Momenti di tensione tra giurisdizione e maggioranze di governo non sono una specificità italiana. Si verificano in quasi tutte le democrazie contemporanee laddove la giurisdizione assume il carattere di istituzione tendenzialmente antimaggioritaria in quanto custode dei diritti che deve preservare anche dall’invadenza dalle maggioranze di governo.
Intendo portare un saluto e, se me lo permettete, vorrei rivolgere anche, sommessamente, una sfida.
Porgo il saluto dei Giovani Avvocati Italiani e lo faccio non in maniera formale, ma con la convinzione di chi, prima di aderire all’invito che mi è stato rivolto, ha ponderato la decisione di essere qui con voi per non cadere nell’ipocrisia.
Il tema del congresso riguarda particolarmente da vicino il diritto privato, forse anche pi di quanto non inerisca al settore della giustizia penale. Se, in quest’ultimo, si assiste al tentativo, goffo per la verità, di alcuni imputati di sottrarsi al giudice naturale precostituito per legge, in ambito giusprivatistico si sta verificando, da qualche anno, un formidabile attacco al sistema dei controlli di legalità incentrati sul ruolo di garanzia della giurisdizione.
1. Innanzitutto desidero ringraziare Magistratura democratica, il Presidente ed il Segretario per avermi invitato al congresso. Ne sono onorato.
Il numero, la qualità degli interventi cui ho assistito e la molteplicità dei temi dibattuti denunciano una concezione “umanistica e sostanziale del diritto” cui ho inteso ispirare la mia ormai lunga esperienza professionale esercitata principalmente nel campo del diritto del lavoro.
Non è un’operazione facile dare oggi una collocazione ed una identità precisa all’esercizio quotidiano della giurisdizione: sicuramente, non lo è per tutti quei magistrati che non sono abituati a ragionare collettivamente, e che comunque non sentono il bisogno di trovare luoghi e momenti di confronto, all’esterno ed all’interno della corporazione.
Molti anni fa, ascoltando come testimone in una causa di mansioni un ingegnere delle Ferrovie dello Stato, gli chiesi come mai l’ente operasse nel modo così caotico e confuso che mi stava descrivendo. Mi rispose – sorridendo - che si meravigliava della mia sorpresa, e, citando un matematico di cui purtroppo non appuntai il nome, mi disse: «signor giudice, il caos non è una disfunzione è una funzione».