[Area] Il documento delle procure e la necessità di un confronto

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Mer 11 Nov 2020 08:52:19 CET



 

IL DOCUMENTO DELLE PROCURE E LA NECESSITÀ DI UN CONFRONTO

(
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e-la-necessita-di-un-confronto-31924>
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-la-necessita-di-un-confronto-31924)

 

Il documento siglato il 27 ottobre 2020 da alcuni Procuratori e dall’Unione
delle Camere Penali Italiane ha suscitato preoccupazioni e interrogativi,
che costituiscono lo spunto per aprire una riflessione ponderata, ma
ambiziosa e duratura, sul modo in cui si è concretamente realizzata la
mutazione del progetto costituzionale della magistratura come potere
diffuso, sulla crisi dell’associazionismo come motore della proposta
politica e su un resiliente corporativismo, che tanto avversiamo a parole ma
che abbiamo ancora poco indagato e compreso. 

Proprio sotto quest’ultimo profilo bisogna osservare che la
“personalizzazione” in capo a pochi dirigenti di una iniziativa su temi di
rilevanza generale ha suscitato aspre critiche per la conseguente,
inevitabile rappresentazione dell’intera magistratura in versione
verticistica e degli uffici di Procura solo attraverso chi li dirige e i
“pochi” legittimati ad interloquire con l’avvocatura su questioni rilevanti,
come il processo al tempo dell’emergenza. In passato, tuttavia, e in non
pochi casi, manifestazioni della direzione degli Uffici requirenti,
declinata non già nelle forme della responsabilità e del dare conto, quanto
piuttosto del protagonismo e della rappresentazione magniloquente di sé, non
hanno determinato al nostro interno la necessaria riflessione critica. 

Per questo crediamo che le reazioni non debbano fermarsi, ora, a un livello
epidermico e che le analisi debbano essere in grado di cogliere i
cambiamenti culturali che si sono prodotti, andando indietro nel tempo e a
fondo dei fenomeni.

Non dobbiamo arrenderci all’idea che, sul piano culturale, si sia affermato
il modello fortemente verticistico voluto dalla riforma del 2006, pur in
parte neutralizzato e temperato dalla fondamentale attività paranormativa
del Consiglio superiore della magistratura e, soprattutto nella fase
iniziale, da iniziative adottate da alcuni dirigenti attenti.

Occorre allora chiedersi se tale modello abbia prodotto effetti più
pericolosi e più duraturi, anche se meno evidenti, di quelli che cogliamo
nelle rappresentazioni esterne di “personalizzazione” e di protagonismo,
riconducibili a un cambiamento culturale, che va verso il superamento della
visione costituzionale della magistratura.

È necessario tornare ad interrogarci su questo e, parallelamente, sulla
capacità della dirigenza delle Procure di assumere ed esercitare la
responsabilità di guida dell’ufficio, esaltandone tutte le risorse e
mettendo a frutto il coordinamento collettivo, in luogo di un’impostazione
puramente gerarchica, che identifica nel suo vertice l’intero ufficio.

È necessario interrogarsi sugli effetti di una personalizzazione che si
riflette all’esterno, anche nel rapporto con la stampa, attraverso una
rappresentazione semplificatoria dei risultati investigativi e in una
comunicazione che li accredita come verità, inoculando pregiudizi
nell’opinione pubblica, sulla base dei quali si interferisce, di fatto, con
un esercizio libero e sereno della giurisdizione. 

Non sorprende che, lungo questa deriva di personalizzazione, si siano create
le basi per un rapporto unilaterale con la politica, attraverso cui pochi
eletti hanno promosso o fatto fallire riforme e orientato la sensibilità di
una parte della magistratura verso modelli e stili individualistici.

In occasione delle tante manifestazioni che questo modello di magistratura
requirente ha avuto in diversi ambiti di intervento (la criminalità
organizzata, l’immigrazione, la penalità penitenziaria, il conflitto sociale
e l’economia), esprimendo spesso sintonia con le politiche di volta in volta
dominanti, è mancata la necessaria riflessione, nel dibattito associativo. 

