[Area] AreaDG - Dieci proposte per la riforma della Giustizia civile

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Mar 6 Apr 2021 10:23:44 CEST


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*Dieci proposte per la riforma della Giustizia civile*

*https://www.areadg.it/articolo/dieci-proposte-per-la-riforma-della-giustizia-civile
<https://www.areadg.it/articolo/dieci-proposte-per-la-riforma-della-giustizia-civile>*

In data 16 febbraio 2021 si è tenuto un seminario on line organizzato da
Area Democratica per la Giustizia sul tema “Giustizia civile, pandemia e
riforme: pensare a lungo termine”.

E’ stata un’occasione preziosa di riflessione, confronto ed elaborazione
collettiva sul tema della riforma della Giustizia civile in Italia anche in
relazione alle opportunità offerte dal P.N.R.R., da cui abbiamo tratto
alcune proposte e considerazioni di sintesi.



*1) I Fondi Europei per la Giustizia. Il ruolo della Giustizia civile      *

Se nella visione del Piano nazionale di ripresa e resilienza un ruolo
fondamentale nel progetto di rilancio del Paese e nella costruzione del
futuro per le nuove generazioni, è assegnato all’innovazione organizzativa
della Giustizia, con l’obiettivo della riduzione dei tempi del processo e,
quindi, del recupero complessivo di efficienza, alla giustizia civile è
sicuramente affidato un ruolo strategico.

Sappiamo tutti che una giustizia civile lenta e inefficiente mortifica la
crescita di un Paese e viceversa una giustizia efficiente è un fattore di
crescita misurabile anche in termini di PIL e di benessere complessivo. La
lentezza dei processi ha ricadute negative sull’economia perché incide
negativamente sui comportamenti delle imprese, perché la lentezza e
l’incertezza e quindi la non prevedibilità delle decisioni spinge gli
operatori economici a mettere in atto comportamenti distorsivi e ad un uso
strumentale del processo civile, deprime l’economia e non invoglia gli
investimenti. Ma ha anche un costo sociale elevato, perché la tempestività
della risposta di giustizia, specie in campo civile è indispensabile per la
sua efficacia, una risposta lenta rende non effettivo il diritto affermato.

Il recupero della efficienza della giustizia civile è quindi indispensabile
per la competitività di cui ora più che mai il nostro Paese ha bisogno, ma
lo è anche per assicurare quella coesione sociale senza la quale nessuna
reale ripartenza è ipotizzabile.

Per tutte queste ragioni, è agevole prevedere che la giustizia civile sarà
al centro degli interventi che il Governo si appresta a fare nella
giustizia attraverso l’impiego dei fondi del Recovery; a tali ragioni si
aggiunge quella, non secondaria, per cui sulla giustizia civile possono
realizzarsi  convergenze, accordi e mediazioni, assai più agevolmente  di
quanto in questo momento non possa farsi in ambito penale, tuttora agitato
da questioni nodali fortemente divisive e da posizioni tanto distanti tra
gli attori politici da non poter essere oggetto in breve tempo di
mediazioni accettabili.

Né va trascurato che quello della giustizia civile è l’ambito nel quale
l’innovazione tecnologica è più avanzata, perciò l’implementazione e la
nuova sperimentazione non solo sarà più agevole che in altri settori oggi
ancora molto arretrati, ma essa incontra il favore degli altri attori del
processo, in particolare dell’avvocatura, che ne ha colto i vantaggi e le
opportunità, specie nella fase della pandemia.

Quella offerta dal Recovery fund è perciò, e davvero, una occasione – unica
e ultima - che non possiamo perdere per cambiare l’attuale quadro della
giustizia civile.



*2) Recupero di efficienza e processo civile: una nuova visione per la
giustizia *

Ancor prima della cristi pandemica, il Governo aveva licenziato il disegno
di legge delega sulla riforma del processo civile.

Il P.N.R.R. nella parte dedicata alla giustizia civile recepisce quel
progetto e ne fa uno dei caposaldi della strategia complessiva
dell’intervento.

Mettendo da parte il merito della riforma, va qui subito sottolineato un
rischio, che è quello di porre la riforma del rito come fattore centrale
dell’obiettivo del recupero di efficienza.

