[Area] R: R: QG - Le argomentazioni discutibili dei laici “soft”, tra etica e diritto

Stefano Calabria stefano.calabria a giustizia.it
Ven 18 Dic 2020 10:12:39 CET


Ho letto con interesse quanto ha scritto Mario Ardigò.
Intervengo solo su un punto, di natura storica. Per chi non sia interessato c’è il tasto Canc. 
Mario Ardigò scrive: “Il forte clericalismo italiano si deve all'azione politica del Papato romano, che negli anni '30 si compromise con il fascismo mussoliniano”.
Io non credo che sia stato così.
Mussolini, appena andato al potere, assunse provvedimenti molto graditi alla Chiesa, come l’obbligo del crocifisso nelle scuole e nelle aule giudiziarie. I patti lateranensi del 1929, poi confermati dalla Costituzione del 1948, furono molto utilizzati dal fascismo per l’edificazione del consenso sociale. Ed è innegabile che nella penisola il clero spesso interveniva per aprire\benedire adunate e raduni politici e militari.
E però negli anni ‘30 vi furono forti momenti di contrasto tra Pio XI e il fascismo, su aspetti non banali. Il più noto ed eclatante fu quello relativo al ruolo dell’Azione cattolica ed alla possibilità di preservarne azioni e funzioni nell’ambito dello Stato totalitario che il fascismo stava costruendo. Il contrasto fu forte ed espresso ed arrivò alla promulgazione nel 1931 di un’enciclica (“Non abbiamo bisogno”), molto dura non solo nei riguardi della decisione del fascismo di procedere allo scioglimento dell’azione cattolica ma anche dei presupposti ideologici che ne erano a fondamento.
Pio XI non era fascista, in alcun modo, ed anzi avversò il nazionalismo fascista.
Ancor di più, Pio XI fu ostile al nazismo, come testimonia l’enciclica “Mit brennender sorge” (fatta stampare in clandestinità e letta dal pulpito in tutte le Chiese tedesche senza informare il regime, che infatti reagì a modo suo) ed il comportamento tenuto dal Papa quando Hitler nel 1938 fu a Roma: se ne andò a Castelgandolfo e rifiutò di incontrarlo.
La voce di Pio XI fu una delle poche a levarsi in Italia contro le leggi razziali: “siamo diventati un branco di pecore stupide, io mi vergogno, ma non come Papa, come italiano. Ah ma io parlerò, vedrete se parlerò...”, così disse in un incontro privato, mi pare con un gruppo di suore. Ed in varie occasioni manifestò la sua distanza dal nazionalismo e dal razzismo del fascismo. Mussolini non lasciò correre la cosa, tant’è che gli fece giungere, tramite mons. Tarchi Venturi, messaggi di natura minatoria.
L’ostilità di Pio XI verso le leggi razziali non fu un mugugno interiore, visto che, su espressa volontà e richiesta del Papa, in Vaticano si stava redigendo un’enciclica di contenuto apertamente antirazzista, tesa a rivendicare l’unità del genere umano. 
L’enciclica fu scritta e la sua bozza la si può oggi leggere. Proprio in quel frangente, mentre quella bozza era in fase di approfondimento e di revisione, Pio XI morì e Pio XII, il suo segretario di Stato che gli subentrò, non ritenne di pubblicarla e la lasciò nel cassetto.
Sui “silenzi di Pio XII”, invece, molto si potrebbe scrivere ... ma non vado oltre.

Un caro saluto a tutti.

Stefano  Calabria


From: mario ardigo 
Sent: Thursday, December 17, 2020 10:01 PM
To: 'Mario Ardigo'' ; 'area' ; Pietro Mondaini 
Subject: Re: [Area] R: R: QG - Le argomentazioni discutibili dei laici “soft”, tra etica e diritto


