[Area] AREADG E LE NORME SULLA GIUSTIZIA NEL ‘DECRETO RISTORI’

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Sab 31 Ott 2020 13:59:36 CET


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 AREADG E LE NORME SULLA GIUSTIZIA NEL ‘DECRETO RISTORI’



Il decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020 relativo alla gestione
dell'emergenza COVID nel settore giustizia, suscita forti perplessità circa
il metodo che ha condotto alla sua adozione, e merita riflessione
esattamente come quella sul merito del provvedimento

Il decreto è stato, infatti, anticipato da un documento congiunto
sottoscritto dall'Unione delle Camere Penali Italiane e da alcuni
Procuratori di importanti distretti, ed, incredibilmente. ne recepisce in
modo quasi pedissequo i contenuti, compresi quelli che appaiono del tutto
inadeguati a fronteggiare l'ingravescenza del contagio nelle aule
giudiziarie e nel corso delle fasi dibattimentali del processo.

Infatti, il documento bilaterale in questione, oltre a richiedere opportuni
interventi normativi finalizzati a gestire in modo più sicuro la fase delle
indagini e le interlocuzioni tra PM e difesa, si avventura, senza alcun
coinvolgimento della magistratura giudicante, nell'indicazione delle
modalità ritenute apoditticamente  più opportune per la gestione della ben
più complessa fase del giudizio. Al punto 4, in particolare,  pur
ipotizzando l'accesso ad una trattazione cartolare o da remoto di alcune
udienze, ne limita drasticamente la portata, richiedendo, nella sostanza,
che, nonostante la indubbia acutizzazione dei contagi negli ambienti
giudiziari, la stragrande maggioranza dei processi vengano comunque
trattati  con la modalità ordinaria.



Questo testo, comunicato tralaltro con modalità discutibili,
inspiegabilmente, è diventato l'ossatura portante del decreto legge con
riferimento alla giustizia penale.

Si prevede infatti, che le udienze  possano celebrarsi  mediante
videoconferenza  e collegamenti da remoto, con il consenso delle parti ,
per quelle dibattimentali e preliminari  purché queste ultime non prevedano
esame di testi, parti, consulenti e periti né discussione. In tali ultimi
casi neanche il consenso delle parti, ed in particolare, del difensore e
dell'imputato, può consentire l' accesso ad un a modalità di trattazione
diversa da quella ordinaria.

Questa previsione sembra, in realtà, ignorare le difficoltà oggettive che,
in queste ultime settimane, hanno caratterizzato proprio la fase del
giudizio penale. Infatti, la ripresa pressoché totale delle attività
giudiziarie e con essa l'afflusso  intensificato delle persone negli
ambienti giudiziari, già inidonei a garantire il rispetto delle condizioni
minime di sicurezza, sta generando come era prevedibile, un consistente
numero di contagi tra gli avvocati, il personale amministrativo e la
magistratura.



Siamo convinti che un approccio più consapevole e realistico ai rischi
sanitari inscindibilmente collegati alla celebrazione dei processi, nella
generale ed ormai cronicizzata inadeguatezza degli ambienti giudiziari,
avrebbe consigliato, nel perseguire l'interesse comune diretto ad evitare
un secondo *lockdown* della giustizia, di ampliare il novero delle udienze
suscettibili di essere trattate da remoto, anche soltanto potenziando la
possibilità per le parti di scegliere tale modalità attraverso un accordo
condiviso.

Si è invece preferita una soluzione astratta che costringe sempre e
comunque alla trattazione in presenza, tralasciando qualsiasi
interlocuzione con la magistratura giudicante e con la stessa Associazione
Nazionale Magistrati nella definizione di un documento di intesa che ha
cosi fortemente indirizzato le scelte del Ministro.

Stigmatizziamo che si è deciso di perseverare nella trattazione degli
affari giudiziari  secondo  le stesse modalità della prima fase
emergenziale con il rischio, ogni giorno più concreto, di trovarsi
costretti a non trattare nulla paralizzando  nuovamente la giustizia
penale.

Perplessità suscitano anche le norme riguardanti il processo civile e del
lavoro: innanzitutto, non è chiara la formulazione del primo comma
dell’art. 23, e quindi la definizione del termine finale di efficacia delle
disposizioni emergenziali. Quest'ultimo sembra potere essere individuato,
attraverso l'interpretazione di un complesso reticolo di norme nella data
del 31 gennaio 2021. Trattandosi di norme che derogano ad istituti
processuali una maggior chiarezza normativa ci sembrava essere doverosa.

Con evidente rimeditazioni, preso atto dell’aggravarsi dell’emergenza, il
legislatore ha nuovamente, e questa volta condivisibilmente, consentito che
la trattazione a distanza dei processi possa avvenire anche con i giudici
al di fuori degli uffici giudiziari, superando le criticità da molti
(compresa l’ANM) segnalate, sfociate anche in un questione di
costituzionalità sollevata da un Tribunale.

Positiva è anche la regolamentazione a distanza di tante attività, come le
camere di consiglio, i procedimenti di separazione e divorzio, così come la
previsione della possibilità di tenere le udienze pubbliche a porte chiuse,
e la sospensione dei procedimenti esecutivi.

Ombre sembrano addensarsi, invece, sulla mancanza di idonee indicazioni per
i procedimenti locatizi, o per quelli fallimentari, nei quali restano le
criticità proprie di tutti quei giudizi in cui le parti personalmente
possono comparire.

Un quadro, insomma, che resta frastagliato, ma caratterizzato da una
esigenza, nel civile evidentemente avvertita anche dal foro, di limitare
quanto più possibile gli accessi agli uffici giudiziari, secondo una
visione chiaramente emergenziale, ma dalla quale è auspicabile possano
emergere elementi (come ad esempio i depositi tramite PEC) da utilizzare in
futuro per una più efficace gestione del processo.

E' grave, perciò, constatare che le medesime esigenze di tutela
dell'incolumità e della salute pubblica e degli operatori non abbiano
animato anche le scelte adottate in merito al processo penale, in un
momento in cui (anche per la persistente idea della separazione delle
carriere al centro del dibattito politico) è più che mai necessario offrire
al dibattito pubblico riflessioni comuni a tutta la giurisdizione.



Grave e forse non adeguatamente ponderata nel suo significato e nelle sue
conseguenze la scelta di alcuni procuratori di intrattenere autonome
interlocuzioni esterne sui temi dell’organizzazione di altri uffici
giudiziari, sostituendosi nella rappresentanza della magistratura al
Consiglio superiore e all'Associazione nazionale magistrati.

Una simile scelta appare oltremodo criticabile sia perché in linea con
l’inaccettabile idea della separazione delle carriere, sia perché è stata
immediatamente colta dalla politica, che ha un evidente interesse a
confrontarsi con una decina di capi uffici, che non con l’intera
magistratura.

Il Coordinamento di AreaDG.
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