Oggi riteniamo urgente ed indispensabile avviarla, perché crediamo che la
cultura della giurisdizione non sia divenuta appannaggio dei giudici; e che
solo indagando a fondo sulle cause che ne hanno prodotto un indebolimento si
possa difendere il modello di una magistratura autonoma e indipendente,
contrastando efficacemente i progetti di separazione. 

Se il punto di rottura, già da molti segnalato rispetto alla recente
iniziativa dei Procuratori, risiede anche nell’effetto di accreditare pochi
dirigenti di uffici di Procura come interlocutori politici diretti del
Ministro, su temi generali che riguardano il funzionamento della giustizia,
occorre allora cogliere l’occasione per guardare agli ulteriori rischi
derivanti dalla perdita di una visione generale ed unitaria della
magistratura, e di forme di interlocuzione che diano rappresentanza alle
esigenze complessive della giurisdizione: fra questi rischi, vi è quello di
una rappresentazione della magistratura requirente solo in termini di
performance, di burocrazia e di numeri, e di una azione della Procura che,
proprio per questo, più facilmente si può separare e allontanare da quella
orientata dai valori della giurisdizione. 

In quest’ottica, anche il dibattito politico-associativo – concentrato sui
criteri e sui parametri per un dirigente efficiente – deve tornare a
guardare, con attenzione, a ciò che accade nelle Procure: alla tenuta della
cultura della giurisdizione rispetto alle prassi che si consolidano; alla
trasparenza nelle scelte che riguardano l’esercizio dell’azione penale,
l’indicazione di priorità, l’allocazione di risorse tra i dipartimenti e i
gruppi; al modo in cui si esercitano, e sono percepiti dai sostituti, i
poteri dei dirigenti; a quanto sia possibile e verificabile, all’interno
degli uffici requirenti, una logica di fisiologico dissenso; all’incidenza
sulla relazione Procuratore/sostituti dei poteri del dirigente nel campo
delle valutazioni di professionalità.

Sono nodi che dobbiamo conoscere ed affrontare, prima di accettare qualsiasi
conclusione sull’azione penale e sulla collocazione degli uffici del
pubblico ministero.

Non va poi dimenticato un altro motivo di preoccupazione emerso dal
dibattito sull’iniziativa dei Procuratori. 

Il documento delle Procure e dell’Unione Camere Penali Italiane, pur dettato
da pressanti urgenze, segnala un rischio evidente per la legittimazione
dell’associazionismo giudiziario e per la sua capacità di rappresentanza e
di proposta politica.

Anche qui, tuttavia, la riflessione non deve fermarsi alla ricerca immediata
delle “colpe”, ma deve renderci consapevoli dei rischi di un’azione
associativa che sia percepita come defatigante e improduttiva rivalità tra
leadership, e non come momento unificante della pluralità di visioni della
giustizia. 

Occorre guardarsi, quindi, dal rischio che si consolidi la deriva
verticistica che si è prodotta nella magistratura come nell’associazionismo:
sono fattori che, invece di favorire il rafforzamento di una cultura
autonoma della magistratura e della sua capacità di interlocuzione, portano
a logiche di consenso e di potere, di cui la politica, trasversalmente e a
tutti i livelli, sa approfittare. E anche da queste logiche nasce la crisi
della magistratura, sfociata nelle drammatiche vicende degli ultimi mesi.

È necessario, dunque, aprire un confronto – a partire dal prossimo Consiglio
Nazionale e in vista di future iniziative di approfondimento – che non
riproponga una discussione sui principi, ma che assuma le forme delle
domande, della comprensione dei fatti e delle iniziative da mettere in
campo.

Roma, 11 novembre 2020.

 

L’Esecutivo di Magistratura democratica

 

 

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