[Area] Obbligatorietà azione penale

ed.brutiliberati a gmail.com ed.brutiliberati a gmail.com
Mar 8 Giu 2021 09:54:24 CEST


 

Allego un mio contributo pubblicato oggi  8 aprile su Il Foglio. Mi rendo
conto che il tema è delicato e che posizioni come quelle che ho espresso non
sono da tutti condivise. Mi permetto solo di chiedere, per chi ne abbia
voglia, di leggere il testo senza farsi condizionare dai titoli

Edmondo Bruti Liberati

 

Foglio - Inserto di martedì 8 giugno 2021, pagina 3

FETICCI DELL'AZIONE PENALE Perché una buona riforma della giustizia ha il
dovere assoluto di fare i conti con una falsa verità: la non discrezionalità
del pubblico ministero. La Commissione Lattanzi e quelle svolte necessarie

di Edmondo Bruti Liberati 

Art. 112 della Costituzione: "Il pubblico ministero ha l'obbligo di
esercitare l'azione penale". Una frase, 9 parole o, come si conta oggi, 64
battute spazi inclusi. Obbligatorietà sì, obbligatorietà no? Forse si può
fare un passo avanti rispetto a una contrapposizione che spesso sembra
assumere i caratteri di una guerra di religione. Prescrivendo
l'obbligatorietà dell'azione il Costituente ha voluto "soltanto" fissare un
principio: l'eguaglianza di tutti davanti alla legge sancita dall'art. 3
esige che nell'applicazione della legge penale il primo attore, il pm, sia
sottratto a ogni influenza dell'esecutivo. Era allora viva l'esperienza
dell'influenza del regime fascista sull'attività del pubblico ministero, al
quale, per di più, il codice Rocco consentiva l'archiviazione diretta senza
alcun controllo del giudice istruttore. Ma la democrazia non ha
definitivamente risolto il problema se è vero che ancora negli anni Ottanta
del secolo appena trascorso si parlava della Procura di Roma come "porto
delle nebbie". Basterebbe solo evocare quello che fu chiamato l'assalto"
alla Banca d'Italia con l'incarcerazione di Mario Sarcinelli e il ritiro del
passaporto a Paolo Baffi. Nella lettera con la quale trasmette il suo
diario, intitolato asetticamente "Cronaca breve di una vicenda giudiziaria",
al giornalista Massimo Riva si legge l'amara considerazione di Baffi: "Ho
dovuto accorgermi della potenza del complesso
politico-affaristico-giudiziario che mi ha battuto". Sono passati
trent'anni, tutto è cambiato alla Procura di Roma, ma la lettura di quel
diario, pubblicato su Panorama dell'11 febbraio 1990 è tuttora istruttiva.
In Francia vige il principio della opportunité des poursuites e non si è
voluto recidere fino in fondo il cordone ombelicale tra esecutivo e pubblico
ministero, ma tutta la recente evoluzione è nel senso di delimitare e
circoscrivere l'intervento del governo con direttive ai procuratori
generali: dapprima direttive scritte e non più discrete telefonate, poi
direttive scritte e inserite nel fascicolo, quindi direttive solo in
positivo come invito a procedere e non nel senso di non procedere. Ora è
sempre più vivo il dibattito sulla permanenza di quel che resta del cordone
ombelicale. Se in Francia la tendenza è quella di delimitare la
discrezionalità, che nella pratica ormai opera solo come deflazione per i
casi di minima offensività (come d'altronde in Germania), in Italia
all'opposto è oggetto di critica il principio di obbligatorietà. Sgombriamo
subito il campo dai cortocircuiti argomentativi. Non esistono nella realtà i
"modelli puri" di processo, inquisitorio o accusatorio; non esiste negli
stati democratici a livello globale e neppure nella nostra piccola Europa e
neppure nell'ambito più ristretto dell'area di civil law un "modello di pm".
Per fortuna nel 1989 abbiamo adottato un codice di procedura penale che
dalla ispirazione accusatoria trae il principio fondamentale del
contraddittorio e per fortuna, saggiamente, non abbiamo adottato il modello
del pm americano. Voler trarre la conseguenza della soppressione del
principio di obbligatorietà dalla adozione di un processo ispirato al
contraddittorio è una forzatura. D'altronde, e in senso opposto, in Francia
la discrezionalità è inserita in un sistema che mantiene istituti del
processo inquisitorio. Torniamo allora al nostro art. 112 della
Costituzione: "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione
penale". Il principio, lo si è detto, esprime un valore, ma l'attuazione
concreta apre una serie di problemi, che non possono essere elusi. Obbligo,
ma quando, su quali presupposti? La facile risposta del codice "quando vi è