In realtà, nella sua storia, il processo civile è stato sottoposto ad un
gran numero di riforme, financo dopo la legge 69/2009, ma queste riforme
non hanno in genere prodotto una maggiore efficienza, quanto piuttosto
introdotto un maggior disordine, eterogeneità dei riti ed eccessiva
rigidità, così creando grande confusione in un sistema che per sua natura
richiede ordine e razionalità.

E’ diffusa la convinzione che la riforma del rito può, in sé, incidere sui
tempi, ma che non sia né l’unico, né il più importante fattore. Basta al
riguardo osservare che i processi, pur soggiacendo allo stesso rito, in
alcuni tribunali hanno una durata di centoquaranta giorni, in altri di
milleottocento.

Quindi, il problema non risiede tanto nel processo e nemmeno nelle risorse
destinate alla giustizia, perché negli ultimi anni occorre riconoscere che
c’è stato un recupero sul fronte delle risorse.

In realtà, molti studi hanno dimostrato che non esiste un rapporto diretto
tra risorse, produttività ed andamento dei tribunali, mentre tempi ed
efficienza sono assai più interdipendenti con l’organizzazione e
l’innovazione tecnologica. Tanto è vero che il settore nel quale
nell’ultimo decennio si è registrato un miglioramento delle *perfomances* è
quello del civile, che registra a partire dal 2009 un  costante decremento
delle pendenze che dagli oltre cinque milioni di partenza si sono ridotte
al di sotto dei tre milioni.

Il civile è l’ambito nel quale organizzazione e innovazione hanno fatto
sinergia: attraverso il programma di gestione ex art. 37 è stato possibile
conoscere  il proprio “magazzino” e, quindi, programmare e monitorare
l’abbattimento dell’arretrato, attraverso il PCT è stato possibile
migliorare *perfomances* e qualità del lavoro; anche nell’ultimo periodo
l’arretrato è proporzionalmente diminuito in sede civile: infatti,
attraverso l’analisi dei programmi di gestione, è stato possibile avvedersi
che gli uffici – mediante la conoscenza del magazzino, l’individuazione e
realizzazione degli obiettivi – hanno ridotto in un anno, tra il 2017 ed il
2018, il tempo di smaltimento dell’arretrato da dieci a cinque anni. Si
tratta di risultati frutto di una sinergia tra organizzazione e innovazione
che ha visto svolgere un ruolo da protagonista proprio dagli attori del
processo.

Organizzazione e innovazione tecnologica sono quindi certamente
fondamentali, ma non da sole, come da sola non è sufficiente la riforma del
rito, o l’implementazione delle risorse o l’intervento su altri fattori,
essendo necessario piuttosto fare un salto di qualità: cogliere l’occasione
della pandemia e dell’opportunità che ci viene offerta dai fondi europei
non per rattoppare l’esistente, ma per disegnare la giustizia civile da
costruire nel decennio in corso e per vederla realizzata entro il 2030.

Tale considerazione ci suggerisce un approccio non settoriale al problema,
limitato ad una sola linea o direttrice di intervento, perché ciò che
occorre mettere in campo sono azioni multilivello capaci di agire con più
leve e su piani diversi, capaci di riarticolarsi in un progetto organico
per la riforma della giustizia civile.



*3) La riforma del processo*

Il giudizio sulla riforma, rivolta nelle intenzioni del proponente alla
semplificazione è stata oggetto di valutazioni critiche specie da parte
dell’Accademia Autorevole dottrina ha addirittura sostenuto – dati alla
mano - che il nuovo rito semplificato potrebbe non ridurre i tempi, ma
piuttosto dilatarli.

A prescindere dal merito che non è stato oggetto di approfondimento del
seminario, possono farsi alcune brevi osservazioni in relazione alla
riforma del rito civile.

a) La difficoltà di una riforma del processo civile è nel trovare un
bilanciamento efficace tra esigenze di predeterminazione legale e di
uniformità di trattamento - che è garanzia di giusto processo - ed esigenze
di flessibilità in funzione della diversa tipologie di cause. A questo fine
la semplificazione del rito, per come progettata nella proposta di riforma,
potrebbe non essere funzionale a questo che è pure un fondamentale
obiettivo.

b) V’è un problema che non può andare scisso da quello del rito, ma che non
può essere affidato alla sola riforma del processo, che è il tema del
controllo della domanda.

