[Area] Fwd: R: R: Proposte per l'appello

Ramondino Paolo paolo.ramondino a giustizia.it
Dom 4 Feb 2018 09:52:18 CET



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(Inizio messaggio inoltrato)

Da: Ramondino Paolo <paolo.ramondino a giustizia.it<mailto:paolo.ramondino a giustizia.it>>
Data: 4 febbraio 2018 08:13:26 CET
A: thorgiov <thorgiov a libero.it<mailto:thorgiov a libero.it>>
Oggetto: Re: [Area] R: R: Proposte per l'appello

Sono convinto che il divieto di reformatio in peius vada superato e che, in attesa di un intervento legislativo sul punto, sia lodevole la prassi di alcune Procure di impugnare tutte le sentenze appellate dall'imputato sì da porre il giudice di secondo grado nelle condizioni di inasprire la pena, peraltro normalmente determinata in primo grado in prossimità dei minimi edittali.
In altri ordinamenti, penso ad es. a quello francese (per quanto mi è stato riferito da un penalista d'oltralpe), le Corti non esitano a far capire ai difensori che il rischio di un aumento della pena (in caso di riconoscimento della colpevolezza, s'intende) è elevato. So che fioccano le rinunce all'impugnazione.
Comprendo le obiezioni che ad un simile ragionamento potrebbero muoversi, dico tuttavia che i messaggi che possiamo dare all'utenza siano importanti e non privi di conseguenze pratiche.

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Il giorno 03 feb 2018, alle ore 23:07, thorgiov <thorgiov a libero.it<mailto:thorgiov a libero.it>> ha scritto:


E allora, anzichè togliere alla Corte tout court il potere di rideterminare la pena, paradossalmente potrebbe essere utile introdurre il divieto di reformatio in melius e abolire il divieto di reformatio in peius. Così la Corte almeno lascerebbe la pena così come è stata stabilita in primo grado, visto che nessuno se la sentirebbe di aumentarla. Non sarebbe sensato ? E allora la valanga di appelli e di impugnazioni a cascata che c'è attualmente è sensata ? Se un sistema non funziona lo si cambia radicalmente. Nessun principio è immutabile.

FELICE  PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )

Il 03/02/2018 20:31, De Ninis Luca ha scritto:
Se l’appello rimane, come certamente rimarrà, non mi pare sensato sottrarre alla Corte il potere di rideterminare la pena.
Diverso, sul piano strettamente logico, sarebbe eliminare il divieto della reformatio in peius, che non mi pare un principio irrinunciabile, o individuare altri seri contrappesi alla pratica, sulla cui incongruità/insostenibilità non mi pare possano esservi dissensi, degli appelli volti principalmente o solo a ritardare o paralizzare l’efficacia della condanna in primo grado. Ma non è questo evidentemente, un tema rimesso alle scelte o iniziative dei magistrati.

Viceversa, il problema della prevalenza statistica dei proscioglimenti o assoluzioni sulle condanne e delle riforme in melius delle sentenza di condanna di primo grado da parte dell’appello riguarda in via primaria le nostre responsabilità ed il modo di esercitare le nostre funzioni.

È chiaro che il problema riguarda tutti gli attori del processo, innanzitutto P.M., dal modo in cui svolge le indagini a quello in cui definisce l’oggetto del processo e predispone l’istruzione dibattimentale.
A partire dall’imputazione, i cui requisiti di “chiarezza e precisione” dovrebbero essere il cardine della legalità del processo, tuttavia spesso carente nella pratica della giurisdizione, la cui emenda incontra limiti, strutturali spesso invalicabili, nella conformazione e nei ruoli del processo penale (se, nonostante i principi della Battistella e della giurisprudenza successiva,  il P.M. non riconosce le esigenze segnalate dal GUP o dal giudice del dibattimento e si attiva una dinamica oppositiva, eventualità comprensibile e tutt’altro che infrequente ove il giudice si prenda la briga di segnalare i problemi di un atto riservato alla parte pubblica, non si cava un ragno dal buco).

Ma riguarda anche i giudici di primo e di secondo grado.

In primo grado, diversamente da quanto ha osservato Cavallone in relazione all’appello, sul piano della logica astratta è più semplice motivare un’assoluzione rispetto ad una condanna: per la semplice ragione che il sillogismo di condanna richiede la prova certa di tutti i passaggi necessari a sostenerla, mentre l’assoluzione può limitarsi ad evidenziare il solo passaggio mancante o solo incerto. Con il corollario, nella pratica concreta, dell’inclinazione a rimanere in superficie, per individuare il punto debole (o presunto tale) ed evitare una ricostruzione attenta del materiale istruttorio, anche quando l’Accusa non sia stata efficace nel presentarlo in giudizio o quando emergano carenze non irrimediabili.