  Il laicismo è l'avversione per la dimensione pubblica di una fede. Nella nostra Costituzione repubblicana non c'è, naturalmente, poiché fu scritta in gran parte da cristiani.  C'è, anzi, il suo opposto, all'art.19. 
Il sacro è stato certamente connaturato alle religioni, ma non solo ad esse. 
Il cristianesimo fu all'esordio potentemente desacralizzante. Fu infatti accusato di ateismo. Gli storici dell'arte lamentano le tremende distruzioni desacralizzanti che i primi cristiani provocarono al patrimonio artistico antico, in particolare tagliando le teste delle statue degli dei, un po' al modo degli attuali talebani. Costituitosi in religione e divenuto l'ideologia politica dell'Impero romano recuperò elementi sacrali e l'antico teismo, che vennero ritualizzati nelle liturgie bizantine, le quali fecero scuola anche nell'Europa occidentale. Sono il modello di ogni splendore liturgico cristiano. Ma come il religione il cristianesimo si mantiene instabile nelle sue sacralizzazioni, nonostante l'immane violenza politica impiegata per affermarle politicamente. Valdo di Lione e Francesco d'Assisi possono considerarsi esponenti di correnti desacralizzanti. Il Papato romano come istituzione   è invece pervaso di rilevanti elementi sacralizzanti, così come il culto delle reliquie e la spiritualità visionarie e dei santuari. Le monarchie europee furono, e quelle residue sono, fortemente sacralizzate secondo la religione cristiana. Il modello dello stato laico ma non laicista è quello degli Stati Uniti d'America. Il modello francese è laicista perché avversa la dimensione pubblica della fede. Quello italiano è laico, ma pervaso di clerico-fascismo. Il forte clericalismo italiano si deve all'azione politica del Papato romano, che negli anni '30 si compromise con il fascismo mussoliniano. In Italia il problema non è il laicismo, politicamente minoritario, ma il persistere del clerico-fascismo, che si avverte nella confusa neo-ideologia sovranista corrente. 
Non si può essere moderatamente cristiani. Al centro della fede cristiana c'è infatti l'agàpe che è una forma di convivenza solidale, benevola e misericordiosa che si espande in tutte le direzioni, non il fondamentalismo teistico, liturgico o dottrinale. Il fondamento è agàpe, è scritto. L'agàpe è universalizzante, supera ogni legge, è ciò che resta e che è più grande. Il cristiano non è un credente, in realtà, ma un praticante e ciò che pratica (o dovrebbe) è l'agàpe. Il problema del teismo rimane sullo sfondo e il cristiano è uno che dice: Dio nessuno l'ha mai visto, e questo nonostante la formulazione dottrinaria teistica del suo Credo, risalente a teologi di corte del Quarto/Quinto secolo.  E ciò, sul punto, Dio nessuno l'ha mai visto, conclude il discorso. Come religione, poi, la spiritualità cristiana è certamente pervasa di teismo. Ma i grandi maestri di spiritualità, come Giovanni della Croce e Ignazio di Lojola insegnano a farne a meno. La fede cristiana è un salto nel buio, scrisse Rahner. E' uno che urla nella notte e nessuno risponde (dal film Il Settimo sigillo di Bergman).
  Con l'Islam europeo la faccenda è completamente diversa. La fede religiosa c'entra poco. Esso si connota come un movimento resistenziale politico. C'entra poco la questione del  soprannaturale, su cui si affannano i laicisti. E' anzitutto un movimento politico e la sua sacralizzazione, anche liturgica  e di abbigliamento,   è una forma di resistenza. A chi? A noi europei di più antica stirpe, che in realtà, Italia a parte e forse anche Polonia a parte, il cristianesimo l'abbiamo in gran parte abbandonato come religione, in Europa la pratica è del 5% circa se ben ricordo,  anche se il nostro costituzionalismo ne è ancora pervaso, benché se ne sia persa consapevolezza. Resistenza, dicevo, contro noi europei che colonizzammo le nazioni islamiche umiliandole duramente, e tuttora pretenderemo di farlo con i migranti che ci arrivano da quelle popolazioni. Ma in particolare in Francia. Le periferie disperate delle città francesi sono in gran parte abitate da ex colonizzati che si trovano in condizioni di emarginazione. Ad essi ancora la Francia oppone una propria mitologia imperiale. In Italia questo non c'è. In Irlanda del Nord si  è avuto qualcosa di simile tra i cattolici: lì il confessionalismo cattolici ha avuto ed ha ancora caratteri resistenziali contro la mitologia imperiale britannica, colorata di anglicanesimo. Da quelle parti gli orangisti irridevano i cattolici un po' come si è fatto con l'Islam, e corse del sangue, tra cristiani. Nei durissimi anni '70, l'epoca dei Troubles nel nord, mi stupii però di trovare a Dublino, nel sud, una situazione assolutamente tranquilla tra protestanti e cattolici, a riprova che il problema non era religioso, ma politico. 
  Senza dubbio l'Islam europeo perderà i connotati sacralizzanti che ha in Africa e in Asia. E' un processo culturale sicuro, fatale, ma ci vorrà tempo e soprattutto esso verrà favorito dalla progressiva integrazione sociale degli immigrati. Essa richiede l'abbandono di costumi aggressivi di irrisione e di deliberata blasfemia, che si abbattono, badate bene, non sui dominatori della società francese, ma sugli emarginati. Mi pare che sia dura da ottenere, proprio come appare, ad esempio,  l'abbandono dell'abitudine di umiliare, anche irridendoli, gli omosessuali. 
Mario Ardigò
Il giovedì 17 dicembre 2020, 11:59:12 CET, Pietro Mondaini <pietro.mondaini a giustizia.it> ha scritto: 