Questo fattore è influenzato più che dal rito, da altre varianti: il
contesto generale, il tasso di litigiosità, la qualità dei servizi della
P.a. e il comportamento di attori importanti del processo: le pubbliche
amministrazioni – in primis Ministeri, enti territoriali, Agenzia delle
entrate, INPS, INAIL – assicurazioni, istituti di credito, tutti attori che
con le loro scelte possono incidere pesantemente sulla domanda. C’è stato
negli ultimi anni un aumento della domanda giudiziale relativa ai diritti
delle persone, e al contempo è diminuita quella proveniente da altri
soggetti istituzionali, come ad esempio le banche e le assicurazioni:
questo è avvenuto non di certo a causa dell’abbandono derivante dalla
scarsa produttività del sistema giustizia ma, per motivi di
razionalizzazione e di economie aziendali, queste ultime hanno smesso di
resistere in giudizio quando erano destinate, al contrario, a soccombere.

Ciò che dimostra che un fattore fondamentale è la prevedibilità delle
decisioni e la nomofilachia nella sua funzione di orientamento delle scelte
proprio in funzione del controllo della domanda.

c) Ai fini della riduzione dei tempi del processo appare importante
acquisire capacità di monitoraggio di tutte le strutture giudiziarie
essendo questa la precondizione per governare e dirigere i processi di
innovazione.

Le tecnologie ci sono ed è ormai indispensabile che la giustizia venga
monitorata costantemente ed in tempo reale, anche in funzione dell’adozione
di scelte razionali nell’allocazione delle risorse, senza che ciò debba
tradursi in un sovraccarico di procedure e di rendicontazione interna. Il
monitoraggio consentirebbe di fruire di quelle informazioni che rendono
possibili interventi mirati.

d) Un ruolo nel recupero di efficienza possono averlo le *best practices*,
nella cui selezione e diffusione in Consiglio Superiore può svolgere un
ruolo importante attraverso l’impiego di gruppi di lavoro, strutturati per
obiettivi ed impegnati nello studio di specifiche materie – che vanno
dall’esecuzione alla violenza di genere, passando per la protezione
internazionale – i quali costituiscono dei piccoli laboratori, funzionali
ad individuare quelle buone prassi che vengono applicate negli uffici,
rendendoli virtuosi, e che possono poi essere esportate in tutto il
sistema.

e) La riforma del rito sembra partire da un presupposto falso, ossia che
non vi sia arretrato. In realtà noi sappiamo che l’arretrato è il nostro
vero nemico.

Nessuna riforma del processo civile ha senso se non si accompagna ad essa
un piano straordinario per l’abbattimento dell’arretrato. Entrano qui in
gioco ulteriori fattori che si vanno ad esaminare.



*4) Le risorse*

Importante leva da impiegare nel quadro di una riforma complessiva della
Giustizia civile è costituita dalle risorse. Nell’approccio a questo tema
occorre definitivamente superare i due assunti su cui è finora insterilita
la discussione

-     Secondo un primo assunto, le risorse per la giustizia sono
insufficienti e ne occorrono di ulteriori e il suo perseguimento non deve
confrontarsi e misurarsi con logiche di *accountability*.

-     Secondo un assunto opposto, le risorse sono adeguate e la scarsa
produttività dipende dalla scarsa laboriosità dei magistrati e dei
dipendenti amministrativi

Sono argomenti che spesso vengono agitati nel dibattito pubblico sulla
Giustizia e che dimostrano la mancanza di conoscenza dei problemi.

La seconda affermazione è smentita dai dati Cepej che anche nel biennio
2017-2018, come in tutti i precedenti, dimostrano la elevata produttività
dei magistrati italiani e i dati delle pendenze in calo in particolare nel
civile.

