[Area] R: R: R: Intervento di Mariarosaria Guglielmi (Il Foglio, 12 maggio 2020)

Mario Ardigo' mario.ardigo a giustizia.it
Mer 13 Maggio 2020 18:57:30 CEST



Il concetto di rieducazione penitenziaria non deriva dall’ideologia del cristianesimo, ma da quella illuminista.
Piuttosto è il carcere, come istituzione di espiazione, che storicamente sicuramente deriva dalle prassi penitenziarie religiose. Il detenuto viene separato dal mondo, al modo in cui si separa il monaco: entrambi espiano chiusi in una cella.  Marciscono. Il monaco è convinto che quel seppellirsi e marcire è come quello che accade al seme, dal quale, dopo che marcisce,  derivano gli alberi più alti. Si semina  un corpo animale, risorge  un corpo spirituale.
 Ragionandoci sopra, però, l’espiazione, in sé,  serve a poco. Se comporta sofferenze crudeli, distrugge, non solo chi le subisce ma la stessa società: il terrore desocializza (lo vediamo in tempi di pandemia). Se non è crudele, allora comunque incattivisce, genera propositi di vendetta, sospetti di delazione, accuse di infamia e tradimento. La sofferenza in sé  è sempre disumana.  E la disumanità genera disumanità. E’  quindi socialmente controproducente.  Ecco, da qui inizia il discorso dell’illuminismo. L’illuminismo accusò la crudeltà penitenziaria di barbarie irrazionale, la nuova era da esso prefigurata non sarebbe dovuta essere più il regno del terrore, almeno superate le fasi di combattimento per demolire i vecchi ordini.  Ad ognuno doveva essere insegnata la possibilità di essere diverso dal malvagio che era stato, perché non aveva ben capito.
 La mentalità del positivismo, dall’Ottocento, sviluppò molto questo discorso, introducendo, con lo sviluppo della psicologia applicata, l’idea di trattamento, quindi di un ruolo attivo dell’organizzazione penitenziaria per indurre un cambiamento nella persona ritenuta colpevole di condotte socialmente indesiderate. In questa concezione, la pena come trattamento non doveva avere un termine prefissato: solo al conseguimento dell’obbiettivo poteva concludersi. Il pensiero socialista sviluppò molto questa idea e ne sono prova i sistemi penitenziari degli stati comunisti. Ve ne è ancora traccia nel nostro sistema delle misure di sicurezza. Perché distruggere, quando la potenza dello stato e la tecnica psicologica con basi scientifiche può cambiare, rendendo i dissenzienti docili?
In una concezione cristiana, la pena deve terminare nell’istante stesso della conversione-metanòia, che non è un fatto intellettuale, per cui ragionando si capisce che conviene, è giusto, è razionale, cambiare vita,  o l’adesione ad una certa religione storica, ma l’affidarsi totalmente a Cristo, dimenticandosi di sé, per cui “non sono più io che vivo, ma Cristo in me”. Vedere il mondo e le altre persone con gli occhi di un salvatore universale… Un’esperienza ancora scioccante. Folle. Il cristiano, fondamentalmente, è un folle, capite. Cerca di essere anche ragionevole, perché così va il mondo, ma   è sempre in pericolo di debordare. In un contesto carcerario, può accadere che faccia l’illuminista, ma non è escluso che procuri l’evasione, in certi tempi, in certe situazioni. Può limitarsi a somministrare il rito, come i preti ai condannati che si sta per giustiziare, ma allora poi viene travagliato da tremendi rimorsi. La follia cristiana è quella di liberare non solo dalla pena, ma anche dalla stessa legge.
  Un apporto recente delle ideologie cristiane è quello di esigere comunque un limite  a ciò che è consentito fare, anche con le migliori intenzioni,  a una persona,  di qualsiasi colpa si sia macchiata. Parliamo però  dell’altro ieri della teologia, avverto. Il personalismo con valenze politiche ha iniziato a prendere piede dagli scorsi anni Trenta. Questo sviluppo è collegato a quello della considerazione della coscienza umana. Si tenga presente che solo pochi decenni fa tra i cattolici parlare troppo di coscienza avrebbe esposto a sospetti di eresia. Chi segue quelle teologie, porrà un limite anche al  trattamento con finalità rieducative. E’ l’obiezione che venne posta verso il socialismi storici che pretendevano di rieducare  la persona religiosa, pur apprezzando l’idea di trattare  senza passare direttamente alla soppressione.
  Nella prassi storica, naturalmente, non si è esitato a far fuori sbrigativamente la gente per questioni fondamentalmente di lesa maestà mascherate da censure religiose, ed anche gli spiriti più alti, Savonarola, Giordano Bruno,  i quali  venivano assassinati nei modi più brutali nonostante che proclamassero ad alta voce la loro fede. Perché una cosa sono le chiacchiere teologiche e altro le questioni di potere, e il potere si conquista e mantiene ammazzando, salvo, non da molto, temperamenti portati dalle democrazie avanzate. Al dunque è così, ancora così, è il popolo stesso che lo vuole, quello si attende che si faccia.  In questo i capi religiosi non si sono mostrati, in genere, molto diversi da quelli politici. In questo tentativo di essere diversi sta, però, appunto la grande questione del diritto penitenziario nelle democrazie europee di oggi (o devo dire, ormai, di ieri?), che hanno soppresso il boia e vorrebbero fare lo stesso con certe galere infami (altro che rieducazione!).  Si vorrebbe imparare da un tremendo passato. Si vorrebbe essere diversi e dimostrare che certe chiacchiere non sono solo un bel bla-bla. Ma, insomma, ecco che anche questi grandi propositi umanitari stanno divenendo anch’essi passato. E che il passato di prima, direi di sempre,  ritorna. Ancora, dunque, il vecchio metodo di far marcire  persone (!) in carcere ritorna ad affascinare.
 Per chi, estraneo al mondo di noi legulei, volesse intendere meglio le questioni a cui ho accennato senza dover morire sui testi giuridici, consiglio di leggere I miserabili, di Victor Hugo. Troverà tutto, ma esposto  in una forma molto più coinvolgente.
Mario Ardigò