L’articolo mi sembra condivisibile. La sacralità è per il vero veicolata dalla religione nella dimensione pubblica, senza la quale potrebbe darsi solo un’indistinta spiritualità, che può ben prescindere da dogmi e regole più o meno diffusi e che, come dimostrano le filosofie orientali, può essere esercitata semplicemente con l’acquisizione di specifiche e consolidate “tecniche” di meditazione individuale. Quando assume la forma della religione organizzata non può che porsi sullo stesso piano delle ideologie perché incide nelle società.

In questa ottica non c’è differenza tra religione e ideologie e il concetto di sacro può egualmente attagliarsi ad entrambe tali categorie. Se, quindi, l’affermazione del principio di libera espressione del pensiero impone di accettare critiche, di qualsivoglia natura, anche nella forma della irrisione, rispetto alle costruzioni ideologiche (e relativi dogmi), questo dovrebbe essere ammesso anche relativamente alle forme nelle quali si esprimono le religioni organizzate. Non c’è alcun motivo, quindi, di assegnare ai sistemi religiosi un regime particolare e privilegiato rispetto ai sistemi ideologici. Se si vuole mantenere il principio della libertà di pensiero occorre pertanto cambiare prospettiva. Le persone sono da rispettare perché titolari di precisi diritti umani, non i loro pensieri, perché i pensieri, di per sé stessi, non sono titolari di diritti.

Appare quindi arbitrario pensare che non si possa sottoporre a critica un sistema religioso perché in tal modo si offendono i sentimenti di chi aderisce a tale sistema e, viceversa, debba essere consentito criticare un sistema ideologico senza preoccuparsi di offendere il sentimento ideologico dei relativi portatori: non c’è alcun motivo di privilegiare l’uno rispetto all’altro. Le religioni, così come le ideologie, sono fenomeni naturali e, a ben vedere, originano dalle stesse dinamiche di quella che è stata definita “psicologia popolare” (Dennett). Personalmente trovo che la distinzione tra laicismo e laicità non abbia ragion d’essere. Si tratta di una distinzione che, a ben vedere, è stata ideata in ambiti confessionali ed è proprio funzionale ad una esigenza di tutela privilegiata del sentimento religioso. Laicità e laicismo sono in realtà sinonimi ed esprimono posizioni di pensiero che prescindono da una dimensione metafisica che, in quanto del tutto soggettiva, non dovrebbe avere impatto generale sulla società in quanto tradotto in norme giuridiche.

Si distingue laicità e laicismo, nella sostanza, così come si distingue la moderazione religiosa dal fondamentalismo. In realtà, così come laicismo e laicità sono la stessa cosa, anche moderazione religiosa e fondamentalismo sono la stessa cosa.

Se si vuole abbracciare l'idea che ognuna delle nostre religioni rappresenti la parola infallibile dell'"unico vero Dio" bisogna ammettere di non avere alcuna conoscenza enciclopedica della storia, della mitologia e persino dell'arte: le cre­denze, i rituali e l'iconografia delle varie religioni, infatti, testimoniano una con­taminazione reciproca che affonda le radici nei secoli. A prescindere dalla loro ori­gine, le dottrine alla base delle religioni moderne non sono più difendibili di quel­le che, per mancanza di adepti, finirono nel dimenticatoio della mitologia millen­ni or sono. Le prove in grado di giustificare l'esistenza effettiva di Jahvè e di Satana non sono più convincenti di quelle che volevano Zeus appollaiato in cima a una montagna e Poseidone ad agitare i mari.