Ma i dati Cepej, con tutte le cautele del caso, trattandosi di comparazioni
di dati tra sistemi giudiziari eterogenei, dimostrano che ciò che fa la
differenza è, tra gli altri fattori, l’enorme arretrato.

E d’altra parte, non possiamo continuare ad affermare come un mantra che le
risorse per la giustizia sono insufficienti, senza porci il problema
riguardo al dove e a come spendiamo queste risorse.

C’è la necessità di porre in termini nuovi il rapporto tra risorse e
servizio, per favorirne l’impiego produttivo distogliendole e liberandole
da allocazioni svantaggiose o scarsamente strategiche. L’Italia spende
circa 9 miliardi per la giustizia, ma oltre un terzo di queste risorse,
circa il 37 % è dedicato al penitenziario, residuano circa cinque miliardi,
in relazione ai quali ci sarebbe un lavoro importante da approfondire, che
qui non può farsi, ossia quanto è destinato a spesa corrente e quanto per
investimenti strutturali.

Un altro aspetto è nel fatto che molte risorse sono dedicate a mansioni
lavorative non immediatamente riconducibili alla mansione istituzionale del
servizio giustizia.  Molte risorse sono destinate a processi di supporto e
troppo poche a processi di servizio. Il settore della Volontaria
giurisdizione è emblematico con l’amministrazione di sostegno, ma anche
parte dell’attività del tribunale delle imprese, il casellario giudiziale,
l’attività elettorale e l’elenco potrebbe continuare richiedono molti
processi di supporto che impegnano una parte cospicua di risorse che
dovrebbero e potrebbero essere sostenute dal territorio, al cui servizio
sono rivolte e che vengono sottratte ai processi direttamente funzionali al
servizio giustizia.

Occorre implementare e sviluppare la giustizia di prossimità per liberare
risorse. Ci sono sperimentazioni in campo positive dello stesso Ministero;
oggi bisogna fare sul quel versante un forte investimento e, senza
tentennamenti e proprio con le risorse del Recovery, dare uno slancio
deciso.

Ruolo centrale rispetto al grande tema delle risorse è quello
dell’autonomia di bilancio degli Uffici a livello di distretto di Corte
d’Appello e la revisione dell’organizzazione della dirigenza giudiziaria e
del personale addetto.

Da un lato, l’accentramento delle risorse in capo al ministero, la mancanza
di autonomia di bilancio deresponsabilizza, ma dall’altra non consente ai
dirigenti di fare una propria politica di sviluppo dell’organizzazione.

Questo tema chiama in causa quello ancor più generale della governance. Si
è sottolineato da più parti la necessità di ridisegnare il ruolo del
Ministero e del CSM non per modificare ciò che saggiamente prevede la
nostra costituzione, bensì per consentire di recuperare molte più risorse
umane di valore che esistono sul territorio, superando anche la rigida
centralizzazione ed il rapporto tra servizi della giustizia e territori.
Ciò a maggior ragione oggi in cui il ruolo del Ministero è diventato
fondamentale nell’informatizzazione, che a sua volta è ormai un formante
della giurisdizione.

E’ per questo importante ripensare alla governance nell’ottica di una
maggiore interazione tra Ministero, C.S.M. ed Uffici giudiziari, dare
valenza agli uffici giudiziari nel rapporto con l’avvocatura e ridare loro
possibilità di intervenire con una certa autonomia. In questo contesto, il
Ministero ed il CSM devono continuare a svolgere il ruolo di indirizzo,
guida, regolazione e supporto, puntando assai di più che nel passato su un
nuovo protagonismo di uffici giudiziari ed avvocatura, secondo un metodo
basato sulla  collaborazione e coordinamento.

*5) Innovazione tecnologica*

Un altro dato di interesse che si trae dal rapporto Cepej è che l’Italia è
il paese che ha fatto maggiori investimenti nel settore digitale nella
giustizia. E’ questa una delle leve su cui occorre ulteriormente progredire
sia sul versante delle infrastrutturazioni informatiche, sia sul versante
dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale e della giustizia predittiva.