Da: Area <area-bounces a areaperta.it<mailto:area-bounces a areaperta.it>> Per conto di ed.brutiliberati a gmail.com<mailto:ed.brutiliberati a gmail.com>
Inviato: mercoledì 13 maggio 2020 12:21
A: Francesco Paolo Cardona Albini <francesco.cardonaalbini a giustizia.it<mailto:francesco.cardonaalbini a giustizia.it>>; u.nannucci a alice.it<mailto:u.nannucci a alice.it>; md a magistraturademocratica.it<mailto:md a magistraturademocratica.it>; europa a magistraturademocratica.it<mailto:europa a magistraturademocratica.it>; area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: [Area] R: R: R: Intervento di Mariarosaria Guglielmi (Il Foglio, 12 maggio 2020)

Caro Ubaldo Nannucci,
ho l’impressione che la verve polemica ti abbia portato a qualche fraintendimento.
La cultura cattolica di sinistra ebbe un ruolo importante nella riforma del 1975 e nel successivo ampliamento razionalizzante ( basti pensare che la originaria riforma del 1975 prevedeva norme procedurali molto generiche e insufficienti) con la legge che continuiamo a chiamare Gozzini dal primo firmatario e promotore.
Chi scrive è stato giudice di sorveglianza ( pre 1975),  magistrato di sorveglianza nella prima fase di applicazione della riforma del 1975, un periodo di grandi innovazioni, speranze e poi di tensioni fortissime per l’esplodere del terrorismo.  Sempre sono stato giudice e ho esercitato funzioni giurisdizionali. Al Csm del 1981 mi trovai insieme a Giovanni Tamburino, che era stato anch’egli magistrato di sorveglianza. Nel c.d “comitato misto” composto da rappresentanti del Ministero, dei magistrati di sorveglianza e Csm Giovanni ed io seguimmo da vicino l’iter parlamentare della legge Gozzini,  alla cui elaborazione e poi approvazione portarono un contributo decisivo i senatori Raimondo Ricci e Giuliano Vassalli, un comunista e un socialista.
Vi sono stati reati anche gravissimi commessi da detenuti in permesso e anche casi di mancato rientro, ma le statistiche vi erano e mostrarono che complessivamente l’istituto aveva dato buona prova; fu interrotto per le tensioni della fase acuta del terrorismo e poi ripristinato.
Sulle misure alternative le statistiche dimostrano da tempo che la percentuale di recidiva dei detenuti che hanno avuto accesso a misure alternative è molto inferiore rispetto a coloro che sono rimasti in carcere fino all’ultimo giorno.
“Nessun giudice possiede un termometro per misurare il livello di rieducazione”  è vero e i provvedimenti della magistratura di sorveglianza sono per questo connotati da ampio margine di discrezionalità, il cui corretto esercizio costituisce il peso enorme che grava su questi magistrati. La nozione di rieducazione è oggi intesa in senso pienamente laico, come reinserimento nella società e rispetto dei valori di convivenza
Infine e più terra terra tutti i sistemi del mondo ( con fortissime varianti tra loro basti pensare alla spropositata percentuale di detenuti negli USA) gestiscono misure di riduzione di pena e di alternative al  carcere, nonché amnistie ed indulti, non fosse altro che per risolvere i problemi di sovraffollamento. In molti paesi la gestione di queste misure è rimessa alla autorità  che gestisce le carceri e cioè all’esecutivo. Da ormai molti decenni si sono fatti passi enormi verso la giurisdizionalizzazione della fase dell’esecuzione della pena, e l’Italia grazia alla sua legge penitenziaria si è inserita in questa linea di tendenza.
Sono solo alcuni spunti buttati lì su questioni complesse che non si possono affrontare con  semplificazioni
Edmondo Bruti Liberati