Molti credono che la Bibbia sia letteralmente la parola inconfutabile del Creatore dell'universo, che sia la parola "ispirata" da quest'ultimo - altrettanto infallibile - anche se alcuni dei suoi passi devono essere interpretati simbolicamente perché emerga la verità che vi è contenuta. Pochi religiosi si spingono a mettere in dubbio che un Dio in carne e ossa, nella sua infinita saggezza, abbia scritto o “ispirato” quel testo o, analoga­mente, abbia creato la Terra con le sue 250.000 specie di scarafaggi. Molti credono che Dio abbia guidato la creazione nel corso di milioni di anni e ciò significa che collocano il Big Bang 2.500 anni dopo che i babilonesi e i sumeri avevano imparato a preparare la birra. Molti credono che un libro privo tanto di unità stilistica quanto di coerenza interna sia stato scritto da una divinità onnisciente, onnipotente e onnipresente. Se si interpellassero gli indù, i musulmani e gli ebrei di tutto il mondo sicuramente si otterrebbero risultati analoghi. Ciò rivela che il genere umano, nel corso del suo sviluppo, è stato inebriato quasi completamente dai suoi miti. Come è potuto accadere che in questo ambito particolare della nostra vita ci siamo convinti che le nostre credenze sul mondo possano fluttuare liberamente senza prove concrete e senza fare appello alla ragione?

È proprio sullo sfondo di questo scenario cognitivo piuttosto sorprendente che dobbiamo decidere cosa significhi essere religiosi moderati nel XXI secolo. I moderati di ogni fede, per poter vivere serenamente nel mondo moderno, sono tenuti a interpretare in modo non rigido (o semplicemente a ignorare) molte delle regole che queste prescrivono. Indubbiamente in questo caso entra in gioco un'oscura verità economica: sembra che le società tendano a diventare notevol­mente meno produttive quando un numero elevato di persone smette di fabbri­care oggetti e inizia a uccidere clienti e creditori eretici. In primo luogo va osser­vato che il rifiuto di un'interpretazione letterale delle scritture da parte dei mode­rati non deriva da indicazioni contenute nelle scritture stesse, ma piuttosto da svi­luppi culturali che hanno reso difficile accettare la parola divina in molti suoi pre­cetti. La moderazione religiosa, poi, è ulteriormente rafforzata dal fatto che la maggioranza dei cristiani non legge la Bibbia nella sua interezza e di conseguenza non ha idea della veemenza con cui il Dio di Abramo vuole che l'eresia venga sradicata. Se si legge il Deuteronomio si nota che quel Dio ha le idee ben chiare su cosa fare se vostro figlio o vostra figlia torna a casa dopo una lezio­ne di yoga difendendo il culto di Krishna.

Oggigiorno, l'unico motivo per cui si può essere "moderati" in materia di fede è il fatto di aver assimilato almeno in parte le conquiste di duemila anni di pensiero: la democrazia in ambito politico", il progresso scientifico in ogni campo, l'interesse per i diritti umani, la fine dell'isolamento culturale e geogra­fico, ecc. Le porte che conducono al di fuori del significato letterale delle Scritture non si aprono dall'interno.

La moderazione che possiamo osservare tra i non fondamentalisti non è in alcun modo indice del fatto che la fede stessa si sia evoluta. E piuttosto frutto delle molte mazzate della modernità, che hanno messo in dubbio i dogmi della fede. Non ultimo tra tali sviluppi l'emergere della tendenza ad avvalorare le prove effettive e a credere a un concetto nella misura in cui questo possa essere dimostrato. Persino molti fondamentalisti, da un simile punto di vista, conduco­no un'esistenza razionale. Solo che le loro menti sembrano essere state divise a metà per ospitare le verità scellerate sostenute dalla loro fede. Dite a un cristiano devoto che sua moglie lo tradisce o che lo yogurt ghiacciato può rendere invisibi­le un uomo e anche lui probabilmente ve ne chiederà le prove come chiunque altro e se ne convincerà nella misura in cui gliele fornirete. Ditegli che il libro che tiene sul comodino è stato scritto da una divinità invisibile che lo punirà con le fiamme eterne dell'inferno se non accetterà la sua incredibile concezione dell'uni­verso, e costui non ne chiederà alcuna prova o dimostrazione.

