[Area] Su improcedibilità, criteri di priorità e nuovo volto della pena
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Mar 27 Lug 2021 10:28:18 CEST
PROCESSO PENALE: CAMBIARE SÌ. MA COME?
- Su improcedibilità, criteri di priorità e nuovo volto della pena -
_Una riforma necessaria, ma verso quale prospettiva? Per un processo dai
tempi ragionevoli che coniughi efficienza e complessità, contro le
derive economiciste che misurano la giurisdizione in termini di mera
produttività numerica, dietro alla quale si possono celare gravi
ingiustizie._
Il Parlamento discute in questi giorni il disegno di legge sulla riforma
del processo penale [AC-2435] e gli emendamenti ad esso apportati dal
Governo.
I dati statistici confermano l'ineludibilità di una riforma. Ne offrono
conferma i dati riportati nell'ultima relazione svolta all'inaugurazione
dell'anno giudiziario 2021.
Il numero di affari pendenti è - da anni - straordinariamente alto. Il
numero di prescrizioni dichiarate dall'autorità giudiziaria procedente,
anche: nel 2019, prima della _pandemia_, il dato nazionale era pari
all'8,7%; nelle corti di appello - dato nazionale - le prescrizioni
dichiarate risultano pari al 25,8% delle definizioni (e sappiamo che
tale dato ha un'incidenza diversamente distribuita sul territorio
nazionale). L'udienza preliminare è incapace di esercitare la funzione
di "filtro" che le era assegnata nel disegno originario del codice (così
la Commissione Lattanzi: «i dati statistici sono impietosi e dimostrano
che, nei casi in cui l'udienza preliminare si conclude con un rinvio a
giudizio - ossia nel 63% dei casi - essa genera un aumento di durata del
processo di primo grado di circa 400 gg. Complessivamente, l'udienza
preliminare filtra poco più del 10% delle imputazioni per i processi nei
quali è prevista e non incide peraltro in modo significativo sul tasso
dei proscioglimenti in dibattimento). La durata media dei procedimenti è
preoccupante e - quanto ai giudizi di appello - straordinariamente
elevata (durata media al giugno 2019, pre-pandemia: 840 giorni; e
sappiamo che la durata media dei procedimenti di appello è diversamente
distribuita sul territorio nazionale).
Non solo. La fotografia di un sistema penale inefficiente è restituita
anche dai dati relativi alla c.d. _popolazione carceraria_: al 30 giugno
2021, il numero di detenuti presenti (oltre 53mila) è superiore alla
capienza regolamentare (oltre 51mila); dei detenuti presenti, circa il
30% non è irrevocabilmente condannato e, tra essi, il 15% è ancora in
attesa di una condanna di primo grado.
Si tratta di dati che dimostrano che l'attuale processo penale non è in
grado di assicurare il fine per cui esso esiste e che lo legittima:
accertare i fatti e offrire una verità processuale in tempi ragionevoli.
Un simile quadro impone di intervenire. Non solo perché è necessario
rispettare il cronoprogramma associato al PNRR; ma perché - prima di
esso - lo impongono l'art. 111 Cost. e l'art. 6 della Conv. Edu.
Alcuni interventi sarebbero ineludibili e preziosi per porre mano alle
criticità: sarebbe indispensabile un massiccio potenziamento organici:
secondo il rapporto CEPEJ 2020, il numero di giudici professionali in
rapporto a 100.000 abitanti (11,6) è straordinariamente inferiore alla
media registrabile nei Paesi membri del Consiglio d'Europa (21,4).
Analogo dato si registra guardando ai pubblici ministeri professionali:
il dato italiano, 3,7 PM ogni 100mila abitanti è meno di un terzo del
dato medio Paesi membri del CoE: (12,13); altrettanto indispensabile
sarebbe una coraggiosa revisione della geografia giudiziaria (ancor più
necessaria ove dovesse essere approvata la riforma in discussione); una
seria azione di razionalizzazione del catalogo dei reati, la si chiami
depenalizzazione di alcuni reati minori o diversa - e più razionale -
tipizzazione delle singole fattispecie.