una notizia di reato" non risolve nulla. Si tratta di una "notizia"
circostanziata o una vaga suggestione o peggio la polpetta avvelenata di una
fake news? E cosa è "reato"? La risposta dei manuali è semplice, perché
meramente formale: "Reato è ciò per cui è prevista una sanzione penale". Ma
inquadrare il fatto concreto nella congerie delle norme previste dal codice
penale e dalle innumerevoli leggi speciali che prevedono sanzioni penali è
tutt'altro che una operazione meccanica. Oggi di fronte alla complessità
della legislazione, interna, europea, internazionale, non appaga la figura
del giudice "bocca che pronuncia le parole della legge... essere inanimato".
Se questo vale per il giudice che, in penale come nel civile, non procede
d'ufficio, ma su impulso di parte e dunque su un terreno già circoscritto e
inoltre è "assistito" dal contraddittorio tra le parti, varrà a maggior
ragione per il "povero pm". Una provocazione "povero pm" a fronte dei grandi
poteri che gli sono attribuiti? Egli è solo in questa fase del tutto
iniziale, non è "assistito" dal contraddittorio con la difesa, deve
individuare la norma che sarebbe applicabile. Deve governare le inevitabili
pulsioni della polizia alla ricerca di un risultato immediato. Deve
resistere alle suggestioni di una opinione pubblica altalenante, che un
giorno è occhiutamente garantista, ma il giorno appresso chiede al pm di
dare risposte a problemi politici e sociali, di indagare su "fenomeni
criminali", o addirittura di "lanciare segnali alla politica" o infine di
farsi custode della virtù pubblica, intervenendo su fatti di malcostume o
irregolarità amministrative. Alcuni pm, per insufficienza di cultura quando
non per smania di protagonismo, non resistono a queste sirene, dimenticando
che il pm ha l'obbligo di accertare fatti di reato specifici e
responsabilità individuali, con il livello di prova elevato che si esige per
una condanna, nel pieno rispetto delle garanzie di difesa. Oggi è passata
nel linguaggio giornalistico la impropria ridondante locuzione "reati
penali", ma forse serve a segnare un limite. Compito difficile quello del
"pove *** ro pm" in questa fase iniziale: strattonato da una parte e
dall'altra, deve attuare il principio di "obbligatorietà" attraverso una
serie di scelte ineluttabilmente discrezionali, tra diverse opzioni
possibili. E' inconsistente il pretestuoso trincerarsi di alcuni pubblici
ministeri dietro il principio della obbligatorietà dell'azione penale, o
peggio dietro la fuorviante giaculatoria dell'atto dovuto", per evitare di
misurarsi con la assunzione di responsabilità per le scelte che percorrono
tutta l'attività del pm, pur se rigorosamente svolta nella osservanza delle
regole e delle garanzie del processo. Una recente vicenda ha attirato
l'attenzione sul momento della "iscrizione della notizia di reato".
"Immediatamente" dice la norma processuale, ma spesso non è né semplice né
immediato individuare se la notizia riguardi un "reato". Infatti è previsto
anche il Registro mod. 45 per le "non notizie di reato", accanto ad altri
due, uno per le notizie a carico di ignoti (Mod. 44) e altro per i noti (Mod
21). Il pm iscrive "immediatamente", ma in quale dei tre registri mod 21,44
o 45? Reato o non reato? Noti o ignoti? Qualunque scelta ha margini di
opinabilità e può prestarsi ad arbitri, ma appunto è una scelta che il pm
deve operare. Immediatamente? Ma già l'esame preliminare della "notizia" può
non essere così semplice. Ed è più garantista, nel dubbio, iscrivere
comunque e subito a mod. 21 noti? Procedere ad iscrizioni non necessarie è
tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute. Dunque se neanche
quello che apparirebbe più semplice, la "immediata" iscrizione della notizia
di reato è automatico, successivamente scelte che comportano esercizio di
discrezionalità punteggiano tutta la attività di indagine del pm. Da ultimo:
obbligatorietà/priorità. Adattando la nota replica di Mark Twain alla
pubblicazione della notizia della sua morte, mi verrebbe da dire che la
questione dei criteri di priorità dell'azione penale "è fortemente
esagerata." Mi riferisco al valore salvifico che si attribuisce all'idea di
un elenco di reati messi in fila uno dopo l'altro. La assunzione di
responsabilità per l'indicazione di priorità a livello nazionale non può che
essere del Parlamento. Naturalmente il Parlamento non potrebbe mai dare la
direttiva più drastica: non perseguite questi reati. Sarebbero quelli che