La moderazione religiosa scaturisce dal semplice fatto che persino l'individuo meno istruito della nostra società, riguardo a certi argomenti, possiede più cono­scenze di tutte le persone vissute 2.000 anni fa, e molte di queste sono incompa­tibili con le Scritture. Avendo una qualche idea delle scoperte della medicina negli ultimi 100 anni, molti di noi non identificano più le malattie col peccato e con le possessioni demoniache. Dal momento che conosciamo le distanze effet­tive tra i corpi celesti, gran parte di noi (o meglio, circa la metà di noi) non ritie­ne credibile l'idea che l'universo sia stato creato 6.000 anni fa, quando la luce delle stelle era già diretta verso la Terra. In ultima istanza, tali concessioni alla modernità suggeriscono due ipotesi: o esiste una effettiva incompatibilità tra ragione e fede, o le nostre tradizioni religiose in linea di principio sono impene­trabili a nuove forme di conoscenza. Oggi sembra prevalere l'utilità di ignorare, o "reinterpretare", alcuni articoli di fede. Chiunque sia stato costretto a volare in una città lontana per subire un intervento chirurgico ammette, almeno tacitamente, che abbiamo imparato qualche nozioncina di fisica, geogra­fia, ingegneria e medicina dai tempi di Mosè.

Anche se la moderazione religiosa può sembrare una posizione ragionevole da difendere, alla luce di quello che abbiamo (e di quello che non abbiamo) appreso sull'universo essa non erge alcuna barriera contro l'estremismo religioso e la vio­lenza di matrice religiosa. Dal punto di vista di coloro che tentano di vivere seguen­do alla lettera le Scritture, un religioso moderato non è altro che un fondamentali­sta mancato. Con tutta probabilità egli è destinato a finire all'inferno insieme al resto dei miscredenti. La moderazione religiosa solleva un problema che coinvolge tutti noi: non permette di dire nulla di troppo critico nei confronti di un'interpreta­zione puramente letterale delle Scritture. Non possiamo affermare che i fondamen­talisti siano pazzi, poiché non fanno altro che mettere in pratica la loro libertà di culto. E non possiamo nemmeno dire che siano in errore in termini religiosi, in quanto, generalmente, non hanno rivali nella conoscenza delle Scritture. Tutto quel­lo che possiamo dire, da religiosi moderati, è che non ci vanno a genio i costi per­sonali e sociali che dovremmo sostenere abbracciando pienamente le Scritture. Non si tratta di un nuovo genere di fede, né di un nuovo tipo di esegesi delle Scritture. È semplicemente una capitolazione al cospetto di una varietà di interessi eminen­temente umani, che in linea di principio non hanno nulla a che vedere con la religione.

La moderazione religiosa deriva dalla conoscenza "secolare" del mondo e dalla non conoscenza delle Scritture e, in termini religiosi, non si caratterizza per quella "buona fede" che la renderebbe analoga al fondamentalismo.

I testi stes­si non lasciano ombra di dubbio: sono perfetti in ogni loro parte. Alla luce di questi, la moderazione religiosa non sembra altro che il rifiuto di assoggettarsi completamente alla legge di Dio. Scegliendo di non vivere seguendo alla lette­ra i testi sacri, pur tollerando l'irrazionalità di coloro che lo fanno, i religiosi moderati tradiscono tanto la ragione quanto la fede. A meno che non vengano chiamati in causa i dogmi cardine della fede - per esempio il fatto che sappiamo che Dio esiste, e che sappiamo cosa vuole da noi - i moderati non faranno nulla per sottrarci alle nostre convinzioni.