Se prima della pandemia eravamo consapevoli della centralità
dell’informatica giudiziaria e della digitalizzazione, l’emergenza
sanitaria ce ne ha restituito la piena certezza, ci ha aperto a nuove
consapevolezze.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci offre l’opportunità dunque di
capire, o quantomeno di interrogarci, sull’importanza degli investimenti
strutturali. E’ necessario pertanto fare affidamento sulle intelligenze
artificiali e su tutte le opportunità che ci consentono di trarre, non solo
in termini di machine learning, ma di impiego a tutto tondo di ogni forma
di sostegno alla giurisdizione.

E’, altresì, emersa la necessità di valorizzare le enormi banche dati che
si realizzano attraverso il PCT, che consentirebbero di svolgere un lavoro
importante sia sul piano della prevedibilità delle decisioni di merito, sia
dati di conoscenza utili anche ai fini dell’organizzazione degli uffici.

Ciò che non significa abdicare il al ruolo determinante ed insostituibile
del giudice, che sia orientato costituzionalmente, nella fase della
decisione, ma valorizzare l’apporto che la tecnologia può fornire quale
supporto al processo decisionale, in funzione del miglioramento della
decisione che è e resta prerogativa esclusiva del magistrato.

In questo quadro c’è una questione culturale che va ripresa nel rapporto
tra informatica e giudice civile. A quest’ultimo va riconosciuto il merito
di avere sperimentato e implementato negli anni, col proprio apporto
quotidiano, il processo civile telematico, divenuto strumento di lavoro
ormai ineliminabile. Non è pensabile tuttavia che, a dispetto degli sforzi
compiuti, oggi la digitalizzazione progredisca per scelte e funzioni
centralizzate senza un coinvolgimento che renda percepibile alla
magistratura le nuove utilità sul piano del suo benessere lavorativo.

Vanno pertanto garantite risorse amministrative in grado di affiancare il
giudice nel quotidiano, un’assistenza in tempo reale, una formazione sul
campo e non astratta e, soprattutto, soluzioni condivise con chi, il
giudice, vede correttamente nel PCT non un fine, ma uno strumento
essenziale. La condivisione è la sola via per arrivare ad interventi di
digitalizzazione che vengano assecondati e non invece ostacolati da
resistenze che troppi anni di richieste inascoltate rendono altrimenti
inevitabili



*6) Personale amministrativo *

Occorre anche avere chiaro che i processi di sviluppo tecnologico e
informatico non risolvono il problema del personale.

Assicurano risparmi di tempo nelle attività a basso valore aggiunto, ma
richiedono di poter fare leva su un personale giovane e professionalmente
attrezzato e stabilmente assunto. La natura avventizia, la temporaneità e
la precarietà che le soluzioni spesso adottate nella P.a. e pure nella
giustizia, oltre allo svilimento della professionalità dei lavoratori, è
perniciosa per un sistema come quello dello giustizia in cui la formazione
è un investimento prezioso e la programmazione si fonda sulla possibilità
di poter contare stabilmente sulle persone.

La ripresa di politiche di reclutamento e i programmi di assunzione già
avviate da alcuni anni dal Ministero sono una inversione di tendenza che ha
visto meritoriamente impegnata la dirigenza del DOG dalla quale non si deve
tornare indietro.

Occorre dunque puntare sulla flessibilità e modelli di lavoro con
investimenti formativi sul personale giovane.



*7) Ufficio per il processo. *

Ulteriore leva è quella dell’ufficio del processo, che rappresenta una
delle linee di intervento previste dal PNRR. La previsione dell’Ufficio del
giudice composto dall’assistente di studio, l’assistente giudiziario e gli
stagisti rappresenta non una novità nel modello, perché ci sono già
positive sperimentazioni, ma nella assegnazione delle risorse necessarie
per farlo funzionare ora previste dalle linee progettuali per la Giustizia
dal P.N.R.R..

Si tratta di un nuovo modo di lavorare, che supera un modello anacronistico
in cui l’ufficio  è costituito dal singolo magistrato, un ufficio
monopersonale, per divenire un’unità di lavoro complessa, organizzata come
equipe, uno staff in cui il magistrato coordina, supervisiona e organizza,
oltre al suo il lavoro quello di altre figure di supporto all’ufficio,
anche al fine di predisporre la motivazione finale, anch’essa meritevole di
ripensamento, non solo nella struttura ma anche nell’approccio mentale del
singolo giudice.