Né si può immaginare di risolvere il drammatico problema di efficienza
del processo penale esasperando derive produttivistiche della
giurisdizione. Da un lato, alcuni strumenti oggi in agenda (come il
rafforzamento dell'Ufficio per il processo), possono realisticamente
dare frutto soprattutto in tribunali medio-grandi (mentre in uffici di
piccole dimensioni e in drammatiche condizioni di sovraccarico potranno
garantire un minor effetto in termini di efficienza). Dall'altro lato,
perché non è realisticamente immaginabile un ulteriore aumento della
produttività dei magistrati. Il rapporto CEPEJ rivela che oggi i
magistrati italiani garantiscono già un livello di produttività molto
elevato; esasperare gli aspetti produttivistici rischia di sacrificare
sull'altare della velocità, la necessaria ricerca della verità
processuale, inducendo anche comportamenti _burocratici_: secondo la
Carta costituzionale e la Convenzione Edu la durata del processo deve
essere non necessariamente breve, ma _ragionevole_, ossia adeguata alla
complessità dei casi della vita che vengono sottoposti all'attenzione
dei tribunali.
Ma, come detto, i risultati che la giurisdizione offre al Paese sono
drammatici e cambiare si deve.
Il testo degli emendamenti governativi formulati in relazione al DDL
sulla riforma del processo penale (AC-2435) propone numerose modifiche
"di sistema". Ciascun intervento è suscettibile di rilievi. Tuttavia, la
sottolineatura delle varie problematicità non deve far perdere di vista
il quadro di insieme, al fine di verificare se si tratti di interventi
che rispondono alle esigenze dell'odierno sistema penale.
Nel condividere molti dei rilievi già effettuati nell'equilibrato
documento del 19 luglio 2021 dalla Giunta esecutiva centrale dell'ANM (e
nel prendere atto del fatto che il Governo ha rinunciato a coltivare
alcuni strumenti di deflazione - come la c.d. _archiviazione meritata_ -
proposti dalla Commissione Lattanzi o li ha depotenziati), qui si pone
l'accento su alcuni aspetti tra i delicati temi che la riforma pone.
_L'improcedibilità: un "rimedio rigido", inadatto a sopperire al blocco
dei termini di prescrizione; verso nuove condanne dell'Italia in sede
europea per l'incapacità di dare risposte giurisdizionali a gravi
fattispecie di reato? _
La disciplina dell'improcedibilità dell'azione penale: la previsione che
l'azione penale possa estinguersi ove - decorso un termine "rigido" -
non vengano emesse le sentenze che definiscono i giudizi di impugnazione
è una previsione che: (a) si pone in possibile frizione con il dettato
dell'art. 112 Cost. (si dichiara - in un sistema ad azione penale
obbligatoria - improcedibile l'azione penale per un reato che non è
estinto); (b) si rivela potenzialmente irragionevole, perché "colpisce"
con un'unica e rigida sanzione processuale (l'improcedibilità)
situazioni molto diverse tra loro, trascurando, per esempio, la diversa
gravità dei reati o la diversa complessità degli accertamenti da
svolgere; (c) diminuisce anche la _qualità _delle garanzie delle persone
sottoposte a giudizio (posto che le garanzie proprie dell'art. 25, co.
2, Cost. rilevano per la prescrizione come istituto di diritto
sostanziale); (d) rischia di sacrificare - non tanto il diritto
dell'imputato a veder accertata la propria innocenza (essendo
l'improcedibilità comunque rinunciabile) - quanto i diritti delle
persone offese (che, secondo il diritto UE, debbono veder assicurato uno
spazio di tutela anche in sede penale); (d) soprattutto, è concreto il
rischio che il miraggio di poter fruire della causa estintiva
dell'azione penale, finisca con l'incentivare la proposizioni di
impugnazioni meramente dilatorie (con il risultato di frustrare
l'efficacia degli altri meccanismi acceleratori e deflattivi introdotti
che sono introdotti da altre disposizioni del disegno di legge di
riforma). Meno controindicazioni presentavano le proposte formulate
dalla Commissione Lattanzi, che aveva immaginato un sistema imperniato
su meccanismi di incentivi e disincentivi rivolti a tutti gli attori
processuali, potenzialmente capaci di assicurare un risultato (la durata
ragionevole del processo), senza incentivare impugnazioni puramente
dilatorie (che - l'esperienza insegna - sono un fenomeno esistente).
Si sostiene che l'introduzione della improcedibilità dell'azione penale
per decorso del tempo risponda ad esigenze proprie del diritto
sovra-nazionale.