Per i giudici di appello – premesso che le impugnazioni delle sentenze  assolutorie sono statisticamente assai rare, e che tuttavia ciò non è affatto un indice della loro migliore qualità rispetto alle condanne ma solo del minore interesse della parte pubblica, rispetto a quello del difensore, a sostenere e dimostrare la validità delle proprie scelte di esercizio dell’azione penale – le ragioni della frequente ed in alcuni casi sistematica riduzione delle pene inflitte in primo grado meritano una maggiore riflessione, ché tocca anch’essa le concezioni di ciascuno sulla funzione della giurisdizione.
Si affermano tesi secondo cui la Corte dovrebbe assicurare una sorta di omogeneità del trattamento sanzionatorio in tutti gli uffici del distretto.
Il principio, che nel suo astratto proponimento potrebbe anche essere condiviso (benché mi appaia alquanto limitativo, atteso che un potere analogo non è previsto a livello nazionale: limite che ne dimostra la non particolare utilità), nel concreto è però insuscettibile di operare correttamente.
Infatti, per effetto combinato della scarsità delle impugnazioni del P.M. e del divieto di reformatio in peius, esso è destinato quasi sempre a produrre risultati unilaterali (in melius) e giunge al paradosso di premiare le commisurazioni incongrue per difetto, unico parametro di uniformità distrettuale insuscettibile di essere riformato. In alcuni casi premia le scelte di qualificazione giuridica limitative (es. 73 c.5°), anche quando appaiono contrastare con i principi di legittimità.
Così operando tutto converge nel far girare sempre più veloce il motore del processo, ma limitando sempre di più la spinta sulle ruote.

Luca De Ninis


Da: CENTINI MATTEO
Inviato: sabato 3 febbraio 2018 19:49
A: Luciano Cavallone
Cc: De Ninis Luca; area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: Re: [Area] R: Proposte per l'appello

Al collega Cavallone dico...

La questione è iniziata su questa lista quando il Presidente Castelli ha detto che la Procura ha una percentuale di accoglimento intorno ad un modesto 30% (conteggiando nei non accoglimenti anche la prescrizione of course). Egli si riferiva a Brescia, dove mi risulta che i colleghi di primo grado vivano una situazione di estremo disagio, con numeri impressionanti (ma ovviamente è colpa loro).
Ora, non voglio scendere sul terreno della contrapposizione tra uffici, laddove riserve a palate ho spesso avuto - nella mia breve carriere - sulle decisioni dei colleghi giudicanti, Gip, monocratico, collegio e soprattutto appello e cassazione.
E ogni volta che ne ho avuto la possibilità ho fatto appello o ricorso in cassazione per ogni singolo passaggio, cautelare o di merito. Rammaricandomi davvero, al limite dell’insonnia, quando il codice non me lo consentiva, come in caso di rigetto di intercettazioni.
Ma non è questo il punto. Tutto ciò è fisiologico, anzi è una caratteristica fondamentale del nostro sistema, la dimostrazione plastica che la separazione delle carriere è una sciocchezza.
Il punto, secondo me, è che noto spesso come molti di noi (compreso tu) ritengano potersi prendere la loro giurisprudenza a metro del giusto e corretto. Al punto da dire che è colpa della Procura che non si adegua.
Ma non è mai colpa del giudice che concede le generiche che non ci stanno, magari equivalenti a mostruose recidive “perché altrimenti viene una pena troppo alta”, del giudice che in caso di continuazione applica aumenti omeopatici, dell’appello che cascasse il mondo abbassa la pena (e aspettiamo ansiosi il concordato).
Collega Cavallone mi fermo qui, ma posso dirti che sono così attento, io come moltissimi colleghi di Procura con cui ho lavorato e lavoro, a cosa accade “a valle” che se potessi seguirei i miei fascicoli anche in appello e soprattutto in cassazione, dove secondo me si sente la mancanza di un pubblico ministero.
Matteo

P.S. D’ora in poi quando avrò un dubbio ti interpellerò così da evitare di incomodare i gradi successivi


