresentazioni grottesche, persino
quando ha cercato di far luce su decessi evitabili o speculatori del
covid-19; o si è vista costretta a scelte tragiche tra salute dei detenuti e
sicurezza pubblica. Ora la nuova frontiera degli estremismi è la
“tele-udienza” nel processo penale, voluta dal “Cura Italia” per evitare il
contagio nei tribunali. C’è chi grida alla “strage di legalità” e chi la
promuove a farmaco salvifico per tutti i mali della giustizia. Ma quei toni
penalizzano una riflessione laica su potenzialità e limiti delle tecnologie
applicate al processo, con lo sguardo rivolto oltre l’emergenza. E, forse,
sono la causa dell’andamento ondivago di decreti legge varati nello spazio
di pochi giorni.
Quelli che parlano di udienza da remoto come “tomba del giusto processo” si
pongono fuori dalla realtà. Da tempo, è adottata in Inghilterra e negli
Stati Uniti, ordinamenti da sempre presi a modello per le garanzie di
oralità e immediatezza. In Italia, poi, la teleconferenza si fa da oltre
vent’anni. E’ la regola nei processi ai boss-detenuti, o quando depongono
collaboratori di giustizia e testimoni da proteggere. Le leggi speciali che
la prevedono hanno ricevuto l’avallo di Corte Costituzionale e Corte europea
dei diritti dell’uomo. Insomma, “difesa” e “presenza fisica” non sono un
binomio inscindibile per garantire il contradditorio. In ogni caso, la
partecipazione a distanza può essere revocata dal giudice se in concreto
danneggia l’imputato.
Con la pandemia, il tele-collegamento diventava una scelta necessitata. Solo
la sua estensione a più atti del processo poteva assicurare lo svolgimento
“in sicurezza” delle funzioni non procrastinabili della giurisdizione. Si
pensi alla verifica di validità di un arresto in flagranza, ai giudizi per
direttissima, ai processi con imputati detenuti, alla raccolta di
“prove-chiave” a rischio dispersione. Così la “sperimentazione” della
tecnologia, imposta dall’emergenza, ha fornito indicazioni utili anche nella
prospettiva di riaprire quel cantiere delle riforme chiusosi a marzo.
Ora disponiamo di più elementi per capire che l’udienza da remoto in taluni
casi è molto utile, in altri problematica, in altri ancora da evitare. Ad
esempio, abbatte costi e inutili attese, per  patteggiamenti, opposizioni ad
archiviazioni, conferimento incarichi peritali, senza nella sostanza erodere
alcuna garanzia. Invece, anche per la non sempre ottimale qualità del mezzo
tecnico, può rendere complicate le interlocuzioni riservate tra avvocato e
assistito o la produzione tempestiva di documenti importanti, menomando la
difesa. Ed ancora. Vi sono atti che, per la finalità assegnatagli dal
codice, sono impensabili con l’udienza da remoto, quali il “riconoscimento
di persone o cose” o il “confronto” tra l’imputato e il suo accusatore, per
saggiarne l’attendibilità.
Da tutto ciò si trae una lezione: il ricorso alla tecnologia va calibrato al
tipo di attività da svolgere. E’ irragionevole rinunciare a priori all’udienza
da remoto prendendo a unico parametro la testimonianza nel dibattimento
penale, come fanno i suoi detrattori ad oltranza. Il processo è tanto altro.
Un ventaglio variopinto di riti, fasi e fonti di prova. Lo stesso esame in
contraddittorio  è assai diverso se è il carabiniere a deporre sul piccolo
furto o il testimone oculare di un omicidio. Così la tecnologia va vissuta
come opportunità e non come regola, per rimettere in asse un sistema che da
anni scarica i costi delle sue lungaggini sui diritti delle persone
(prescrizione docet).
Più che di stucchevoli derby di ritorno tra garantisti e giustizialisti o
tra modernisti e tradizionalisti, c’è bisogno di concretezza. L’uso delle
tecnologie assicura efficienza e rispetto delle garanzie solo a certe
condizioni. Come constatato in questi giorni difficili, urgono investimenti
per risorse tecniche e formazione specifica dei protagonisti del processo.
Il che implica non solo opzioni politiche. Ma anche un impegno organizzativo
“a monte”, che sia condiviso tra magistrati, avvocati, polizia giudiziaria e
personale ausiliario dei tribunali, anche a livello locale.
I cambiamenti richiedono senso di responsabilità per governarli. Soprattutto
per i magistrati, alle prese con una fase di strisciante crisi di
credibilità, causata in parte da recenti scandali interni. Non può sfuggire
che l’udienza virtuale finisca per ridurre le occasioni di contatto diretto
col cittadino (parte del processo o spettatore), col rischio di allargare un
solco già problematico. Forse, l’antidoto sta nel coltivare una idea di
tecnologia al “servizio della giustizia” e non viceversa. 





Maggiori informazioni sulla lista Area