[Area] R: Intervento di Mariarosaria Guglielmi (Il Foglio, 12 maggio 2020)

Gianfranco Gilardi gianfrancogilardi a gmail.com
Mer 13 Maggio 2020 14:33:30 CEST


La magistratura di sorveglianza costituirebbe un'anomalia rispetto alla
funzione istituzionale della magistratura? E perché mai?
Gianfranco Gilardi

Il Mer 13 Mag 2020, 13:54 u.nannucci a alice.it <u.nannucci a alice.it> ha
scritto:

> MD dovrebbe riflettere senza lasciarsi influenzare dalla maggiore o minore
> affinità ideoloigica. la magistratura di sorveglianza nacque nel clima
> culturale dei cattolici di sinistra, di cui era figura carismatica a
> Firenze padre Ernesto Balducci, seguito e ammirato da molti magistrati tra
> cui spiccava per doti umane Sandro ;argara, e sul piano politico il
> deputato Mario Gozzini. si pensò quindi di istituire una categoria di
> magistrati che avesse come compito essenziale e assorbente la
> "rieducazione" del condannato; considerata come unico fondamento morale e
> legale della detenzione. Poichè peraltro nessun giudice possiede un
> termometro per misurare il rivello di rieducazione raggiunto, si ritenne -
> attraverso una serie di leggi sempre più permissive - che l'unico sistema
> fosse quello di consentire al detenuto di uscire dal carcere per verificare
> il suo comportamento e valutare se la detenzione sofferta avesse funzionato
> così da riammetterlo alla vita civile. di qui gli istituti dei permessi
> premio, detenzione domiciliare, affidamento in prova semilibertà ecc.
> in caso di nuovo crimine, si riapriva il carcere.  molti furono i casi -
> anche se non è facile rintracciarli - di crimini commessi durante i
> permessi, deo qiuali non mi risultano statistiche.
> di fatto: la magistratura di sorveglianza, malgrado l'alta ispirazine
> morale che la caratterizza, costituisce una anomali rispetto alla funzione
> istituzionale della magistratura, introdotta per finalità etico/morali a
> sfondo religioso, che non competono al giurista e introduce un vulnus nel
> principio della paari soggezione di cittadini alla legge in relazione al
> potere concesso di attenuare il sistema sanzionatorio in relazione
> all'apprezzamento discrezionale da parte di soggetti che pur essendo
> magistrati, non esercitano funzioni giurisdizionali.
> ubaldo nannucci
>
> ----Messaggio originale----
> Da: md a magistraturademocratica.it
> Data: 12-mag-2020 19.49
> A: <europa a magistraturademocratica.it>, <area a areaperta.it>
> Ogg: [Area] Intervento di Mariarosaria Guglielmi (Il Foglio, 12 maggio
> 2020)
>
>
>
> Non bastava lo sconcerto prodotto nell’opinione pubblica dalle
> dichiarazioni del dottor Di Matteo. Un magistrato, noto per il suo impegno
> nella lotta alla criminalità organizzata, ora con un ruolo istituzionale
> quale componente del Csm, sceglie una platea televisiva – e l’inevitabile
> massimo clamore mediatico – per esternazioni che chiamano in causa
> l’attuale ministro della Giustizia (e il contenuto di un colloquio
> riservato), che di fatto chiedono conto delle ragioni della sua scelta per
> i vertici del Dap e che inevitabilmente mettono in relazione un
> “ripensamento” del ministro con la notizia della contrarietà dei vertici
> della criminalità organizzata alla designazione del dottor Di Matteo. Con
> le domande, fatte proprie e divulgate dal direttore di una importante
> testata giornalistica, che l’altro giorno si interrogava su possibili
> “trattative” intercorse fra lo stato e i detenuti dopo le rivolte di marzo
> nelle carceri e sulla relazione con le scarcerazioni disposte in questi
> giorni dai magistrati di sorveglianza, si completa il corto circuito
> innescato dalle esternazioni del dottor Di Matteo.
>
> Per le suggestioni non esistono smentite. Le smentite vanno bene per i
> fatti. E non esistono argomenti per dare convincenti risposte alle domande
> e ai dubbi che, come le suggestioni da cui originano, sono destinati a
> “rimanere nell’aria”. Quanti cittadini in questi giorni si sono chiesti se
> il nostro è uno stato di diritto solido, in grado di tutelare la sua
> collettività, o se invece quelle organizzazioni criminali, che hanno
> duramente colpito le istituzioni della Repubblica e scritto pagine tragiche
> della storia del nostro paese, ancora oggi riescono ad avere la forza di
> “ricattarci” e di condizionare in qualche modo anche le decisioni prese ai
> più alti vertici dello stato? Come non porsi queste domande di fronte al
> dubbio che inevitabilmente sorge quando un magistrato mette in relazione
> proprio alla sua cifra professionale il fatto di essere rimasto escluso da
> un incarico istituzionale di particolare rilevanza? Qual è l’effetto a
> lungo andare di queste domande, destinate a rimanere senza credibili e
> convincenti risposte, perché ciò che le origina non sono i fatti (di cui si
> può affermare e dimostrare la verità o la falsità) ma il loro contenuto
> evocativo e tutto ciò che suggerisce il loro accostamento?
>
> È stato già ricordato in questi giorni, anche dall’Anm, che dovere dei
> magistrati è esprimersi con equilibrio e misura, tenendo conto delle