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Il giorno 03 feb 2018, alle ore 19:14, Luciano Cavallone <lucianocavallone a gmail.com<mailto:lucianocavallone a gmail.com>> ha scritto:
Al collega Centini che dice " È vero collega Cavallone è tutto colpa nostra... dicci cosa possiamo fare per rimediare", rispondo:
Fare le indagini. Punto.
Non è raro (qui da noi, non so altrove) assistere a processi dove testi decisivi non sono sentiti o consulenze indispensabili non sono espletate. E in appello non è che si possa giuridicamente far tutto (al di là dei mezzi).
La mia del resto era - forse è sfuggito - una risposta a chi diceva di abolire l'appello, perché QUELLO era il problema.
E poi, a qualcuno sembrerà normale che qui da noi e (mi pare) anche a Brescia 2/3 o addirittura 3/4 delle accuse portate innanzi al primo grado "muoiano" già lì: be', a me no.
E non sto nemmeno a pensare ai costi "privati" di chi incappa nel meccanismo.
Salvo non vogliamo dire che anche al primo grado siano "di manica larga" ...


Il giorno 3 febbraio 2018 16:44, CENTINI MATTEO <matteo.centini a giustizia.it<mailto:matteo.centini a giustizia.it>> ha scritto:
È vero collega Cavallone è tutto colpa nostra... dicci cosa possiamo fare per rimediare.
Matteo Centini
Procura PC


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Il giorno 03 feb 2018, alle ore 16:27, Luciano Cavallone <lucianocavallone a gmail.com<mailto:lucianocavallone a gmail.com>> ha scritto:
PS: e ciò senza considerare che, egoisticamente, in appello è molto più facile motivare la conferma, che la riforma (che, come noto, secondo la Cassazione richiede - a differenza della prima - una motivazione "rinforzata") ...

Il giorno 3 febbraio 2018 16:10, Luciano Cavallone <lucianocavallone a gmail.com<mailto:lucianocavallone a gmail.com>> ha scritto:
Scrive Felice Pizzi: " Da chi dipende tutto ciò ? Dai magistrati di appello, ..." e si propone di abolire il 2° grado.
Ciò, però, sull'assioma, evidentemente, dell'INFALLIBILITA' del primo grado.
Ma se valesse tale ragionamento, allora potrebbe dirsi (semplificando ancor più) di lasciare direttamente alle Procure di determinare condanne e pene (così non avremmo neppure quel 70% di mancate condanne in primo grado che io, grossolanamente, ho riscontrato anche su Taranto): anche questo, invero, potrebbe dipendere dai (troppo BUONI) giudici di prime cure (che non assecondano le richieste delle INFALLIBILI procure).
Se, invece, si iniziasse (esattamente al contrario) a non ingolfare i primi gradi con processi inutili e per nulla o (peggio) mal istruiti?
Forse sbaglierebbe meno il primo grado (che avrebbe un'enormità di carte in meno da gestire) e vi sarebbero meno riforme anche in appello.
Io non mi sentirei granché garantito da un sistema che, solo per fare un esempio, dopo il vaglio di Procura e Tribunale, giunge ad infliggere quasi 30 anni, in prime cure, in processi (ad es. per droga) in cui le prove (ad es. intercettazioni tutte da interpretare) sono a dir poco sbiadite; né mi sentirei garantito in un sistema nel quale larvate (davvero larvate, specie nel caos normativo che contraddistingue il nostro Paese, con antinomie ogni pie' sospinto) violazioni di legge AMMINISTRATIVE, nonostante la ormai ventennale riforma del 323 cp, continuano a generare, per AUTOMATICA conseguenza, l'intervento punitivo del giudice penale.
Insomma, in poche parole:
siamo sicuri che tutto ciò dipenda dal BUONISMO del secondo grado e non da INCAPACITA' del primo (o prima ancora, da chi mal istruisce i processi)?
Luciano Cavallone - Corte Appello Taranto
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Il giorno 3 febbraio 2018 13:13, De Ninis Luca <luca.deninis a giustizia.it<mailto:luca.deninis a giustizia.it>> ha scritto:
Su questo tema concordo integralmente con la lettura del collega Pizzi.
Mi pare che le tesi che conducono al conformismo delle decisioni ed alla ineffettività della giurisdizione penale, da sempre prevalenti a livello della politica giudiziaria, siano sempre più dominanti anche a livello della “cultura della giurisdizione”.
Non credo che sia un bene, né per il singolo magistrato né per la magistratura nel suo complesso.
Banalizzando, a me pare incredibile che non sia degno di nota e neppure interessi il seguente problema:
« ma se circa il 70% delle decisioni di primo grado sono di proscioglimento/assoluzione ed il 65% del restante 30% (quindi l’ulteriore 20% sul totale, per un complessivo 90%) sono riformate quanto meno in relazione alla pena ci sarà qualcosa che non funziona in termini di efficacia dell’accertamento giudiziario e della risposta punitiva? O siamo un Paese in cui si delinque solo in via residuale ed occasionale? »