In senso contrario, si deve osservare che tanto il diritto UE, quanto la
Conv. Edu non richiedono che un processo finisca entro un certo termine;
le norme sovra-nazionali chiedono, al contrario, che un processo finisca
utilmente, ossia con un accertamento del fatto. La vicenda Taricco è, al
riguardo, emblematica. In aggiunta anche la Corte Edu ha condannato il
nostro Paese per l'inadeguatezza della "risposta" del nostro sistema
giudiziario in relazione ai trattamenti inumani e degradanti subiti da
alcuni consociati per mano di pubblici ufficiali (Corte Edu, caso
Cestaro contro Italia); la stessa Corte Edu ha recentemente condannato
il nostro Paese, in un caso in cui la vittima non aveva potuto
costituirsi parte civile nel procedimento penale, a causa dello spirare
del termine della prescrizione del reato maturato nel corso delle
indagini preliminari (Corte Edu, caso Petrella contro Italia, in cui la
Corte ha condannato il nostro Paese per aver compromesso il diritto
della vittima alla ragionevole durata del procedimento e alla garanzia
di accesso al giudice, nonché in ordine alla lesione di un rimedio
effettivo ex art. 13 Convenzione).
Sempre la Corte EDU nel procedimento DAN c/Moldavia ha imposto un
livello di garanzia "rafforzata" per l'imputato assolto in primo grado
sulla scorta di una prova dichiarativa svalutata dal giudice di prime
cure e diversamente valutata in appello per giungere a ribaltare il
verdetto da assolutorio in condanna. Emblematicamente l'applicazione di
tale regola ha portato, sul fronte interno, all'introduzione del
novellato art. 603.3 bis c.p.p. in caso di appello del P.M. e di onere
di rinnovazione delle prove dichiarative per le Corti di appello, salvo
che in caso di conferma del giudizio assolutorio. Proprio uno di quei
casi che in procedimenti complessi incapperebbe nella mannaia della
improcedibilità, essendo assai difficile mantenere la definizione del
giudizio di appello con rinnovazione della istruttoria, sia pure delle
sole prove dichiarative decisive e già svalutate, entro i termini
fissati dalla riforma.
Se oggi Strasburgo ci condanna per la durata irragionevole dei processi,
il rischio è che domani ci condanni per non essere stati in grado di
concluderli.
_I criteri di priorità: un ostico rimedio all'inflazionato abuso della
sanzione penale, specchio delle debolezze della politica. Ma non è più
semplice e coerente depenalizzare fattispecie che con i criteri di
priorità non troveranno sfogo processuale?_
Per anni la legislazione penale è stato il rimedio, individuato dalla
politica, per anestetizzare le paure sociali. Si è registrata, così, una
proliferazione delle fattispecie sanzionate penalmente, allo scopo di
fornire ai cittadini l'illusione che uno strumento meramente repressivo,
potesse avere autentiche capacità di salvaguardare la sicurezza pubblica
e garantire i diritti.
Questo ha generato un flusso di notizie di reato presso gli uffici del
Pubblico Ministero di così complessa gestione, da imporre - spesso -
l'adozione di criteri di priorità, per governarlo. In attesa di
coraggiose riforme che propongano una decisa depenalizzazione di troppe
fattispecie di scarso rilievo, resta il tema della fonte di
legittimazione dell'organo chiamato ad individuare i criteri di
priorità: un organo, necessariamente, dotato di legittimazione
democratica - secondo autorevoli opinioni, anche interne alla
magistratura - sul presupposto che si tratti di scelte che influenzano
l'andamento della politica criminale; _ovvero_ un organo giudiziario,
che, nell'esercizio della responsabilità organizzativa e nel rispetto
dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e buon andamento, provveda
alla declinazione di criteri trasparenti e controllabili dal circuito di
governo autonomo della magistratura, secondo altre opinioni. Ma al di là
di queste - certo non trascurabili - considerazioni, si osserva che
l'attribuzione al Parlamento di un simile potere non sembra funzionale
allo scopo di assicurare una maggior celerità ai processi penali. Per
contro, il concreto rischio che si corre è quello di rendere la
giustizia ricorrente terreno di contesa politica, con il risultato di
veicolare l'idea di una amministrazione della giurisdizione esposta alla
volontà delle contingenti maggioranze politiche. Non ci sembra un buon
risultato.
E senza dimenticare che la questione della declinazione da parte del
Parlamento dei criteri generali di priorità nell'esercizio dell'azione
penale pone implicazioni di rilievo costituzionale. Come segnalato anche
dalla Giunta esecutiva centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati,
una simile previsione rischia di porsi in frizione con il principio di
obbligatorietà dell'azione penale (che, ricordiamolo, è presidio di
garanzia dell'eguale trattamento dei consociati di fronte alla legge) e
con il principio di separazione dei poteri.