Da: Area <area-bounces a areaperta.it<mailto:area-bounces a areaperta.it>> Per conto di Francesco Paolo Cardona Albini
Inviato: mercoledì 13 maggio 2020 11:14
A: u.nannucci a alice.it<mailto:u.nannucci a alice.it>; md a magistraturademocratica.it<mailto:md a magistraturademocratica.it>; europa a magistraturademocratica.it<mailto:europa a magistraturademocratica.it>; area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: [Area] R: R: Intervento di Mariarosaria Guglielmi (Il Foglio, 12 maggio 2020)

In questa ricostruzione, di cui non condivido nemmeno una parola, neanche un cenno alla funzione della pena come indicata in Costituzione, credo preesistente a Balducci, Margara e Gozzini.

Da: Area [mailto:area-bounces a areaperta.it] Per conto di u.nannucci a alice.it<mailto:u.nannucci a alice.it>
Inviato: mercoledì 13 maggio 2020 08:34
A: md a magistraturademocratica.it<mailto:md a magistraturademocratica.it>; europa a magistraturademocratica.it<mailto:europa a magistraturademocratica.it>; area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: [Area] R: Intervento di Mariarosaria Guglielmi (Il Foglio, 12 maggio 2020)

MD dovrebbe riflettere senza lasciarsi influenzare dalla maggiore o minore affinità ideoloigica. la magistratura di sorveglianza nacque nel clima culturale dei cattolici di sinistra, di cui era figura carismatica a Firenze padre Ernesto Balducci, seguito e ammirato da molti magistrati tra cui spiccava per doti umane Sandro ;argara, e sul piano politico il deputato Mario Gozzini. si pensò quindi di istituire una categoria di magistrati che avesse come compito essenziale e assorbente la "rieducazione" del condannato; considerata come unico fondamento morale e legale della detenzione. Poichè peraltro nessun giudice possiede un termometro per misurare il rivello di rieducazione raggiunto, si ritenne - attraverso una serie di leggi sempre più permissive - che l'unico sistema fosse quello di consentire al detenuto di uscire dal carcere per verificare il suo comportamento e valutare se la detenzione sofferta avesse funzionato così da riammetterlo alla vita civile. di qui gli istituti dei permessi premio, detenzione domiciliare, affidamento in prova semilibertà ecc.
in caso di nuovo crimine, si riapriva il carcere.  molti furono i casi - anche se non è facile rintracciarli - di crimini commessi durante i permessi, deo qiuali non mi risultano statistiche.
di fatto: la magistratura di sorveglianza, malgrado l'alta ispirazine morale che la caratterizza, costituisce una anomali rispetto alla funzione istituzionale della magistratura, introdotta per finalità etico/morali a sfondo religioso, che non competono al giurista e introduce un vulnus nel principio della paari soggezione di cittadini alla legge in relazione al potere concesso di attenuare il sistema sanzionatorio in relazione all'apprezzamento discrezionale da parte di soggetti che pur essendo magistrati, non esercitano funzioni giurisdizionali.
ubaldo nannucci
----Messaggio originale----
Da: md a magistraturademocratica.it<mailto:md a magistraturademocratica.it>
Data: 12-mag-2020 19.49
A: <europa a magistraturademocratica.it<mailto:europa a magistraturademocratica.it>>, <area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>>
Ogg: [Area] Intervento di Mariarosaria Guglielmi (Il Foglio, 12 maggio 2020)
[cid:image003.jpg a 01D62896.79EC67F0]