L'atteggiamento benevolo di gran parte dei religiosi moderati non implica che la fede religiosa sia qualcosa di più sublime di un disperato matrimonio tra spe­ranza e ignoranza, né ci dispensa dal pagamento di un prezzo terribile per limita­re l'influsso della ragione nelle relazioni con gli altri esseri umani. La moderazio­ne religiosa, nella misura in cui rappresenta il tentativo di aggrapparsi a quanto è ancora utilizzabile della religione ortodossa, sbatte la porta in faccia ad approcci più complessi alla spiritualità, all'etica e alla costruzione di comunità coese. Pare che i religiosi moderati credano che ciò di cui abbiamo bisogno non siano un ap­profondimento e un rinnovamento radicali in questi campi, ma piuttosto un sem­plice annacquamento della filosofia dell'Età del Ferro e del medioevo islamico. Anziché portare tutta la forza della nostra creatività e razionalità a incidere sui problemi dell'etica, della coesione sociale e persino dell'esperienza spirituale, i moderati ci chiedono sem­plicemente di allentare i nostri legami con le antiche superstizioni e gli antichi tabù, pur conservando un sistema di credenze che ci è stato tramandato da uomi­ni e donne le cui vite erano semplicemente devastate da un'ignoranza di base sul mondo. In quale altro ambito si accetterebbe una tale subordinazione alla tradizio­ne? La medicina, l'ingegneria? Neppure la politica soffre degli anacronismi che dominano ancora il nostro pensiero in fatto di valori etici ed esperienza spirituale.

Immaginate che sia possibile riportare in vita un cristiano ben istruito del XIV secolo. Quell'uomo si rivelerebbe un perfetto ignorantone in ogni campo, ma non in fatto di fede. Le sue credenze in merito alla geografia, all'astronomia e alla medicina metterebbero in imbarazzo persino un bambino, ma egli saprebbe più o meno tutto quello che c'è da sapere su Dio. Anche se verrebbe ritenuto un idiota perché è convinto che la Terra sia piatta, o che la trapanazione del cranio per la fuoriuscita del Male costituisca un inter­vento medico saggio, le sue idee religiose anche oggi sarebbero ineccepibili.

Ciò si può spiegare in due modi: o abbiamo raggiunto la perfezione in fatto di comprensione religiosa del mondo già un millennio fa - mentre la nostra conoscen­za in tutti gli altri campi era ancora disperatamente indefinita - o la religione, essen­do la mera conservazione di un dogma, è un ambito che non ammette il progresso. Molti elementi fanno propendere per la seconda ipotesi.

Anno dopo anno, le nostre credenze religiose conservano sempre più dati sul­l'esperienza umana? Se la religione si rivolge veramente alla sfera della conoscen­za e dei bisogni dell'uomo, allora deve essere suscettibile di progresso. Le sue dot­trine devono diventare sempre più utili, e non il contrario. Come in altri ambiti, nella religione il progresso deve essere oggetto di indagine nel presente, non una semplice ripetizione delle dottrine del passato. Tutto ciò che viene considerato vero oggi dovrebbe essere anche suscettibile di una spiegazione, nonché descrivi­bile in termini che non costituiscano un totale affronto a tutte le altre conoscenze che abbiamo sul mondo. In quest'ottica, la religione nel suo complesso appare del tutto arretrata. Non è in grado di sopravvivere alle trasformazioni culturali, tecnologiche e persino nel campo dell'etica. Se non la pensiamo così, ci sono poche ragioni di credere che noi riusciremo a sopravviverle.

I moderati non vogliono uccidere nessuno nel nome di Dio, ma non vogliono che si esprimano opinioni troppo critiche nei confronti delle persone che credono veramente nel Dio dei loro avi, in quanto la tolleranza è sacra forse più di ogni altra cosa. Parlare apertamente e in modo veritiero della condizione del mondo in cui viviamo - per affermare, per esempio, che la Bibbia e il Corano contengono entrambi, tra le righe, idee contrarie alla vita - è un atto antitetico alla tolleranza (così come viene concepita dai moderati). Tuttavia non possiamo più permetterci il lusso di essere politicamente corretti a tal punto. In ultima analisi, dobbiamo renderci conto di quale prezzo stiamo pagando per preservare l'iconografia della nostra ignoranza.







Da: Area [mailto:area-bounces a areaperta.it] Per conto di Mario Ardigo'
Inviato: giovedì 17 dicembre 2020 09:56
A: area
Oggetto: [Area] R: QG - Le argomentazioni discutibili dei laici “soft”, tra etica e diritto



La laicità  è concetto politico. Equivale a secolarizzazione e a desacralizzazione. Significa che nulla deve essere sottratto al dibattito politico, che è quello per il governo della società. 

