[Area] A vent'anni da Genova 2001: non dimenticare, ma guardando avanti
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Mer 21 Lug 2021 14:08:11 CEST
A VENT'ANNI DA GENOVA 2001:
NON DIMENTICARE, MA GUARDANDO AVANTI
L'articolo 13, quarto comma, della Costituzione prevede che sia punita
ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a
restrizioni di libertà.
Si tratta dell'unico obbligo di incriminazione espresso dalla nostra
Costituzione antifascista, che raccoglieva la memoria ancora bruciante
delle violenze del regime contro i dissidenti e gli oppositori politici.
Il rilievo costituzionale conferito alla protezione delle persone
"ristrette" - termine che richiama non solo lo stato di detenzione e di
internamento in r.e.m.s., così come di arresto e fermo, ma anche il
trattamento sanitario obbligatorio e il trattenimento nei Centri di
permanenza per i rimpatri - richiede un'assoluta effettività della
giurisdizione sulle violazioni dei diritti umani che vedono coinvolte le
Forze dell'ordine, anzitutto nella fase delle indagini per
l'accertamento dei fatti e delle responsabilità e poi nell'esercizio
dell'azione penale e nel processo.
A vent'anni dai fatti di Genova ci troviamo invece a constatare la
persistente difficoltà della giurisdizione nell'entrare in profondità
nei fatti di abuso contro le persone private della libertà,
nell'accertare le reali dinamiche degli eventi e nello stabilire le
responsabilità dei singoli pubblici ufficiali.
Impossibilità, in molti casi, di individuare gli agenti responsabili,
omertà istituzionale e puntuali attività di depistaggio rappresentano
una costante di queste vicende che non si sono certo esaurite nel 2001:
ricordiamo infatti, tra le tante vittime successive, Federico Aldovrandi
e Stefano Cucchi.
Non ha costituito un reale punto di svolta l'introduzione nel codice
penale, con Legge n. 110 del 2017, del reato di tortura; nonostante si
tratti di un'innovazione legislativa apprezzabile - e peraltro attuata
con molto ritardo rispetto alla ratifica, nel 1988, della Convenzione
ONU contro la tortura del 1984 -, il testo uscito dall'iter parlamentare
non si caratterizza per chiarezza dei presupposti bensì per formulazioni
non facilissime da comprendere (come il riferimento a condotte declinate
solo al plurale, o alla "verificabilità" del trauma psichico della
vittima) e quindi idonee a causare incertezza e controvertibilità
nell'interpretazione.
Oggi, davanti alle drammatiche immagini delle violenze sui detenuti del
carcere di Santa Maria Capua Vetere, pur nella doverosa attesa del
lavoro della magistratura inquirente e fermo il principio di presunzione
di non colpevolezza delle persone iscritte nel registro degli indagati,
si avverte il rischio che torni a ripetersi uno scenario oscuro nel
quale la confusione e i tentativi - in parte già emersi dalle
intercettazioni rese pubbliche - di alterazione delle fonti di prova
rendano ancora una volta estremamente difficoltoso il cammino della
giustizia.
Proprio pronunciandosi sui fatti di Genova, la Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo (sentenza del 7 aprile 2015 - Cestaro c. Italia), ha
riaffermato che, quando una persona sostiene di avere subito, da parte
della polizia o di altri servizi analoghi dello Stato, un trattamento
contrario all'articolo 3 della Convezione Edu, tale disposizione,
combinata con il dovere generale imposto allo Stato dall'articolo 1, di
«riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i
diritti e le libertà definiti (...) [nella] Convenzione», richiede, per
implicazione, che vi sia un'inchiesta ufficiale effettiva e che tale
inchiesta deve poter portare all'identificazione e alla punizione dei
responsabili. «Se così non fosse, nonostante la sua importanza
fondamentale, il divieto legale generale della tortura e delle pene o
trattamenti inumani o degradanti sarebbe inefficace nella pratica, e
sarebbe possibile in alcuni casi per gli agenti dello Stato calpestare,
godendo di una quasi impunità, i diritti di coloro che sono sottoposti
al loro controllo».
In relazione alla mancata identificazione degli autori materiali dei
maltrattamenti nella scuola Diaz-Pertini, la Corte ha ribadito che è
contraria alla Convenzione l'impossibilità di identificare i membri
delle forze dell'ordine, presunti autori di atti contrari alla stessa, e
che, quando le autorità nazionali competenti schierano i poliziotti con
il viso coperto per mantenere l'ordine pubblico o effettuare un arresto,
questi agenti sono tenuti a portare un segno distintivo - ad esempio un
numero di matricola - che, pur preservando il loro anonimato, permetta
di identificarli in vista della loro audizione qualora il compimento
dell'operazione venga successivamente contestato (Ataykaya c. Turchia,
n. 50275/08, 22 luglio 2014, § 53; Hristovi c. Bulgarie, no 42697/05, §
92, 11 ottobre 2011, et Özalp Ulusoy c. Turquie, no 9049/06, § 54, 4
giugno 2013).
Sin dal 2012, nella risoluzione sulla situazione dei diritti
fondamentali nell'Unione europea, esprimendo preoccupazione per il
ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi
pubblici e manifestazioni nell'UE, il Parlamento europeo invitava gli
Stati membri a introdurre misure per rafforzare il controllo giuridico e
democratico delle autorità incaricate dell'applicazione della legge, per
garantire una assunzione di responsabilità e per escludere l'immunità,
in particolare per i casi di uso sproporzionato della forza e di torture
o trattamenti inumani o degradanti, e raccomandava per questo
l'introduzione per il personale di polizia di un numero identificativo.
Come da molti in questi giorni sottolineato, occorre dunque ripensare ai
modelli organizzativi delle agenzie di polizia e agli strumenti - come
i codici o i numeri indentificativi individuali per rendere
identificabili i singoli agenti e funzionari - che favoriscano una
effettiva prevenzione di violazioni dei diritti umani delle persone
ristrette e un più efficace controllo, amministrativo e giudiziario,
sull'operato delle Forze dell'ordine: a garanzia delle persone private
della libertà, certo, ma anche a garanzia di tutti gli agenti che
svolgono correttamente il loro servizio.
Insistere oggi, come e più di vent'anni fa, per la migliore attuazione
della speciale protezione che la Costituzione assegna alla persone
private della loro libertà è il modo più sincero e soprattutto più
propositivo di ricordare le immagini indelebili della Caserma di
Bolzaneto e della scuola Diaz.
_La dirigenza nazionale di Magistratura democratica_
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