Luca De Ninis


Da: Area [mailto:area-bounces a areaperta.it<mailto:area-bounces a areaperta.it>] Per conto di thorgiov
Inviato: giovedì 1 febbraio 2018 16:54
A: area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: Re: [Area] Proposte per l'appello


Hai scritto di aver riscontrato : Un tasso di riforme nel penale preoccupante: un tasso di sentenze riformate del 64,75 %, anche se solo circa il 10 % con riforma della decisione in punto di responsabilità.

Questo significa che l'appello ha assunto una precisa funzione : garantire comunque all'imputato, male che vada, una diminuzione della pena applicata in primo grado.  Da chi dipende tutto ciò ? Dai magistrati di appello, i quali si lamentano pure  del numero spropositato di impugnazioni. Ma se l'imputato ha una aspettativa più che favorevole dell'esito della impugnazione, per quale motivo non dovrebbe appellare ? Ribadisco pertanto che l'unica soluzione efficace sarebbe quella di abolire il secondo grado di giudizio. Almeno così non ci sarebbero più sentenze riformate, soprattutto nella determinazione della sanzione.

FELICE   PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )

Il 01/02/2018 11:51, Claudio Castelli ha scritto:
Le Corti di appello sono diventate un punto di fortissima crisi del sistema ed è necessario un forte intervento sia come organici del personale ( il rapporto tra magistrati ed addetti amministrativi non arriva mai a 2, mentre ad esempio nei Tribunali normalmente è 3,5), sia come rito, sia culturale.

Culturale perché le Corti scontano di essere l’ultimo passaggio nel merito di una filiera che nel penale parte dalle Procure, in cui troppo spesso l’Ufficio a monte si disinteressa semplicemente di quanto avviene a valle negli altri uffici.

Tra l’altro avremmo bisogno di dati certi ed affidabili sul piano nazionale.

Nel mio osservatorio del distretto di Brescia ho riscontrato una serie di dati interessanti che sfatano molti luoghi comuni:



-          Un tasso di impugnazioni in fin dei conti limitate: 25,96 % nel civile, 24,49 % nel lavoro e 23,08 % nel penale.

-          Un tasso di riforme nel penale preoccupante: un tasso di sentenze riformate del 64,75 %, anche se solo circa il 10 % con riforma della decisione in punto di responsabilità.

-          Un tasso di condanne in primo grado nei procedimenti monocratici molto basso (circa il 30 %).

Se cominciassimo a valorizzare gli uffici anche per la capacità di resistenza delle decisioni ( come in realtà già esiste sulla carta nelle valutazioni di professionalità dei singoli magistrati) probabilmente faremmo dei passi avanti.

Per finire mi limito a rappresentare che sono del tutto contrario al passaggio al monocratico in appello.

Il collegio, se vero, ha un grande valore non solo di confronto, ma anche di mantenere una certa omogeneità giurisprudenziale.

Abbandonare il collegio vuol dire semplicemente cedere a sirene produttivistiche che alla fine fanno guadagnare ben poco.

Non solo, ma nel penale il problema per cui non si fanno più udienze non deriva dalla presenza del collegio, ma dalla mancanza di assistenti per le udienze e di cancellieri e funzionari per la fase dell’esecuzione.

Fare più udienze in situazioni come la Corte di Brescia dove c’è una scopertura del 35 % del personale è semplicemente impossibile.

Non solo, ma un problema comune a quasi tutte le Corti è l’imponente arretrato (migliaia nel migliore dei casi) di sentenze in attesa di esecuzione. Aumentare il numero dei provvedimenti vuol dire incrementare la crisi, non dare delle soluzioni.

Si tratta di elaborare un pacchetto di proposte, senza pensare che una possa essere risolutiva (a meno di abolire l’appello, che però appare scelta difficile a fronte del numero di sentenze riformate), ma che nel loro complesso possano invertire una tendenza oggi negativa.



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