[Area] Magistratura democratica sul DDL Bonafede

Magistratura democratica md a magistraturademocratica.it
Gio 13 Ago 2020 14:09:36 CEST



 

CONTRASTARE LA DERIVA CARRIERISTICA CON LA NORMALIZZAZIONE BUROCRATICA?

 

1. Nelle norme di ordinamento giudiziario deve trovare concreta attuazione
il modello di magistratura disegnato dalla Costituzione, non solo
indipendente dai poteri esterni, ma libera da condizionamenti e
auto-condizionamenti interni.

L’eguaglianza delle funzioni sancita dal terzo comma dell’art. 107 (“i
magistrati si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni”) è il
“germe positivo” che la Costituzione ha inoculato nella struttura del
sistema giudiziario contro i rischi di verticizzazione legati a gerarchie
interne e a percorsi di carriera ascendente, e contro gli effetti indotti di
conformismo e di ricerca di consonanza con il potere esterno.

Le ragioni più profonde della crisi disvelata dai fatti di Perugia vanno
ricercate nelle gravi deviazioni e regressioni culturali che in questi anni
hanno allontanato la magistratura e il suo sistema di governo autonomo dalla
loro fisionomia voluta dal costituente.

Invertire la rotta è necessario e possibile solo rivitalizzando l’esempio di
una magistratura organizzata su basi egualitarie, inverando il modello
costituzionale di un potere giudiziario diffuso e orizzontale, valorizzando
tutte le potenzialità che al CSM sono state conferite nell’interesse della
giurisdizione.

 

2. Non pensiamo che la riforma disegnata dal recente DDL vada in questa
direzione. Per molti versi, rischiamo viceversa di allontanarci
ulteriormente dal modello culturale da ritrovare, restituendo pari dignità
alle funzioni giudiziarie e, a quelle dirigenziali, il significato di un
incarico di servizio. 

Per questo, il giudizio negativo sul risultato complessivo della riforma non
è controbilanciabile con il valore di alcuni specifici e settoriali
interventi, pure sollecitati dalla magistratura associata, o che recepiscono
soluzioni di buona amministrazione già previste dalla prassi (come l’obbligo
di rispettare l’ordine di vacanza dei posti per le decisioni su incarichi
direttivi e semidirettivi) e indicazioni elaborate dalla normativa
secondaria del CSM (come le disposizioni sui progetti organizzativi delle
Procure). 

Anche l’impatto di riforme positive e capaci di produrre importanti e
duraturi effetti “di sistema” – come quella dell’accesso, con l’attesa
abolizione del concorso di II grado che in questi anni ha determinato di
fatto una selezione per censo – rischia di essere sminuito nel nuovo assetto
ordinamentale e di governo autonomo disegnato dal DDL.

Nelle disposizioni che riformano la legge elettorale del CSM, riservando
l’elezione dei magistrati con funzioni di legittimità ai soli magistrati di
Cassazione, si ritrova la visione di un ufficio separato e di “vertice”; si
ritorna così alla distinzione della magistratura alta contrapposta a quella
bassa; si compromette la visione unitaria della giurisdizione e delle
funzioni. In tale direzione vanno anche le ulteriori limitazioni poste al
passaggio di funzioni giudicanti/requirenti e le disposizioni che
distinguono il corpo elettorale sulla base della diversità di funzioni
esercitate o di uffici di appartenenza (accanto al collegio per la
Cassazione, altro collegio elettorale separato è riservato ai magistrati
fuori ruolo, dell’ufficio del massimario e del ruolo della Cassazione e
della Direzione nazionale antimafia e terrorismo, soluzione che contribuisce
a rafforzare la  visione di una magistratura non unitaria, e di carriere o
uffici portatori di interessi specifici).

 

3. L’obiettivo di disincentivare il carrierismo si persegue attraverso
quello di mettere sotto tutela il CSM, imbrigliandone la discrezionalità e
chiudendo gli spazi anche per gli interventi di normativa secondaria (da qui
la disciplina dettagliata di parametri e indicatori dell’attitudine
direttiva, e la delega al legislatore per individuare il peso che dovranno
assumere quelli specifici nella valutazione comparativa).

Pur avendo raccolto alcune proposte emerse dal dibattito associativo (come
l’ampliamento del tempo minimo di permanenza nell’incarico direttivo prima
del passaggio ad altro ufficio), la scelta più qualificante della riforma,
in questo ambito, è costituita del rafforzamento del ruolo dell’anzianità
sia come criterio di legittimazione (si innalza per i direttivi il livello
di professionalità richiesto), sia come  fascia, introdotta con funzione di
moralizzazione per delimitare la gamma degli aspiranti legittimati a
concorrere (così la relazione introduttiva al DDL).

Un deciso passo indietro rispetto alla precedente scelta legislativa di
riduzione del peso dell’anzianità e una soluzione che, se scoraggia la corsa
agli incarichi e l’attenzione alla programmazione e costruzione di percorsi
professionali mirati alla dirigenza, non elimina affatto l’idea di carriera,
che a ben vedere si concilia anche con quella dell’avanzamento per
anzianità.