Non bastava lo sconcerto prodotto nell’opinione pubblica dalle dichiarazioni del dottor Di Matteo. Un magistrato, noto per il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata, ora con un ruolo istituzionale quale componente del Csm, sceglie una platea televisiva – e l’inevitabile massimo clamore mediatico – per esternazioni che chiamano in causa l’attuale ministro della Giustizia (e il contenuto di un colloquio riservato), che di fatto chiedono conto delle ragioni della sua scelta per i vertici del Dap e che inevitabilmente mettono in relazione un “ripensamento” del ministro con la notizia della contrarietà dei vertici della criminalità organizzata alla designazione del dottor Di Matteo. Con le domande, fatte proprie e divulgate dal direttore di una importante testata giornalistica, che l’altro giorno si interrogava su possibili “trattative” intercorse fra lo stato e i detenuti dopo le rivolte di marzo nelle carceri e sulla relazione con le scarcerazioni disposte in questi giorni dai magistrati di sorveglianza, si completa il corto circuito innescato dalle esternazioni del dottor Di Matteo.
Per le suggestioni non esistono smentite. Le smentite vanno bene per i fatti. E non esistono argomenti per dare convincenti risposte alle domande e ai dubbi che, come le suggestioni da cui originano, sono destinati a “rimanere nell’aria”. Quanti cittadini in questi giorni si sono chiesti se il nostro è uno stato di diritto solido, in grado di tutelare la sua collettività, o se invece quelle organizzazioni criminali, che hanno duramente colpito le istituzioni della Repubblica e scritto pagine tragiche della storia del nostro paese, ancora oggi riescono ad avere la forza di “ricattarci” e di condizionare in qualche modo anche le decisioni prese ai più alti vertici dello stato? Come non porsi queste domande di fronte al dubbio che inevitabilmente sorge quando un magistrato mette in relazione proprio alla sua cifra professionale il fatto di essere rimasto escluso da un incarico istituzionale di particolare rilevanza? Qual è l’effetto a lungo andare di queste domande, destinate a rimanere senza credibili e convincenti risposte, perché ciò che le origina non sono i fatti (di cui si può affermare e dimostrare la verità o la falsità) ma il loro contenuto evocativo e tutto ciò che suggerisce il loro accostamento?
È stato già ricordato in questi giorni, anche dall’Anm, che dovere dei magistrati è esprimersi con equilibrio e misura, tenendo conto delle ricadute che hanno le nostre dichiarazioni sia nel dibattito pubblico che nei rapporti tra le Istituzioni. Basta essere convinti delle “proprie buone ragioni”, sia rispetto alla “verità” di ciò che si dice sia rispetto alla necessità di doverla rendere nota, per saltare a piè pari tutte le cautele che il nostro ruolo ci impone? Non dobbiamo forse chiederci, quando scegliamo la platea mediatica e il libero dibattito sulla stampa, cosa resta delle nostre affermazioni – una volta spenti i riflettori e cessato il clamore – all’opinione pubblica, a quella generalità indeterminata di persone che abbiamo scelto come nostri interlocutori ideali? Non fa parte della nostra responsabilità rispetto alle funzioni che esercitiamo, e ai nostri doveri verso la collettività, chiederci quando prendiamo la parola quale traccia vogliamo lasciare nel dibattito pubblico e in che modo, come magistrati partecipi di questo dibatto, vogliamo contribuire a quella “consapevolezza comune” che ci rende comunità? L’esigenza di dire la propria “verità” e di rimettere le “cose al giusto posto” ci libera da ogni dovere di farci carico del significato che nel circuito pubblico le nostre affermazioni sono destinate ad assumere? E, prima ancora, non è la nostra stessa funzione a richiedere che, dentro e fuori dalle aule di tribunale, il magistrato appaia sempre capace di dubitare, di rimettersi in discussione, più che portatore di verità assolute? I grandi stati d’animo collettivi, ha scritto Marc Bloch, hanno il potere di trasformare in leggenda una percezione alterata. Un rischio destinato ad aggravarsi in tempo di “guerra”. Per Bloch era il primo conflitto mondiale. Per noi è oggi la lotta contro un nemico invisibile, che non minaccia solo le nostre esistenze. È la paura che inocula in ciascuno di noi e nella comunità, rimettendo in discussione tutti i valori della convivenza civile. In questo stato d’animo collettivo, ancor più che nel recente passato, è difficile far comprendere ciò che alla magistratura è richiesto dal ruolo costituzionale di garanzia della giurisdizione, e quanto siano complesse le scelte che deve compiere. Alla magistratura di sorveglianza oggi spettano decisioni particolarmente difficili, che devono garantire un’esecuzione della pena conforme al rispetto dei principi costituzionali di tutela della salute e di umanità del trattamento, e che devono realizzare un attento bilanciamento tra il diritto del detenuto e l’interesse pubblico alla sicurezza sociale. Come magistrati siamo consapevoli della necessità di dover rendere conto dei provvedimenti che adottiamo e dell’importanza di essere chiamati a rispondere, di fronte all’opinione pubblica, del nostro operato. La voce della libera stampa è fondamentale perché questo “circuito di responsabilità”, per la magistratura come per ogni altro potere dello stato e ogni organismo pubblico, sia sempre vigile ed effettivo. La libertà di informazione è un bene prezioso di ogni democrazia: è ciò che, nel confronto fra il pluralismo delle idee, forma la sua coscienza critica e costruisce la coesione della sua collettività intorno ai valori condivisi. Ed è per questo fondamentale che il dibattito pubblico in corso riceva oggi dalla libera stampa quell’apporto di consapevolezza critica necessario per affrontare tutte le sfide che l’emergenza sanitaria pone alla democrazia.
Se i magistrati di sorveglianza diventano gli “scarceratori”, della complessità del loro lavoro e delle loro decisioni, che si devono confrontare con la storia di ciascuna persona che è dietro a un provvedimento e con i parametri di giudizio che impongono la ricerca del difficile punto di equilibrio fra tutela della salute e ragioni di sicurezza, non resta nulla. Resta la suggestione di decisioni immotivate, qualificate solo dal risultato che producono: aprire le porte del carcere, senza attenzione alle esigenze di tutela della collettività. Se si ventila l’idea di stato che tratta con la criminalità organizzata, e dei suoi giudici esecutori – imbelli o consapevoli – di un patto inconfessabile che ha barattato la necessità di riportare l’ordre dans la rue con l’alleggerimento del regime detentivo e la scarcerazione di pericolosi capimafia, di quel diritto/dovere di fare domande e di chiedere conto delle decisioni prese in nome dell’opinione pubblica non resta nulla. Resta una suggestione, che incrocia lo stato d’animo collettivo. E che può diventare, per citare sempre Bloch, la falsa notizia, specchio in cui la coscienza collettiva contempla i propri lineamenti. Non sono le domande senza risposta ma le ineffabili suggestioni che una democrazia, specie quando duramente provata dagli eventi, non può permettersi.