> ricadute che hanno le nostre dichiarazioni sia nel dibattito pubblico che
> nei rapporti tra le Istituzioni. Basta essere convinti delle “proprie buone
> ragioni”, sia rispetto alla “verità” di ciò che si dice sia rispetto alla
> necessità di doverla rendere nota, per saltare a piè pari tutte le cautele
> che il nostro ruolo ci impone? Non dobbiamo forse chiederci, quando
> scegliamo la platea mediatica e il libero dibattito sulla stampa, cosa
> resta delle nostre affermazioni – una volta spenti i riflettori e cessato
> il clamore – all’opinione pubblica, a quella generalità indeterminata di
> persone che abbiamo scelto come nostri interlocutori ideali? Non fa parte
> della nostra responsabilità rispetto alle funzioni che esercitiamo, e ai
> nostri doveri verso la collettività, chiederci quando prendiamo la parola
> quale traccia vogliamo lasciare nel dibattito pubblico e in che modo, come
> magistrati partecipi di questo dibatto, vogliamo contribuire a quella
> “consapevolezza comune” che ci rende comunità? L’esigenza di dire la
> propria “verità” e di rimettere le “cose al giusto posto” ci libera da ogni
> dovere di farci carico del significato che nel circuito pubblico le nostre
> affermazioni sono destinate ad assumere? E, prima ancora, non è la nostra
> stessa funzione a richiedere che, dentro e fuori dalle aule di tribunale,
> il magistrato appaia sempre capace di dubitare, di rimettersi in
> discussione, più che portatore di verità assolute? I grandi stati d’animo
> collettivi, ha scritto Marc Bloch, hanno il potere di trasformare in
> leggenda una percezione alterata. Un rischio destinato ad aggravarsi in
> tempo di “guerra”. Per Bloch era il primo conflitto mondiale. Per noi è
> oggi la lotta contro un nemico invisibile, che non minaccia solo le nostre
> esistenze. È la paura che inocula in ciascuno di noi e nella comunità,
> rimettendo in discussione tutti i valori della convivenza civile. In questo
> stato d’animo collettivo, ancor più che nel recente passato, è difficile
> far comprendere ciò che alla magistratura è richiesto dal ruolo
> costituzionale di garanzia della giurisdizione, e quanto siano complesse le
> scelte che deve compiere. Alla magistratura di sorveglianza oggi spettano
> decisioni particolarmente difficili, che devono garantire un’esecuzione
> della pena conforme al rispetto dei principi costituzionali di tutela della
> salute e di umanità del trattamento, e che devono realizzare un attento
> bilanciamento tra il diritto del detenuto e l’interesse pubblico alla
> sicurezza sociale. Come magistrati siamo consapevoli della necessità di
> dover rendere conto dei provvedimenti che adottiamo e dell’importanza di
> essere chiamati a rispondere, di fronte all’opinione pubblica, del nostro
> operato. La voce della libera stampa è fondamentale perché questo “circuito
> di responsabilità”, per la magistratura come per ogni altro potere dello
> stato e ogni organismo pubblico, sia sempre vigile ed effettivo. La libertà
> di informazione è un bene prezioso di ogni democrazia: è ciò che, nel
> confronto fra il pluralismo delle idee, forma la sua coscienza critica e
> costruisce la coesione della sua collettività intorno ai valori condivisi.
> Ed è per questo fondamentale che il dibattito pubblico in corso riceva oggi
> dalla libera stampa quell’apporto di consapevolezza critica necessario per
> affrontare tutte le sfide che l’emergenza sanitaria pone alla democrazia.
>
> Se i magistrati di sorveglianza diventano gli “scarceratori”, della
> complessità del loro lavoro e delle loro decisioni, che si devono
> confrontare con la storia di ciascuna persona che è dietro a un
> provvedimento e con i parametri di giudizio che impongono la ricerca del
> difficile punto di equilibrio fra tutela della salute e ragioni di
> sicurezza, non resta nulla. Resta la suggestione di decisioni immotivate,
> qualificate solo dal risultato che producono: aprire le porte del carcere,
> senza attenzione alle esigenze di tutela della collettività. Se si ventila
> l’idea di stato che tratta con la criminalità organizzata, e dei suoi
> giudici esecutori – imbelli o consapevoli – di un patto inconfessabile che
> ha barattato la necessità di riportare l’*ordre dans la rue *con
> l’alleggerimento del regime detentivo e la scarcerazione di pericolosi
> capimafia, di quel diritto/dovere di fare domande e di chiedere conto delle
> decisioni prese in nome dell’opinione pubblica non resta nulla. Resta una
> suggestione, che incrocia lo stato d’animo collettivo. E che può diventare,
> per citare sempre Bloch, la falsa notizia, specchio in cui la coscienza
> collettiva contempla i propri lineamenti. Non sono le domande senza
> risposta ma le ineffabili suggestioni che una democrazia, specie quando
> duramente provata dagli eventi, non può permettersi.
>
>
>
> *articolo di Mariarosaria Guglielmi *
>
> *Segretaria generale di Magistratura democratica *
>
> *pubblicato il 12 maggio 2020, su Il Foglio *
>
>
>
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