Una soluzione, quindi, che non segna la svolta in funzione del cambiamento
culturale richiesto: quello volto a disegnare una magistratura “senza
carriera” e una dirigenza non intesa come corpo separato nella magistratura,
fondato su uno status permanente e su percorsi paralleli a quelli
giurisdizionali, ma come esperienza diffusa e come funzione reversibile,
attraverso meccanismi di effettiva attuazione del principio di temporaneità.

 

4. Il sistema elettorale prescelto, di tipo maggioritario, non appare idoneo
a garantire obiettivi prioritari per la legittimazione e l’autorevolezza del
CSM, come la sua rappresentatività in relazione alle diverse opzioni
culturali presenti in magistratura (dei gruppi e dei singoli) e la paritaria
rappresentanza di genere.

La riforma presenta, anzi, numerose criticità che rischiano di enfatizzare i
“mali” che si propone di sconfiggere e di innescare ulteriori distorsioni:
la natura puramente individuale delle candidature, in presenza di
ineliminabili aggregazioni per idee e visioni, non garantisce che aree
culturali di minoranza siano in qualche modo rappresentate; la previsione
delle preferenze multiple si presta a favorire pratiche di scambio e accordi
sul voto nei diversi collegi tra i gruppi maggiori, con una riproduzione in
forma diversa delle peggiori dinamiche del “correntismo” indotte dall’
attuale legge elettorale, a scapito della rappresentanza delle minoranze e
dell’effettivo potere di scelta dell’elettore; la previsione di collegi
elettorali separati produce il frazionamento del corpo elettorale per
categorie, mentre la Costituzione prevede tale distinzione solo per i
magistrati da eleggere (art. 104, quarto comma); d’altra parte, nel sistema
riformato, non può escludersi la possibilità di un risultato elettorale che
non dia rappresentanza, attraverso gli eletti, alla pluralità delle
funzioni, con perdita delle esperienze di cui queste sono espressione.

La previsione della parità di “chance” assicurata per le candidature (almeno
cinque in ogni collegio) e l’alternanza per genere delle preferenze non
assicurano l’elezione di candidate e, quindi, la risposta ad una questione
non più eludibile, che ha a che fare con l’essenza e l’effettività della
democrazia, con il pieno sviluppo dei principi dello stato di diritto e
della loro sostanza, quali sono i valori del pluralismo, delle differenze e
della eguaglianza effettiva fra i generi.

Anche sotto questo profilo la riforma non è in grado di assicurare una
composizione del CSM in funzione della sua rappresentatività, autorevolezza
e legittimazione rispetto alla composizione della magistratura, che oggi
vede una presenza di oltre il 50% di donne.

La previsione, sia pure in via residuale, del ricorso al sorteggio per la
composizione delle liste completa, anche con forte valenza simbolica, il
quadro delle criticità: si introduce per la prima volta nella procedura di
composizione di un organo di rilevanza costituzionale un elemento di
casualità, che ne svilisce il valore e la funzione.

 

5. La magistratura riformata secondo il recente DDL rischia di rafforzarsi
come corpo burocratico e funzionariale.

Alla sua burocratizzazione prelude la previsione di meccanismi che tendono a
ridurre momenti dell’autogoverno, che incidono nella costruzione del nostro
modello di magistratura (come la selezione per incarichi direttivi e
l’accesso alle funzioni di legittimità), a funzioni meramente compilative o
applicative di criteri, punteggi, parametri e indicatori fissati dalla
normativa primaria.

Il CSM – ha scritto Pino Borrè – è l’istituzione che ha dato senso e realtà
all’evoluzione della magistratura: “se la giurisdizione è uno strumento, un
istituto di garanzia, il CSM è in qualche modo la garanzia della garanzia,
la chiave di volta che rende realistico, possibile, un sistema giudiziario
democratico”.

Nella riforma Bonafede, con pochi tratti di penna, si eliminano queste
potenzialità. Il sorteggio dei componenti delle commissioni e il divieto di
costituzione dei gruppi riscrivono la fisionomia di una istituzione che
viene privata della sua politicità, necessaria per orientare le scelte di
amministrazione verso le esigenze della giurisdizione, e della
rappresentanza come indispensabile veicolo di idealità, di opzioni
politico-culturali diverse, delle varie sensibilità presenti tra i
magistrati e, in definitiva, del pluralismo interno alla magistratura.

Occorre essere consapevoli delle evoluzioni che si intravedono dietro queste
riforme strutturali, di sostanziale cambiamento della fisionomia
costituzionale del Consiglio.

Neutralizzarne la “politicità”, espropriarlo delle prerogative di
discrezionalità essenziali per l’esercizio dell’autogoverno, è la premessa
per renderlo subalterno alle logiche e al controllo della sfera politica
esterna. 

Trasformare il Consiglio in un organo di amministrazione e di governo del
personale è il primo passo verso una ristrutturazione in senso verticistico
e burocratico dell’ordine giudiziario e, dunque, verso la perdita del suo
assetto funzionale ad una giurisdizione indipendente.

Roma, 13 agosto 2020.

 

L’Esecutivo di Magistratura democratica

 

--

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