La previsione di figure avventizie assunte per tre anni preoccupa, ma la
sfida da cogliere è quella di saper far funzionare l’ufficio del processo,
dimostrarne l’utilità ai fini dell’abbattimento dell’arretrato, per la
riduzione dei tempi e il miglioramento della qualità del servizio. Far
funzionare l’ufficio del processo con le risorse a regime significa poter
reclamare un domani la stabilizzazione del modello e, quindi, delle risorse
necessarie per farlo funzionare.

L’attuazione dell’Ufficio del processo chiama in causa anche un altro
grande tema che è quello dell’edilizia giudiziaria, perché la realizzazione
dell’Ufficio del processo richiede spazi e ambienti di lavoro adeguati,
salubri e sicuri, ciò che allo stato l’edilizia giudiziaria spesso non
assicura.



*8) L’edilizia giudiziaria*

E’ una delle linee di intervento previste dal Recovery che, anche sotto
tale profilo offre, un’occasione unica e non ripetibile non solo per
mettere in sicurezza gli edifici giudiziari, ma per ripensare
complessivamente l’edilizia giudiziaria in funzione delle riforme
organizzative e di innovazione organizzativa. Si tratta, quindi, anche essa
di una “leva” che ha un ruolo strategico nel ripensare in generale la
giustizia del futuro.

     Ripensare agli ambienti di lavoro, in ragione delle nuove esigenze di
sicurezza e salubrità, significa assicurare non solo l’indispensabile
benessere lavorativo per migliaia di pubblici dipendenti, ma anche compiere
un passo non secondario verso una maggiore autorevolezza della funzione
giudiziaria, poiché il cittadino ha bisogno di constatare che lo Stato
tutto crede nell’essenzialità di tale funzione.



*9) La geografia giudiziaria *

E’ stata sottolineata da più parti la necessità di un nuovo intervento
sulla geografia giudiziaria, poiché residuano ancora realtà di piccoli
tribunali e piccole Corti d’Appello  che sono fonte di inefficienza del
sistema. Intervento che richiede l’avvio in tempi rapidi di politiche di
edilizia giudiziaria, evitando che la razionalizzazione vada a discapito
della salubrità degli ambienti di lavoro, contraendo ulteriormente spazi
che, ormai, specie dopo la soppressione delle sezioni staccate – sempre più
insufficienti ed esigui.



*10) La magistratura onoraria. *

Si tratta di un tema molto delicato ed aperto, e ora, dopo la legge
Orlando, due decreti-legge sulla Magistratura onoraria hanno riaperto la
questione.

Nell’ottica della riforma Orlando il GOT non dovrebbe avere autonomia di
gestione del ruolo, ma dovrebbe essere di supporto all’ufficio del
processo, svolgendo una prestazione che non dovrebbe avere natura
continuativa e stabile.

Nella situazione attuale l’apporto della Magistratura onoraria appare
necessario e prezioso, ma occorrono interventi di razionalizzazione  del
sistema e che assicurino, al fi fuori di ogni ipotesi di stabilizzazione,
continuità ai got e Vpo che esercitano la funzione da decenni, garantendo
loro un’adeguata tutela assicurativa e previdenziale.

V’è generale convergenza sul fatto che il tema della Magistratura onoraria
meriti un approfondimento a parte. E’ difficile, infatti, immaginare che
gli onorari si convertano  al ruolo di ausilio decisionale; e d’altra
parte, secondo le previsioni del P.R.R.N. esso non sembra essere la  sede
nella quale sarà affrontato il ruolo  della Magistratura onoraria,  perché
l’ufficio del processo, dovrebbe essere costituito da funzionari assunti
come assistenti del giudice e  non attraverso l’inserimento in tale ruolo
degli onorari, sicché sarà necessario, nell’ottica di riforme del processo
civile, penale e dell’ordinamento, accendere un faro su questo problema,
che pure richiede una soluzione urgente per far sì che gli altri interventi
strutturali conservino la loro funzionalità e sistematicità.



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