proprio il Parlamento dovrebbe cancellare con la depenalizzazione. La
Commissione Lattanzi insediata dalla ministra Cartabia ha proposto un
emendamento ragionevole al disegno di legge Bonafede n. 2034: "Prevedere che
il Parlamento determini periodicamente, anche sulla base di una relazione
presentata dal Consiglio superiore della magistratura, i criteri generali
necessari a garantire efficacia e uniformità nell'esercizio dell'azione
penale e nella trattazione dei processi; prevedere che, nell'ambito dei
criteri generali adottati dal Parlamento, gli uffici giudiziari, previa
interlocuzione tra uffici requirenti e giudicanti, predispongano i criteri
di priorità nell'esercizio dell'azione penale e nella trattazione dei
processi, tenuto conto della specifica realtà criminale e territoriale,
nonché del numero degli affari e delle risorse disponibili". Viene
abbandonata la originaria proposta Bonafede: "Prevedere che gli uffici del
pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme esercizio
dell'azione penale, individuino criteri di priorità trasparenti e
predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della
Repubblica", che tagliava fuori del tutto il Parlamento e il Csm. Rimane,
nel clima del dilagante populismo penale, il rischio che si verifichi quanto
descriveva qualche anno fa un procuratore francese". Siamo sommersi da
circolari di politica generale che ci impongono delle priorità, ma queste
circolari sono così numerose che praticamente tutto è prioritario e dunque
dobbiamo noi ridefinire un poco le priorità [...] Se facciamo l'inventario
di tutte queste circolari, le quali ci dicono che un tale settore deve
essere trattato con diligenza, fermezza e celerità, vediamo che esse
riguardano quasi 1'80 per cento dei nostri fascicoli. E dunque dobbiamo fare
una selezione di ciò che è realmente urgente e importante" (Testimonianza di
un procuratore della Repubblica in Ph.Milburn, K.Kostulski, D.Salas, Les
procureurs.Entre vocation judiciaire et fonctions politiques, Puf, Paris
2010, pp. 91-92, mia traduzione) La politica criminale più che in direttive
di priorità si concreta nell'adeguamento della normativa penale processuale
e sostanziale, nelle scelte organizzative sull'impiego delle risorse
materiali e tecnologiche e nella distribuzione del personale di magistratura
e delle forze di polizia. Le eventuali priorità definite annualmente a
livello nazionale devono essere calibrate a livello locale e costantemente
monitorate. La attuazione pratica di questi indirizzi nella singola Procura
si traduce nella dislocazione delle risorse materiali, tecnologiche e umane.
La normativa del 2006 ha realisticamente precisato il potere/dovere del
procuratore nella responsabilità della organizzazione di un ufficio, che nel
rispetto della dignità professionale di tutti i magistrati sostituti,
richiede una uniformità di indirizzo. Le scelte organizzative del
procuratore si devono attuare nella trasparenza dei "Criteri di
organizzazione dell'ufficio", che sarebbe bene il legislatore raccordasse
con le "Tabelle degli uffici giudicanti". Andrebbe generalizzato lo
strumento del Bilancio di responsabilità sociale.; la pionieristica
iniziativa, diversi anni, addietro dal procuratore della Repubblica di
Bolzano Cuno Tarfusser, è tuttora poco seguita, con l'unica rilevante
eccezione degli uffici giudiziari di Milano. Ma in conclusione ritorniamo
alla grande responsabilità in capo al pubblico ministero, che esige cultura
professionale, rigoroso rispetto delle garanzie e forte impegno
deontologico.

* Ora in pensione, Edmondo Bruti Liberati è stato fra l'altro procuratore
della Repubblica di Milano e presidente dell'Associazione nazionale
magistrati.

 

 



-- 
Questa e-mail è stata controllata per individuare virus con Avast antivirus.
https://www.avast.com/antivirus
-------------- parte successiva --------------
Un allegato HTML è stato rimosso...
URL: <http://mail.areaperta.it/pipermail/area_areaperta.it/attachments/20210608/4f33e322/attachment-0001.html>
-------------- parte successiva --------------
Un allegato non testuale è stato rimosso....
Nome:        Bruti Il Foglio 8 giu 2021.pdf
Tipo:        application/pdf
Dimensione:  619942 bytes
Descrizione: non disponibile
URL:         <http://mail.areaperta.it/pipermail/area_areaperta.it/attachments/20210608/4f33e322/attachment-0001.pdf>


Maggiori informazioni sulla lista Area