  Fino ai primi vent’anni del Novecento la sacralizzazione nei sistemi politici di cultura europea si è fatta prevalentemente su base religiosa. Dal Novecento anche su altre basi ideologiche. Il fascismo italiano, che nacque come anticlericale e antireligioso, impose, ad esempio,  una propria sacralizzazione non fondata su una religione. Anche la persona stessa del Mussolini fu sacralizzata. 

  L’Islam è un complesso di sistemi politici fortemente sacralizzati su base religiosa. E’ veicolato da popolazioni che stanno migrando in Europa. Impatta fortemente con il laicismo francese, che è una diversa forma di sacralizzazione e ha  ragioni storiche. La tendenza delle culture europee, che sono ancora egemoni nel mondo, è però  verso una progressiva desacralizzazione. In Germania e Italia la desacralizzazione del laicismo è molto evidente, e anche qui ve ne sono ragioni storiche. Le popolazioni islamiche immigrate tra popoli di cultura europea assorbiranno sicuramente  nelle loro culture la desacralizzazione: questo è fatale, ma sarà un processo lungo, sebbene non lunghissimo. L’antropologa Margaret Mead ne studiò a lungo uno simile tra la popolazione dell’isola di Manus, nell’arcipelago della Isole dell’Ammiragliato, al largo della Nuova Guinea, venuta in contatto con culture europee negli anni Venti del Novecento. Il processo era compiuto quando vi ritornò nel ’53, dopo soli venticinque anni.  Ne scrisse nel libro Growing up in New Guinea, del 1956, pubblicato  da Bompiani nel ’67 e da Garzanti nel 1973, con il titolo Crescita di una comunità primitiva. 

Nel frattempo, bisogna capire che l’irrisione della cultura sacralizzata altrui ha una portata politica, non religiosa.  Molte popolazioni di cultura islamica sacralizzata che ora danno migranti in Europa sono state a lungo duramente  sottomesse dai colonizzatori francesi. Quell’irrisione è vissuta ora come un modo diverso di tentare di sottometterle. Tra loro la sacralizzazione ha dunque portata resistenziale. Bisogna sviluppare una cultura della convivenza che comporti la rinuncia politica a quell’irrisione. Questo asseconderà la desacralizzazione di natura resistenziale. E’ ciò che si sta tentando di ottenere in Italia riguardo agli atteggiamenti verso l’omosessualità.

Si può vivere senza sacralizzazione? Finora non ci si è riusciti. Anche nelle società democratiche avanzate osserviamo sacralizzazioni. E’ su questa base che, ad esempio, l’Europa ha abolito la pena di morte. Ma potrei portare molti altri esempi di sacralizzazione che nulla hanno a che fare con fedi religiose. 

Al centro della sacralizzazione non c’è una fede religiosa ma il sacro. Il sacro   è un valore, un oggetto, una persona, un rito, un costume sociale che è sottratto alla libera discussione, che non può essere messo in discussione pena gravi conseguenze: una decisione politica. 

Mario Ardigò



Da: Area <area-bounces a areaperta.it> Per conto di Questione Giustizia - Redazione
Inviato: giovedì 17 dicembre 2020 09:05
A: area <area a areaperta.it>; europa <europa a magistraturademocratica.it>; Iscritti <Iscritti a magistraturademocratica.it>; mailinglist-anm <mailinglist-anm a associazionemagistrati.com>; nuovarea <nuovarea a nuovarea.it>; penale <penale a magistraturademocratica.it>
Oggetto: [Area] QG - Le argomentazioni discutibili dei laici “soft”, tra etica e diritto



Nel confronto di idee che ha fatto seguito all’orrenda decapitazione dell’insegnante francese Samuel Paty, ha sempre più peso, in Francia come in Italia, la posizione che considera la laicità “alla francese” troppo radicale e provocatoria, e chiede che venga temperata e ridimensionata. Ma il problema che pongono gli interventi francesi e italiani a favore di una laicità soft è che non definiscono in cosa tale laicità meno “aggressiva” dovrebbe consistere e quali misure la realizzerebbero.

di Françoise Longy

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