articolo di Mariarosaria Guglielmi
Segretaria generale di Magistratura democratica
pubblicato il 12 maggio 2020, su Il Foglio


--
Magistratura democratica
www.magistraturademocratica.it<http://www.magistraturademocratica.it/>
md a magistraturademocratica.it<javascript:handleMailto('mailto:md a magistraturademocratica.it');return%20false;>
+39.349.78.05.555




[Immagine rimossa dal mittente.]<https://www.avast.com/sig-email?utm_medium=email&utm_source=link&utm_campaign=sig-email&utm_content=emailclient>

Mail priva di virus. www.avast.com<https://www.avast.com/sig-email?utm_medium=email&utm_source=link&utm_campaign=sig-email&utm_content=emailclient>


-------------- parte successiva --------------
Un allegato HTML è stato rimosso...
URL: <http://mail.areaperta.it/mailman/private/area_areaperta.it/attachments/20200513/debb6666/attachment.html>
-------------- parte successiva --------------
Un allegato non testuale è stato rimosso....
Nome:        image002.jpg
Tipo:        image/jpeg
Dimensione:  350 bytes
Descrizione: image002.jpg
URL:         <http://mail.areaperta.it/mailman/private/area_areaperta.it/attachments/20200513/debb6666/attachment.jpg>


Maggiori informazioni sulla lista Area