_La giustizia riparativa e le nuove modalità sanzionatorie: un'occasione
per riaffermare il volto costituzionale della pena…_
Infine, qualche riflessione meritano le previsioni riformatrici relative
al sistema sanzionatorio. Al riguardo, si saluta con favore il fatto che
il disegno riformatore abbandoni una visione esclusivamente
carcero-centrica del sistema sanzionatorio. L'introduzione di meccanismi
di giustizia riparativa, la previsione della possibilità di applicare
già in sede di cognizione misure sanzionatorie alternative alla pena
detentiva va nella condivisibile direzione di affermare il volto
costituzionale della pena e di perseguire l'obiettivo di reinserimento
sociale del condannato, scolpito nell'art. 27, co. 3, Cost.
Al riguardo, solo poche, sintetiche, osservazioni.
Nel nostro sistema i meccanismi di giustizia riparativa sono ancora da
"costruire"; nel far ciò, si dovrà operare un forte investimento sulla
costruzione dei percorsi di giustizia riparativa, sulla formazione degli
operatori sociali e giudiziari. Ma, al tempo stesso, si dovrà rafforzare
anche il sistema di assistenza alle vittime di reato, onde evitare che
il condivisibile auspicio di perseguire la riparazione non finisca con
l'esporre la vittima a fenomeni di _vittimizzazione secondaria_. Si
dovrà pertanto investire anche sui centri di assistenza alle vittime.
L'introduzione di sanzioni sostitutive che siano alternative alla
risposta carceraria implica il coinvolgimento - già in fase di
cognizione - degli Uffici di esecuzione penale esterna. Tuttavia, senza
un rafforzamento di detti uffici - non previsto dal disegno di legge di
riforma del processo penale - la condivisibile introduzione di
meccanismi sanzionatori alternativi al carcere rischia di restare una
mera affermazione di principio.
_… L'esecuzione della pena: una riforma a metà_
Da ultimo: il d.d.l. di riforma del processo penale modula le sanzioni
sostitutive alla pena detentiva sulla falsariga delle misure alternative
alla detenzione, oggi "gestite" dalla magistratura di sorveglianza. Tra
dette sanzioni sostitutive, però, non si prevede la possibilità di
sostituire la pena detentiva con l'_affidamento in prova al servizio
sociale_. Si tratta di una previsione che è suscettibile di rilievi
critici, considerato che: (a) l'affidamento in prova al servizio sociale
è la sanzione che in misura più significativa ha un contenuto
"risocializzante" e rieducativo; (b) è una misura che ha, nel tempo,
dato buona prova di sé, come attestato dal modesto numero di revoche del
beneficio penitenziario registrato dalle statistiche; (c) è una misura
che ha, nel tempo, dato buona prova di sé anche sotto il profilo della
"prevenzione" (considerato che, secondo alcuni studi, il tasso di
recidiva per le persone che hanno "scontato la pena" in regime di
affidamento in prova al servizio sociale sembra più basso rispetto a chi
ha scontato la pena esclusivamente o principalmente in carcere).
Pertanto, la mancata previsione della possibilità di sostituire la pena
detentiva con quella dell'affidamento in prova al servizio sociale
rischia di indebolire l'affermazione di una pena meno carcero-centrica
(e, per converso, rischia di non avere effetto deflattivo, considerato
che continuerà ad essere elevato il numero di impugnazioni e di istanze
di affidamento in prova al servizio sociale che continueranno ad essere
presentate alla magistratura di sorveglianza, in forza del meccanismo di
sospensione dell'esecuzione).
_Dopo l'allontanamento dall'elaborazione prodotta dalla Commissione
Lattanzi, imporre la fiducia sul testo attuale significa perdere
occasioni di confronto e rilancio, accontentandosi di un compromesso al
ribasso._
La magistratura è dunque consapevole che cambiare si deve. La
manifestazione di rilievi non è una difesa dello _status quo_, ma il
tentativo di assicurare che il disegno riformatore possa davvero
raggiungere gli ambiziosi obiettivi che esso si propone.
Auspichiamo pertanto che il decisore politico investa responsabilmente
nella discussione della riforma un tempo e una riflessione adeguata
all'importanza delle questioni (apparendo viceversa non rassicurante al
riguardo - come già segnalato da Area DG - l'eventualità di sterilizzare
il dibattito parlamentare ponendo la questione di fiducia).
Per quanto difficile sia la mediazione da svolgere in sede politica,
crediamo che - in un passaggio potenzialmente epocale come questo - il
pieno coinvolgimento del Parlamento e l'ascolto di tutti gli operatori
giudiziari siano non perdite di tempo, ma un investimento, trattandosi
di passaggi che potranno offrire al nostro Paese un sistema penale più
aderente alla Costituzione.
_La dirigenza nazionale di Magistratura democratica_
--
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